Ricette Vegetariane e Vegane

ABook Torino – Pinacoteca Agnelli (Salone del Libro)

La mia bellissima Enrica che tenta di spiegare il perché siamo all’interno di una delle  librerie più prestigiose di Torino in compagnia di Iaia Guardo senza un libro, senza un cervello e con un cerotto in testa.

Quando una sfavillante carriera viene messa a rischio. Sottotitolo.

 

Lo Staff di ABOOK non aveva ancora avuto il dispiacere di informare però che Sabato 18 Maggio alle ore 16.30 sarebbe arrivata una squilibrata direttamente dal Pronto Soccorso con tanto di cerotto a stella in testa con ghiaccio sintetico in borsa, focaccia genovese e paste di mandorla.

L’impavida e meravigliosa Enrica continua imperterrita a far credere che io non sia soltanto una psicolabile che sbatte sui pali di Piazza Solferino.

(omette infatti che l’anno prima fossi ruzzolata giù per le scale di Palazzo Madama. Senza contare che mi sono schiantata pure sui binari del tram vicino alla Crocetta. E  faccio la lista, ok)

Ritratta in foto l’adorabile mamma di Francesca (farò con calma una gigantografia da idolatrare. Spedisco in tutta Italia nel caso saggiamente voleste unirvi a me)

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La formidabile Valentina Lindon inspiegabilmente accetta di mettere a rischio a sua volta la propria sfolgorante carriera per convincere tutti che la Mondadori Electa scegliendomi sapeva esattamente a cosa andava incontro.

(al fallimento, è stato omesso)

 

Per me non è molto difficile mantenere segreti o eventuali sorprese. Proprio perché non sono di natura curiosa. Credo influisca. Ecco però in questa determinata occasione confesso: non stavo più nella pelle. Nessuno sapeva che le mie sorelle sarde Cri e Ale (poi mi spieghi perché non hai aperto un Blog dove ridicolizzare il Nippotorinese con foto, caricature e video compromettenti. Ne abbiamo a bizzeffe del resto e sarebbe giusto dividerle con l’umanità)  avrebbero toccato territorio sabaudo proprio Sabato 18 Maggio per rimanerci sino alla Domenica per l’avventura all’Hafa Cafè tra tè alla menta e cous cous alla NormaBestiabionda non sapeva nulla e venerdì notte pregustavo nella mia stanzetta di albergo sfregandomi le manine (e buttando giù tonnellate di Pastiglie Leone con la maschera di argilla in faccia per i maledetti punti neri) la sua faccia allibita quando nella hall mi avrebbe trovato abbracciata ad Ale e Cri (leggi: abbracciata mentre sparlavamo proprio di lei). Mi vedevo lì con loro. A sputare noccioli di olive (mia ultima passione) tracannando acqua frizzante con “succo di limone a parte” (tanto che il dolcissimo ragazzo che serviva le bevande nel bar dell’albergo mi ha detto “le piace proprio la limonata eh?” per sentirsi dire “Sicula sono” con tanto di sottofondo e carretti in bella vista. O forse no. I carretti li ho visti solo io).

Se non c’erano state Giovedì (solo fisicamente intendo) ci sarebbero state Sabato (e Domenica, certamente). Perché un impegno importante a dir poco mi attendeva subito dopo un incontro informale (non che con me si possa fare qualcosa di diverso) all’interno dello stand Mondadori Electa al Salone del Libro.

Il Nippotorinese, mio complice,  avrebbe coordinato i vari trasferimenti che Ale e Cri (in cuor mio pregavo che non le spedisse a Bergamo visto che tra di loro c’è un amoroso scambio di odio affettuoso reciproco. Si amano, in pratica) erano costrette a fare in un gioco al massacro per via di spostamenti non troppo agevoli tra le due regioni rivali che si contendono la paternità del Savosardo (ah. A proposito l’ho messo sul libro eh. Ccredo sia giunta davvero l’ora di poter “svelare” qualcosa in più) e io avrei riso di brutto alle spalle di tutti che non sapevano di questa new entry sconvolgentemeravigliosapazzesca all’interno della comitiva maghettosa (posso chiamarla così?).

