Ricette Vegetariane e Vegane

Christine

Fiorio all’angolo. Si fermò a prendere un gelato allo yogurt. Le piaceva tantissimo. Era amaro e non stucchevole come quello delle macchinette che riempiono un cono o una coppetta in quei ridicoli distributori di acciaio ormai sparsi per la città. Prendeva sempre il gianduja lì; del resto Fiorio era proprio conosciuto per questo gusto nella città che ormai da anni era anche un po’ sua. Percorrendo la via che l’avrebbe portata al mercato si rese conto di come in fondo non fosse per nulla cambiata la zona della Crocetta. Aveva voglia di prendere un clafoutis pere e cioccolato alla Torteria Olsen. Aveva voglia di ricordi e di abbracci che non poteva ricevere se non concentrandosi molto per affidarsi ai ricordi.

Il clafoutis, doveva ammetterlo, non era per nulla dissimile da quello che le preparava sua mamma quando lei con il vestito azzurro di cotone fatto dalla zia saltellava con la corda fuori in giardino. I merletti svolazzavano mentre rideva senza motivo; cosa che le riusciva già da tantissimi anni difficile. Non tanto trovare un motivo, perchè non lo aveva, quanto ridere in sè.

Nella sua cucina, poco distante da dove quel buon gelato le rinfrescava il palato la domenica mattina, scriveva su un quaderno comprato alla Feltrinelli quello che le era accaduto durante il giorno.

Aveva salutato la signora Rossi affacciandosi al mattino per riprendere la roba stesa. Aveva abbassato un po’ la fiamma della moka quando stava per salire profumando anche le piastrelle. Aveva deciso di non stirare e continuare ad accumulare nel cesto di vimini dove anni prima c’erano un panettone, una bottiglia di vino e un cotechino. Aveva poi sistemato la spazzatura da buttare e  se era un giorno dispari scendeva giù con le buste per sistemarle nei cassonetti e risalire. Aveva riposato su una poltrona e fissato il televisore spento. Qualche volta aveva mangiato un uovo o due fili di spaghetti sconditi aggiungendo l’olio dopo. Aveva visto il programma televisivo deprimente del pomeriggio lasciando scorrere le immagini senza sentire perchè si ostinava a non pigiare nuovamente sul mute, messo anni prima, e aveva aspettato la sera.

Il gelato allo yogurt era proprio una festa, pensava mentre il sole le bruciava un po’ la pelle. Per il clafoutis avrebbe dovuto aspettare. Non poteva lasciarsi sopraffare dall’ingordigia anche perchè doveva andare a fare colazione come ogni domenica mattina nel suo bar preferito.

Si prometteva già da un po’, mentre camminava lentamente, di comprarsi un bel paio di scarpe al mercato della Crocetta prima o poi. Di quelle che metti solo nelle grande occasioni. Di quelle simili alle bianche di vernice con il fiocco che quando avevi dodici anni occorrevano per andare in chiesa la domenica mattina. Raccoglieva però il denaro della pensione dentro un barattolo di nutella svuotato e lavato con cura.

Anche l’etichetta era stata rimossa minuziosamente. Prima aveva inserito il barattolo in un recipiente colmo di acqua bollente e poi con cura aveva atteso che la colla si sciogliesse e venisse via rapidamente e in maniera perfetta. Una volta lo faceva con il phon, ma era davvero una grandissima perdita di tempo. Oltrepassando alcuni negozietti non si rese conto di essere arrivata al suo preferito. Pink Martini offriva una vasta gamma di oggettistica davvero particolare per la casa.

Non aveva mai acquistato nulla ma era entrata molte volte. Eccome se era entrata. Le piacevano tantissimo le scatole di latta per i biscotti. Di quelle coloratissime con tanti omini di zenzero pasticciati sopra. La linea di cappuccetto rosso stilizzata con il lupo pure, perchè le ricordava un quaderno. Esattamente quello di matematica che usava in terza elementare quando si era davvero troppo confusa per il cambio di quadretti. Da quelli grandi dove il due stava comodamente a quelli stretti stretti dove il due sembrava essere ingabbiato. Un po’ come quando Alice beve la pozione e mangia la torta allungandosi e rimpicciolendosi. Proprio così doveva sentirsi quel due, pensava.

E pensava mentre meditava se comprare o no, qualche giorno, quello specchio a forma di mole  stilizzata. A lei piaceva moltissimo stare sotto la mole. Alzare il naso all’insù e osservarne la punta. Lo faceva ogni volta che passava di lì. Una volta che era gratis prese addirittura l’ascensore e respirò un po’ dell’aria di Torino a qualche decina di metri da terra.

Fu la stessa volta che poi comprò un libro al Museo del Cinema e che lesse per più di ventitre volte consecutivamente durante una delle settimane più terribili di tutta la sua esistenza.

