Ricette Vegetariane e Vegane

Hinamatsuri, La Festa delle Bambole in Giappone

Che giorno è? Il terzo giorno del terzo mese. Sarà che sono nata il dodicesimo giorno del dodicesimo mese e sarà pure che ho una discreta passione per i numeri. Sicuramente perché non capendo bene a cosa servano ho dovuto trovar loro un ruolo. Vederli su un quaderno costretti tra quadretti logici che sembravano gabbie e non righe su linee continue di libertà mi ha sempre messo una discreta tristezza. Ma per non dire infinita, eh.

E allora gli ho dato un ruolo capendo che servivano a indicare che fossi nata il dodici dodici alle dodici e che il mio nome e cognome fossero di dodici lettere. Poi ho contato che io, mamma e papà siamo tre e che ogni cosa che riuscivo a moltiplicare faceva sempre tre, nove e dodici. E mi è sempre piaciuto il fatto che papà sia nato il trenta perché un tre con uno zero inutile, che mamma sia nata il nove e io il dodici e pure il Nippotorinese il tre. E che nove più tre e quindi mamma e papà come risultato danno dodici. Incredibile, mi ripetevo da piccola. Incredibile. Ma in effetti lo ripeto anche da grande.

Il mio numero di telefono, quello della vecchia casa dove abitavo con i miei, se lo sommavi faceva tre con le prime due cifre e poi nove. E quanto faceva nove più tre? E poi c’era uno zero.

Non sono entrata quel giorno in aula perché non sapevo fare lo studio di funzione e dovevo essere interrogata. Quel giorno sono rimasta in corridoio e ho contato tutte le mattonelle del corridoio del liceo. Ogni mattonella aveva trentatre palline ed era un quadrato di trentatre palline per trentatre e allora ho contato tutte le palline stando ferma con la calcolatrice seduta su una finestra. Non ero entrata ma mentre le altre mie amiche andavano a fare shopping in centro io contavo le palline del corridoio dell’entrata del liceo. Sfidando davvero tutto e tutti eh. Sfidando professori e. E non ricordo se fossero trentatre o trentacinque o. Devo tornare al liceo, è importante. Oppure devo recuperare il diario perché poi orgogliosa ho trascritto tutto lo studio sulle palline delle mattonelle del liceo. E’ una delle poche cose che mi rende orgogliosa di me.

Questo per dire che il terzo giorno del terzo mese è un giorno qualunque per qualcuno ma per qualcun altro no e giustappunto in Giappone oggi si festeggia l’Hinamatsuri. Già lo scorso anno ne avevo parlottato e addirittura avevo preparato piacevolmente una panna cotta e bento con i tre colori rappresentativi dell’hinamatsuri; tra l’altro si tratta delle foto, che confesso, di preferire in assoluto tra quelle che ho fatto. Era una macchina totalmente diversa da quella che possiedo adesso. Riusciva a fare il dodici per cento di quello che ho a disposizione con questa, esasperante e multitecnologica, eppure a dimostrazione che tutto dipende da tutto tranne che dalla strumentazione, ogni volta che riguardo queste foto mi stupisco e comprendo.

Quel giorno c’era tanta calma in me. Ero molto più rilassata e attenta e per certi versi mi volevo anche molto più bene di adesso. E questo si riflette nella luce e nella posizione degli oggetti. Non ho nozioni per dimostrarlo. Non capisco nulla di fotografia e a stento ho capito cosa sia l’otturatore (ammesso che lo abbia davvero capito) ma io procedo ad istinto con tutto e su tutto e per principio non posso leggere istruzioni o farmi spiegare. La noia. E’ la noia assoluta, quella. E insomma. Adesso con la frenesia di fare quasi dodici(mila) cose in più rispetto ad allora è tutto catturato velocemente e se vogliamo anche distrattamente. Impercettibile forse a terzi ma non a me e ai miei nani da giardino assistenti immaginari che continuano ad asciugarmi il sudore dalla fronte invitandomi a: inspirare. Espirare.

E’ inutile fare un copia e incolla dello scorso anno e raccontare cosa sia esattamente l’Hinamatsuri, cosa avvenga e una sfilza di eccetera; qualora interessasse e non si conoscesse questa tradizione basta cliccare qui e si verrà catapultati nel post dello scorso anno.