Se Giovedì avevo una LEGGERISSIMA ansia da prestazione non è che per Sabato fossi proprio così spensierata eh. Basti sapere solo che l’incontro conquellapazzadimaghetta si teneva all’ABook. Una libreria come tante, dirai tu che leggi sbuffando un po’ perché la faccio sempre lunga, no?

Embè no.

Perché l’ABook è:

ABOOK LINGOTTO è una libreria internazionale specializzata in arte, architettura, architettura dei giardini, design, un’accurata selezione di libri per bambini ed oggetti di design unici e rari.
La libreria è stata progettata dall’architetto Renzo Piano ed è situata presso la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli al Lingotto di Torino.

La domanda che sorge spontanea in coro con tanto di urla da stadio è: “e tu che ci dovevi fare lì a parte passarci per sbaglio?” (o sbattere sulle porte di vetro?).

La risposta è che io proprio non lo so cosa dovevo farci dentro questo tempio di Arte e Cultura, se non portare un po’ di svampitaggine-surrealtà e sconclusionaggine. E in effetti alla fine ho portato proprio questo ma è giusto partire dall’inizio. Da quel Sabato mattina del 19 Maggio 2013.

C’è una vignetta da qualche parte in questo decennio di Blog che mi vede ritratta proprio mentre cado da una di quelle poltrone a sacco (non riesco a trovarla, come sempre). Quando Enrica mi ha detto “prego accomodati” SAPEVO che sarei ritornata immediatamente al pronto soccorso.

Saggiamente mi sono buttata a peso morto senza muovermi troppo. Peccato che poi per rialzarmi abbiano dovuto chiamare l’ACI.

Pioveva e tirava un vento freddo. Torino non era mai stata così gelida a Maggio. Non che ci fossero mai stati trenta gradi come a Catania. Non che io sia l’antipatica sicula che si lamenta del clima nordico ma. Con nove gradi io generalmente dico Buon Natale e Felice Anno Nuovo (credendo pure di essere stata catapultata in Alaska in mia insaputa). Come unico giubbotto pesante avevo un giubbino leggero di pelle;  quindi faceva poca differenza se avessi indossato il trench che bene o male era anche più impermeabile. Ah sì perché pioveva pure per non farsi mancare niente. Non era quella pioggia leggera che ti tocca le spalle ma quelle secchiate piene e improvvise che ti arrivano come schiaffi a pieno volto (vogliamo immaginare solo per un attimo i miei capelli? No. Meglio non perdere tempo. Basti sapere che il mio programmato liscio-perfetto-piastra2000wattpotentissima è servita quanto una pelliccia di volpe argentata  in Egitto il 13 Agosto). 

(cosa c’entra la volpe argentata?)

Non ero riuscita a fare colazione come tutte le mattine (sei caffè) e quell’acidissimo succo di pompelmo cui mi costringeva il mio masochismo non aveva perforato l’esofago. E mi dispiaceva pure parecchio. La mia keepal era piena dell’innecessario (so che è corretto benché molto raro. Ma a prescindere a noi siciliani piace fare il contrario mettendo davanti una esse o il suffisso -in. Per dire che “non lo conosco” viene tradotto nella mia lingua in: sconosco. E sono abitudini grammaticali che non voglio e posso perdere come uscire i biscotti dal frigo o dal forno non lo so) come piace a me e quindi straboccava di idiozie che non mi sarebbero servite in nessuna occasione per quanto stramba potesse essere. Bestiabionda avrebbe preso Bianca alla stazione. Paola avrebbe preso Ellli alla stazione. Io non avrei preso nessuno alla stazione ma aspettavo ridacchiando (e anche molto piangendo) ed emozionatissima (di quell’emozione incontenibile preoccupante che ti fa pensare di essere chiusa in una stanza imbottita)  l’arrivo delle mie due sorelle sarde (pioggia di cuori) sfregandomi le manine. Uhhhh le facce di Bestiabionda, Paola, Bianca ed Ellli. E ridevo piangendo e piangevo ridendo (come dice la mia amata Estella).