Era magra, molto pallida e con i capelli legati Christine. Solcava il terreno lentamente oltrepassando il suo negozio preferito. Non avrebbe mai avuto lo specchio a forma di mole e neanche una scatola di biscotti; del resto non voleva guardarsi e men che meno mangiare biscotti dentro una scatola.

L’unico vizio che si concedeva erano i bignè nel suo bar preferito. Le ricordavano un po’ la sua Francia, quella che aveva lasciato ormai secoli fa. Aveva lasciato il suo vestitino azzurro e le scarpe bianche di vernice per la chiesa. I sogni di bambina e tutte le speranze.

Sarebbe potuta tornare lì, perchè la figlia aveva deciso di andare via dall’Italia che ormai era la sua casa, ma appunto per questo decise di rimanere qui.

I bignè nel suo bar preferito erano buonissimi. Erano strapieni di crema. Certe mattine erano così caldi che senza farsi notare apriva un po’ la bocca e soffiava mettendosi le mani davanti per paura di non farcela. Ma le piaceva così tanto. Quel calore in bocca. La riscaldava di tutti gli abbracci mancati e di una vita che ormai di senso ne aveva ben poco.

La spettacolarità del suo Bar Preferito era proprio l’arredo e il mobilio e quell’orologio antico che proprio in cima fissa il tempo e lo fa scorrere. Seduta su quelle sedie d’epoca mentre si ustionava con i bignè, ripensava allo specchio e alle scatole di biscotti e se avesse preso la lettera.

Sì perchè ne aveva scritto una la mattina. Controllò in borsa mentre le veniva servito il bignè ma stavolta non era neanche troppo caldo. C’era.

Lo mangiò pensando che forse era davvero il caso di prendere il clafoutis ma poi pensò che no. Fissando l’orologio disse no. Non c’è più tempo. Aveva un appuntamento Christine.

E quindi si alzò. Sistemò la sedia. Sorrise alla cassiera. Si diresse verso il bagno. Estrasse la pistola del marito defunto. E si sparò un colpo in testa.

Cento turisti sarebbero arrivati dopo per pranzo. Magari avranno comprato loro una scatola di biscotti, dei bignè caldi e lo specchio a forma di mole. Christine no.

—–

A me la notizia di Christine ha sconvolto e non poco. Sino ad oggi questo bar era uno dei miei preferiti insieme a Mulassano. Citarlo adesso mi viene addirittura difficile. Per quanto se ne sia scritto in questi giorni trovo vergognoso che siano stati serviti cornetti mentre dipendenti, addetti magari alla preparazione del caffè e allo sfornamento di pasticcini, siano stati costretti a lavare il bagno dove si è consumata la fine di una vita; sistemavano un separè per impedire la vista degli schizzi di sangue con le allegre comitiva, magari scocciate per la fila eccessiva, mentre i turisti (ben 100 se ne aspettavano e questo è stato uno dei motivi per non chiudere) si rinfrescavano accendendo asciugamani elettrici e spingendo il bottone del sapone.

La cosa ancora più incredibile è che la signora Christine fosse un habitué e quello uno dei suoi luoghi preferiti e che la proprietaria si sia giustificata dicendo “Beh. E’ stata una scelta della Signora. Perchè mai avrei dovuto chiudere?”.

Sono sempre andata lì a ritirare dei dolcetti, dei cri cri e delle paste. Sono sempre stata lì a fissare il bellissimo orologio che sovrasta lo spettacolare interno del bar. Ho sempre creduto che fosse un posto signorile. Dove dame, madame e uomini con il panciotto si perdessero in innumerevoli pagine di galateo e cortesie.

Questa impressione dà. Eppure questo abito ben confezionato e signorile nasconde un lerciume d’animo. Perchè per quanto lecito possa essere il meccanismo per cui “the show must go on”, sarebbe opportuno anche ricordare un termine e  un concetto ormai in disuso:

il buonsenso.

Che non sempre appartiene alle ricche donne, con locali ricchi e con clientele ricche.

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Christine, arrivavano cento persone eh. Era domenica, santapace! Potevi scegliere un altro giorno, dannazione!

Che  habitué sei?! Vergognati!

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22 COMMENTS

  1. “Aveva abbassato un po’ la fiamma della moka quando stava per salire profumando anche le piastrelle”.
    Diamine, che caffè preparate da quelle parti?
    Comunque è vero. E io ci sono due cose che non sopporto sulle mani: l’odore di nutella e un po’ anche quello del caffè.
    QUel 2 ingabbiato fa proprio ridere ma se devo esprimere le mie preferenze, i quadretti piccoli li ho sempre preferiti. Quelli grandi mi sembravano più indisciplinati, a volte simpatici ma anche boriosi.
    COme i quaderni a righe di…uhm…quelli composti da due righe, una stretta e una larga. Avevano l’aria da Sotuttoio.

