Ricette Vegetariane e Vegane

ore 15:15: Catania

C’è qualcosa che ti inculcano con insistenza sin da quando sei piccolo. Forse per convincerti che gli stupri subiti dalla tua terra possano essere cancellati con il mare e il sole. Si trascorrono ore a inserirti, come monete in un salvadanaio vuoto,  delle parole piene di affetto, calore e ospitalità. Un calore bruciante come la lava che deve far parte di te. E’ come se tutti quei sorrisi che mostri esasperati debbano in qualche modo sopperire al dolore delle gabbie e delle leggi nascoste e silenziose che cominciano a far parte di te quando ancora non riesci a pronunciare “acqua”. C’è una forma di auto difesa che deve contrastare quella precisione che non può appartenerti perché è così che è. E la rassegnazione, alla quale chiaramente non vuoi abbandonarti, cerchi di trasformarla. Plasmarla. Inventarla. Con tutta la fantasia dei popoli diversi che hai nel sangue.

C’è qualcosa che da quando sono in vita mi fa fortemente detestare un concetto. Un luogo comune. Un modo. E c’è qualcosa che da poco tempo mi fa sentire inesorabilmente parte di esso. Ieri, senza chi come me abita questa terra, in un silenzio irreale e spaventosamente urlante mi sono ritrovata a guardare Catania con gli occhi in sù. Con le sue finestre che rievocano i colori di Suspiria. Con il suo barocco nero attorcigliato tra piante di balconi con calzini spaiati stesi che puoi allungare le mani e sistemare mollette. Disordinate, colorate, di legno e metallo. Il Teatro Massimo su scalinate dove non mi sono mai seduta bevendo una birra e tra le piante di una Villa Bellini che non ricordavo così verde, bella ed umile. Tra statue senza teste ed odore di fico. Quando con le narici tiri su e il mare e chi lo abita ti entra dentro formando un acquario dentro le viscere. Pieno di pesci colorati che sono belle intenzioni e tentacoli di polpo rosso che sono sogni. E arrivano ovunque allungandosi.

C’è qualcosa che ieri mi ha fatto sentire orgogliosa di essere catanese. Siciliana. Sicula. E’ come sentire una nota in un giro velocissimo di pentagramma e individuarla nella bolgia di urla. Non so esattamente cosa ma quando ho alzato gli occhi e nel silenzio le arance sugli alberi di Corso Italia si sono mosse velocemente come tamburelli in mezzo al verde. Io. I limoni sul lungomare con la pietra lavica buttata tra acqua e fuoco mentre mangio una granita al pistacchio   chiedendomi se laggiù in quella barca un pescatore sta catturando un sogno.

In quel qualcosa ho ritrovato una parte di me che non credevo mi appartenesse. Tra arancia e cannella. Era lì lasciata a terra nella mia città deserta. Aspettava di essere raccolta. Ed è stata lì per più di trenta anni. Immobile ad aspettarmi. Senza urlare o cercando di attrarmi. Ha avuto la pazienza necessaria per essere da me trovata. capita. apprezzata.raccolta.

Non perché inculcata. raccontata. esasperata. imposta.

Ne mancano ancora tanti di pezzi ma adesso che so mi stanno aspettando. Sarà mia premura cercarli e prendermene cura. Perché è mia. Anche un po’ mia, adesso.

Catania.



















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19 COMMENTS

  1. Lo aspettavo da tanto questo post, lo aspettavo da quando insieme abbiamo camminato fra i vicoli e mi hai raccontato catania. non hai raccontato che è la città più bella perchè ha questo e quello, mi hai raccontato le sfumature.
    è passato un po’ (mezzo anno, sì) e quando penso a catania penso ai punti che mi hai raccontato tu, alle spose come marionette impacciate davanti agli obiettivi e ai tuoi racconti. dal lungomare, ai ciosPi, le spose dove lavano i panni. l’acqua rimasta dal mercato del pesce. i gradini della chiesa.
    ed è pensando a quella passeggiata che capisco che quel pezzo di te di cui hai raccontato secondo me già lo avevi trovato.