La stessa mattina ci sarebbe stata la presentazione fuori Salone (la seconda per l’esattezza) del Libro Cucina con il trucco (dopo quella a Casa Oz. Hai letto?) in una libreria che adoro poco distante dal Museo Egizio e Palazzo Carignano; esattamente la Libreria Luxemburg. Ci sarebbero state Enrica e Caterina e io avrei portato loro dei fiori. Mi rendo conto però di essere in leggerissimo ritardo mentre incastro i tasselli e il planning. A tal proposito dico alla Bionda (sì sono passata a un tempo presente facendo sberleffi alla sintassi italiana. Mi piace) di farlo per me perché in concomitanza dovevo pure affittare due macchine che ci avrebbero condotto da Estella a Vaie verso la Val di Susa ergo la Francia. La sera stessa. Neanche Estella sapeva di Ale e Cri.

E ridevo e mi commuovevo sfregando le manine ormai usurate da tutta quella trepidazione. Chissà che faccia faranno. Chissà che macchina ci daranno. Chissà quanto piangerò alla Pinacoteca. Chissà chi verrà al Salone del Libro. Chissà se qualcuno incontrandomi mi picchierà. Chissà.

Chissà se mamma e papà. Perché sarebbero dovuti partire la mattina stessa. Era già tantissimo che fossero venuti per Giovedì insieme al mio amato Aluccio.

Vedi quella lampada in fondo vicino alla Poltrona Sacco? Il Nippotorinese ci ha sbattuto contro buttandola giù e facendomela quasi cadere addosso.

 

Noleggiate le due auto mi ero diretta scaltra e veloce con il Nippo verso il parcheggio di Piazza Solferino proprio vicino al nostro albergo. A me era capitata una fiammante Ypsilon ultimo modello super accessoriata mentre al Nippo una Corsa nera tendente al tamarro meno accessoriata della mia. E continuavo a sfregarmi le manine anche perché molto felice del fatto che nonostante fossero ormai quasi dieci anni di cambio automatico tra una macchina e l’altra rimanevo davvero una pilota professionista che ingrana le marce come fosse un uomo *disse soffiandosi sulle unghie.

Papà sarebbe stato molto orgoglioso di me (almeno per quello) visto che il cambio automatico è comodo sì ma. Ma per lui che a nove anni mi ha infilato in macchina dicendomi “prova amore. Frizione. Acceleratore. In salita. Se sai bilanciare così. Sai guidare”. Perché il mio papà, e lo capisco a distanza di anni, mi ha insegnato a guidare così presto per farmi girare il volante della vita al meglio. Capendo che il mio problema sarebbe stato il disequilibrio; ereditato proprio da lui. E che avrei dovuto spingere un po’ sull’acceleratore qualche volta. Equilibrare con la frizione, altre. E guidare. Con tutti i cambi. Automatici e non. Sì. Papà sarebbe stato molto orgoglioso di me nel sapere che nonostante il cambio automatico io non avessi dimenticato il manuale.

Sistemate le auto all’interno del parcheggio e consegnati i fiori a Enrica senza Caterina, mi avverte la bionda, mi dirigo in direzione Platti (dove non sono mai più entrata per Christine. Ti ricordi di lei?). Il Nippo mi richiama e dice “per di qua”. Faccio un po’ di resistenza e insisto nell’andare dall’altra parte ma lui mi ammonisce con lo sguardo. Piove sempre più forte. Fa sempre più freddo e io ho la schiena ghiacciata, i capelli annodati orrendamente e incredibilmente vaporosi tanto che penso se somiglio alla Signora che descrive sempre Ombrella. Ed è lì che spaventata di questo parallelismo chino il capo in cerca del mio cappello. In quell’inferno della keepal dove c’era tutto l’innecessario (ricordi? si può dire).