    Si potrebbe dire che quella di Christine sia stata una morte Dolce ma non è così. La definirei insufficiente, sprecata, se si potesse fare una graduatoria del tipo di morte

  2. sei meravigliosa
    grazie.

    e fanculo al Platti e alla povertà di cuore che hanno. che anche con le colazioni dei 100 turisti, sempre poveri restano.

    • e facevano pure i cri cri buoni, santapizzetta.
      e avevo sempre pensato di mandare a Cri i cri cri .
      e sono seria, santo cielo.
      ne faremo di più buoni insieme :* noi due.

  3. Bri vi di.
    Comunque “….Ho sempre creduto che fosse un posto signorile. Dove dame, madame e uomini con il panciotto si perdessero in innumerevoli pagine di galateo e cortesie…”
    Appunto. Alta borghesia e buonsenso non vanno mai a braccetto. Anzi. La maschera non si scolla deve rimanere su per il buon nome…

    (amoTi all’infinito)

    • sì, Il. Purtroppo me ne rendo conto sempre più.
      Avevo sempre creduto di no.
      Dovrei far ritorno da wonderland, forse.
      e ti amo.

  4. Io commossa punto
    grazie Giulia
    quello che mi piace di te è che un attimo prima mi porti nel tuo mondo incantato su una nuvola di zucchero filato e un attimo dopo mi riporti con i piedi per terra perchè anche tu il velo dagli occhi te lo sei levato, eccome, peccato che invece la maggior parte delle persone quel velo lo vanno sempre più scurendo per non vedere la realtà che li circonda.

    • ti abbraccio forte Mariangela.
      Grazie (infinite) a te.
      E grazie per venir con me sulla nuvola di zucchero filato.
      Quando scenderemo sarà doloroso sì.
      Ma necessario per risalire.
      Un bacio.
      grande.

  5. Tra i commenti alla notizia del link che hai segnato qualcuno ha scritto: “credi che nessuno si sia suicidato oggi? E cosa dobbiamo fare fermarci ogni 3 secondi?”
    È innegabile. Persone in tutto il mondo muoiono ogni secondo. È vero che non possiamo piangere per tutti. Ma quando uno serve caffè e bignè caldi ad una donna tutti i santi giorni e non ti accorgi che dentro di lei qualcosa è rotto o, peggio, se te ne accorgi fai finta di nulla, dovrebbe almeno mostrare dispiacere. Sei il caffè Platti santo cielo, non è che vai in fallimento se per un pomeriggio chiudi per lutto.
    Quello che dispiace è che di pietà, di fronte all’egoismo e soprattutto al denaro, non se ne vede affatto. Che importa se per guadagnare devo schiacciare qualcun altro; se la sofferenza di qualcuno mi toglie del tempo per guadagnare, allora non mi interessa.
    La donna del locale (scusate ma non mi sento di definirla ‘Signora’) ha detto che forse anche la Signora Christine avrebbe voluto così (che il locale tenesse aperto). Infatti tutti vorremmo che di fronte alla nostra morte la gente rimanesse indifferente (???).
    Un paravento alzato accanto al bagno, come se ci fosse un tubo riparare.
    Forse c’era qualcosa da riparare ma, ormai, è troppo tardi.

    • La “Signora” sarà sempre una “Signora” epitetata con disprezzo.
      La si accontenta.

      Sante parole.
      Sante parole, le tue*ti abbraccio forte
      (ecco. io non dormo la notte sul punto: seiilcaffèplattisantocielo. Avrei -con fatica- capito di più un piccolo esercente in difficoltà. Cento persone in arrivo. Occasione più rara che. Ma loro. Santo cielo. Loro. Con il nome che hanno. La credibilità. No. Non me ne capacito)

  6. Ma che pizza! Stavo legendo mi hanno interrotto! Sono arrivata all’aroma di Moka e posso anche sentirlo.
    Comunque sei sprecata…mo te lo dico eh! SCRIVI DANNAZIONE!
    Sei perfetta per un libro illustrato te lo dissi già…

    poi ripasso!

    • Ora ho letto tutto, E ti rifaccio i complimenti per come scrivi.

      Per quanto ha accaduto non ho parole. E guarda per il mestiere che faccio la cosa è SCANDALOSA e non solo per una questione etica.
      Facciamo anche gli ipocriti senza cuore e pensiamo al vile denaro ma sta cosa non si può fare!
      In quel locale si mangiano prodotti cucinati e considerando che oltre ai pompieri, sarà arrivata la polizia, giornalisti e altra gente. E che un cadavere, perchè cinicamente di questo stiamo parlando, era adagiato in un luogo pubblico dove si consuma cibo. Dubito che i NAS siano d’accordo. A Milano, in pieno centro, hanno chiuso dei locali per molto meno.