    Ti voglio bene Gi

  2. E’ stato quando me ne sono andata che ho imparato ad amare il luogo in cui sono nata e cresciuta… oggi, ogni volta in cui ci ritorno, ogni volta in cui lo vivo con l’uomo che amo e con mio figlio, ritrovo un pezzetto che era lì, in fondo al cuore, anche se io non lo sapevo, non lo vedevo…

  3. Hai cominciato ad accelerare il passo… quei mille li voleranno via in un baleno, e comincerà un altro viaggio, e un altro, e un altro… perché è il viaggio, non la meta. Proprio come dice il nostro amato SK “It is the tale, not he who tells it.”

  4. Catania è una città meravigliosa, piena di scorci caratteristici e suggestivi. Io l’ho sempre paragonata ad una bella donna che un pò si trascura, ma che conserva nel tempo dei lineamenti incantevoli.
    Iaia tesoro, i pezzi pian piano vedrai che prenderanno una forma unica, come in un puzzle, e tu a quel punto saprai più di te stessa. Come dice anche Max, e ovviamente il Re, è il viaggio che conta e tu questo viaggio lo hai già cominciato da un pezzo. Non aver fretta di concluderlo 😉
    Quando abitavo a Milano, città che non ho amato moltissimo devo confessare, talvolta capitava in un particolare momento di sentirla più “mia”. Magari sul tram “old style” nr.1 che attraversava il centro, mi succedeva di guardare la città attraverso i vetri il sabato mattina presto, quando era ancora semideserta, e di trovarla addirittura bella. Realizzavo in questi istanti quanto di quella città c’era in me e quanto di me ritrovavo in lei. 🙂

  5. Cioè, sto via 5 miserrimi giorni senza pc, torno e trovo 24 post 24? Uaaaaaaahh ahahaaaaaahhhhh! Non ce la farò mai! O_o

  6. Ok, dopo il mezzo sclero post traumatico mi sono letta questo post con calma. Non so cosa dire, spesso mi lasci senza parole, se ancora non lo sapessi. Penso che questo parli da solo:

    “Quando con le narici tiri su e il mare e chi lo abita ti entra dentro formando un acquario dentro le viscere. Pieno di pesci colorati che sono belle intenzioni e tentacoli di polpo rosso che sono sogni. E arrivano ovunque allungandosi.”

  7. Ti vengo a raccogliere io se vuoi…
    Eccomi, quella granita mi sembra buonissima. Vorrei assaggiarla anche io. Qui, in riviera, la granita è fatta solo con ghiaccio e sciroppi-schifosi-e-molto-colorati e non mi piace per niente…
    Vorrei sedermi accanto a te e poter condividere il silenzio, i paesaggi, l’opulenza, i ricordi stampati su carta da fotografia che hanno quell’odore particolare (anche a te piace?), i piatti attaccati al muro. E’ così bella quella casa… E’ viva, ma allo stesso tempo morta e intatta. E’ bella.
    Io sono come te, osservo tutto, ma non parlo molto. Non mi piace parlare.

    Lasciatelo dire, sei bellissima. Non te l’ho mai scritto. I lineamenti sono di tua madre, ma tu sei più… interessante. (Cosa sto scrivendo? Cosa c’entra? Scusami, mi sono lasciata influenzare dal commento di una ragazza che ha scritto sopra…)

    Buonanotte! (Sarà meglio… Domani in teoria sarei a scuola. Dovrei svegliarmi riposata, ma WordPress è una droga.)

  8. Mi sono commossa…le tue parole mi sono entrate nel cuore..forse perchè ho sentito l’amore per la nostra Catania..attraverso le tue parole e attrverso i tuoi occhi. Grazie infinite!!!

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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