Mi sono stati addirittura offerti dei soldi per le foto della panna cotta e del bento dell’Hinamatsuri. In pratica, non essendo avvezza a commercializzare le mie idee e immagini, cedevo loro tutti i diritti e la bamboletta con panna e bento potevano finire un po’ dove volevano.

Un po’ come quello che accade nell’Himatsuri, ho pensato immediatamente. Affidi alle bambole il tuo dolore e aspetti che tutto vada via. Lontano. Solo che io voglio sapere dove finiscono i miei dolori perché è giusto gestirli ed elaborarli come è giusto discernere cosa sia importante vendere e cosa no. E io no. Non vendo dolori.

Avevo voglia di realizzare l’Hishimochi originale avendo tra l’altro a disposizione tutti gli ingredienti ma poi ho pensato che fosse la bambolina dai capelli rosa il simbolo perenne ormai di questo giorno. Non è per la mia smania di abitudine, mi giustifico dapprima con me stessa, anche se riconosco di essere maniacale nei riti e che con il passare del tempo è un aspetto che esaspero fino allo sfinimento. Mi piace però avere delle tradizioni e rituali. Ricordare e rielaborare. Se lo scorso anno una bambola con i capelli rosa dormiva su una panna cotta Hishimochi, quest’anno ce ne voleva una trasformata in zucchero bella sveglia e vigile che ascoltava una canzone. Che ne so.

Che ascoltava balla balla ballerino. In fondo è questo il trascorrere del tempo vero? La stessa cosa. Sempre la stessa cosa vista da diversi punti di vista e dalle esperienze che si susseguono.

Lo scorso anno rilassata su una panna cotta beata e contenta. Quest’anno dritta dritta con cuffie a volume altissimo per isolarsi e quasi imprigionate e legate, ferme immobili tra cotone idrofili morbidi dentro un bicchiere e uno stecchino rigidissimo di doveri. La musica poteva essere diversa ma.

Intrappolare dolori e lasciarli andare su un fiume. Non accettare soldi quando si tratta di sogni ma perseguirli senza dare un costo e un prezzo. Attendere. Valutare. Studiare. Realizzare lecca lecca di torta e dipingere di rosa capelli di una maghetta perché quello è, mentre desideri un fiume sul quale fare andare via il tuo cuore. Che sai già ritornerà nello stesso identico posto. Dove è sempre stato e voluto stare. Con una musica diversa e una consapevolezza che tutto è cambiato sì ma rimane uguale e trasformato. Con la stanchezza sì ma la frenesia di fare.fare.fare.fare. E mai morire. E recuperare senza mai perdere un secondo aggrappata a quelle lancette che indietro non vanno d’accordo, ed è bello e giusto, ma che tenti di fermare un po’.

Lo scorso anno avevo tante bambole da far andare via su un fiume. Quest’anno no. Le costruisco di zucchero. Sorrido e sogno.

Che sia un giorno dove anche tutti i vostri dolori vadano via. Lontanissimo. E se dovessero tornare, perché accade a tutti e anche a me, non ci sarà niente altro da fare che sforzarsi. Cercare di sorridere e preparare dei cake pops. Produrre zucchero e non veleno. Perché da quest’ultimo se ne genera altro e altro ancora.

Come realizzare i Cake Pops l’ho trascritto troppe volte che sembra assurdo anche solo pensare di ricopiarlo. Devo fare una sezione stampabile però*disse fissando l’oblio.

Per chiunque si volesse cimentare basta cliccare qui e nel post di San Valentino ci sono i vari passaggi (clicca qui). Tra l’altro non è nulla di complicato o particolarmente assurdo. Giusto una nota velocissima per chi non avesse mai preparato un bocconcino di torta in formato lecca lecca: non per forza si deve “perder tempo” con la pasta di zucchero ma si possono glassare o decorare con cioccolato fondente et similia. E’ perfetto poi per il riciclo delle torte avanzate e rispondono alla domanda ” e ora cosa ci faccio con questo pezzotto qui?”.

Sino alle 10:10 di lunedì c’è la possibilità di vincere una bambolina kokeshi e un libro con tutti i segreti e tante ricette per le crêpes. Basta cliccare qui >;>;>;

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19 COMMENTS

  1. è strano. sapere che si sta per leggere qualcosa di piacevole, dedicare del tempo esclusivamente per un nuovo post che ogni volta colora l’atmosfera in maniera diversa, per ogni persona che legge il colore che dai tu più quello aggiunto dal lettore. è davvero piacevole dedicare questi minuti qui. è strano perché immagino che sei in un tornado di cose da fare e vai dodicimilaall’ora. e come se me ne approfittassi?