      E poi un’altra cosa non mi torna “personale del caffé Platti hanno sentito una boato sordo provenire dal bagno”. Cioè fatemi capire dei dipendenti sentono un buoato dal bagno (che può sembrare anche una caldaia che si è rotta, un tubo qualcosa del genere) e non accorrono? Trovano il bagno sigilato (si sente comunque l’odore della polvere da sparo e ti assicuro che senti anche altri odori lo percepisci l’odore di morte ….fidati) e non cerchi di aprire? Magari non apri perchè sei spaventato chiami I POMPIERI? Al massimo i CARABINIERI…comunque! Facciamo finta i pompieri questi arrivano trovano una persona morte eeeeeeee? Sorridi?!
      E la gente che ci è andata a mangiare, non ci credo che non sapeva nulla, certe cose volano. Quindi è anche scandaloso che le persone non si siano incavolate.

      Ripeto:
      1) non è igenico
      2) è assolutamente borderline per due fattori il primo il discorso che si consuma del cibo e il secondo la legge vieta agli esercenti di inibire l’uso dei bagni. Io ora non so quanti ce ne sono e se hanno chiuso solo taluni bagni, ma se li hanno chiusi tutti e c’erano veramente 100 persone può essere tranquillamente denunciato (cosa per altro successo da parte di un non cliente che chiede di usare il bagno e gli viene negato).

      Queste le ragioni RAZIONALI poi ci sono quelle emotive che non scrivo neanche. Io invito una decina di clienti che erano li quel giorno a spiegare bene la dinamica e come è stato inibito l’uso del bagno e se il servizio pulito non è stato garantito a fare causa. Oltre la causa civile a raccontare il fatto per bene ai giornali e fargli un bel danno reputazionale. Perchè alla sciurona piena di soldi del locale può anche non interessare della defunta signora francese, ma se stavano male altre persone (molto banalmente una donna incinta che sente odori e sta male) volevo vedere se non le interessava.

      E con questo mi fermo qui perchè potrei andare avanti per ore. Il problema che la gente se ne futte ecco qual’è il problema.

      • ho pensato anche io come fosse possibile che nessuno e niente abbia fermato l’attività e continuo a non capacitarmene.
        Davvero.
        Non lo capisco.
        divento matta.

  7. Hai ragione, Gi, pienamente. Io, da Torinese, mi sono vergognata profondamente,ma so che le cose vanno così.Lavoro nella ristorazione: lì vige la regola “non si deve perdere nemmeno un cliente”,costi quello che costi. E di sicuro locali come il Platti, e come ce ne sono tanti a Torino, sono un ammasso di bellezza posticcia che non ha più nulla di quello che potevano avere un tempo, quando sono nati, quando erano concepiti come luogo di ritrovo per le persone,un posto caldo, familiare.Ormai gira tutto intorno al sacro dio denaro, il resto non conta.E’ brutto, ma è così, soprattutto in un città come questa, dove tante volte si è costretti a vendere la propria immagine storica, perchè non si ha più un contenuto reale.

    • Katia io spero un giorno di poterti incontrare a Torino e mangiare qualche dolcetto con te.
      Giuro però che era il luogo dove io amavo più andare.
      Entravo dentro. E .
      Una favola.
      Sono legata a un ricordo bello e profondo. Alla mamma di Pier e la mia prima volta a Torino.
      Immaginavo che a mio figlio un giorno avrei mostrato Platti come il luogo dove la nonna aveva comprato delle praline . Dove mamma e papà avevano riso dopo un litigio e.
      E invece mi rimane questo orrendo ricordo . Di un castello trasformatosi da sogni: a incubo.
      Pieno di fantasmi e paure.
      Io davvero ho preso questa notizia malissimo. Certamente la città di Torino non ha nulla di cui vergognarsi e ci mancherebbe altro. Credo che in queste cose non ci sia latitudine o nulla altro. Solo scelte personali discutibili o no che poi si pagano in termini di giudizio.
      Sta di fatto che .
      Fortuna vuole Torino pulluli di bar carini e noi due avremo il nostro pasticcino, ecco.
      :*

  8. come una stupida ho scritto quel commento pensando fosse “solo” un racconto. Quando sono arrivata alla fine ho rabbrividito. E’ sconvolgente l’indifferenza davanti a una scelta del genere. Christine ha scelto quel locale perchè forse era un posto che le aveva regalato qualcosa negli anni. Un posto dove si sentiva felice, a casa. E invece. Invece non hanno nemmeno chiuso mezz’ora solo per dirle Christine grazie per averci scelto. La gente non ha più rispetto per niente e nessuno.
    E fa paura.
    Spero che ovunque sia, Christine possa fare la pipì dentro il locale e gli sfondi il tetto. Una chiusura per restauro (morale) gli farebbe proprio bene.
    Ecco.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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