  2. Il post dell’anno scorso me lo ricordo bene. uno dei miei preferiti e di cui ho fatto tesoro. la storia delle bambole sull’acqua. mi ha sempre attratta la cultura giapponese ma per pigrizia non mi sono mai documentata. sono rimasta paziente ad aspettare righe raccontate con un certo stile da qualcuno che ritengo amico. e sei arrivata tu.
    leggo e divoro. e sfamo la voglia di sapere perchè le tue parole attraggono.
    e no. tu non vendi dolori, ma regali molto inconsapevolmente. e leggerti è sempre una boccata d’aria fresca. le nostre bambole sono sicura che si incontreranno in un punto preciso e si abbracceranno. senza perdere tempo perchè non è mai troppo presto ne troppo tardi, in questo paese delle meraviglie.

  3. dove sono finiti tutti gli altri top rider?

    Io mi ricordo ancora quando decisi di contare fino a mille. Avevo quattro anni e un mattino, all’alba, iniziai la conta.
    Un giorno decisi perfino di contare fino ad un miliardo ma poi, facendo quattro conti capii che non mi sarebbe bastata una vita e lasciai perdere.

  4. Giulia tesoro,
    che post bellissimo. Mi hai fatto venire voglia di andare in giro sorridendo a tutti quelli che incontro. Poi mi prenderebbero per matta, perchè si sa che a Torino troppi sorrisi sono vietati per legge, che noi qui si è tutti rigorosamente seri e impettiti. Ma io in fondo non sono torinese di nascita. Quindi correrò il rischio di ritrovarmi con una bella camicia bianca con le maniche legate dietro la schiena. Ma non mi importerebbe, perchè tu mi insegni che sognare è giusto, che ci aiuta ogni giorno a sopportare i fardelli ed i dolori. Ecco, io vorrei soltanto che, anche solo un pochino, quello che tu dai a me e ad ognuno di noi ogni giorno, con le tue parole sincere, con il tuo splendido modo di essere te, potesse avere su te stessa l’effetto che ha su di me, su di noi. Mi sento avvolta dalla tua tenerezza e i mostri che si nascondono sotto il letto fanno meno paura…Buon sabato stellina, cerca di riposare un pò. Io ti abbraccio infinitamente.

  5. …ecco io non ho le parole adatte…le ho cercate eh, non credere, ma questa volta stan tutte lì, appallottolate tra loro in gola…posso parlarTi di ciò che scivola via facile, che sono queste lacrime dolci, perchè son passate di qui e come una soffice base che si rispetti, avevano proprio bisogno di un po’ del Tuo fiume d’Amore, per scorrere meglio, per non fermarsi, per andare…Ti abbraccio forte, ciao Bimba <3

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  7. 🙂 Giulia ti abbraccio… Grazie per la condivisione dei tuoi ricordi, dei tuoi pensieri… Di te… La trovo sempre una cosa toccante e commovente. Un abbraccio forte…

  8. Che bello leggere di te, mi fa sentire parte dlla tua vita anche se solo di un pezzettino di essa. Mi sento più ricca.
    (E invece non lo sono perchè ho speso un sacco di soldi per la borsa di J.Lo :-D)

  9. Giulia… nel casino del weekend non ero ancora riuscita a leggere questo post.. l’ho fatto ora… mi sono subito risuonati in testa i versi di una delle canzoni che più amo di Fabrizio De Andrè, “Canto del servo Pastore”…

    “…Dove fiorisce il rosmarino c’è una fontana scura
    dove cammina il mio destino c’è un filo di paura
    qual è la direzione nessuno me lo imparò
    qual è il mio vero nome ancora non lo so.

    Quando la luna perde la lana e il passero la strada
    quando ogni angelo è alla catena ed ogni cane abbaia
    PRENDI LA TUA TRISTEZZA IN MANO
    E SOFFIALA NEL FIUME
    VESTI DI FOGLIE IL TUO DOLORE
    E COPRILO DI PIUME…”

    Poi mi sono commossa… Ti abbraccio forte, come sempre… un po’ di più…

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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