Abbasso la testa. Tiro la cerniera. Cerco disperatamente tra le inutilità il cappellino. Tutta preoccupata sapendo che andrò al Salone con i capelli ricci. Tutta preoccupata di aver fatto una brutta figura con Bianca che mi ha conosciuto per pochi secondi nella hall dell’albergo mentre deliro contro la bionda parlando di fiori, presentazioni, agitazioni e non so neanche io cosa. E mentre mi domando quanto sia bella Bianca, se la Bionda ha  scelto dei bei fiori e se piacerò ad Ale e Cri e se Paola ha recuperato Elllisa e se.

BUUUUUUUUMMMMMMMMMMMMM.

Tutto nero. Tutto completamente nero. Vuoto. Sordo.

Ricordo solo di aver visto la faccia sconvolta del Nippotorinese che ricordava più un lemure spaventato allo Zoom.  Il primo gesto è stato quello di portare la mano alla fronte mentre lui mi dice “non toccarti Amore per favore”. E ho capito il perché di quel consiglio quando nella mano ho visto sangue. Tanto sangue.

Quando ero piccola mi ero convinta che fossi emofiliaca. Non so perché (adesso sì. Perché sono scema). Fortuna (in realtà scelta conscia e razionale; una delle poche che ho fatto in vita mia e come si evince in un argomento nevralgico della mia esistenza tutta) che non ho seguito neanche Grey’s Anatomy e Dottor House o tutta questa sfilza di medici in prima linea perché il mio essere terribilmente ipocondriaco avrebbe potuto inventare malattie immaginarie degne della più sfrenata fantasia. Me ne ero convinta quando ho saputo cosa succedesse a chi soffre di emofilia. Perdita di sangue esosa ed esagerata (leggi: anche tre gocce). La voglio avere! E quale migliore occasione per manifestarla durante un esaurimento nervoso ai massimi storici?

In pratica in un sol colpo potevo tirar fuori la mia ipocondria, la mia malattia immaginaria e pure tutto il nervosismo accumulato nel pre partenza e durante la presentazione del libro senza libro. Alla vista del sangue ho cominciato a dire semplicemente “è finita. Sono morta”. E sono state proprio quelle parole incoraggianti a far comprendere al povero Nippotorinese che la giornata più lunga della sua vita non era stata Giovedì 16 Maggio 2013 bensì quella che stava appunto vivendo.

Una volta (due anni fa) ho sbattuto la testa, esattamente nello spigolo dell’anta della cucina (sbaglio o cado, sbatto o inciampo continuamente?). Pochi giorni prima aveva destato scalpore la notizia della moglie di un personaggio famoso che non ricordo chi fosse che era andata a sciare. Aveva battuto la testa in maniera non troppo preoccupante e quindi non aveva fatto nessun controllo. La sera era andata a cena allegramente con i suoi pargoli e la sua famiglia. La mattina colazione a base di cornetti e il pomeriggio dentro una bara morta per trauma cranico ed emorragia interna.

In pratica quello che sarebbe successo a me. Sarei andata alla presentazione in ritardo e avrei trovato Enrica con i fiori che aveva scelto la Bionda. Mi sarei arrabbiata con la bionda per non aver scelto fiori degni di Enrica.  Avrei fatto la sorpresa a tutti con l’arrivo delle mie amate Cri e Ale. Avrei abbracciato Ellli e Bianca. Avrei pianto dicendo fesserie. Avrei pranzato da Soup&Go e pianto poi all’incontro informale. Avrei pianto poi alla Pinacoteca. Sarei andata da Estella a Vaie con le macchine affittate (piangendo) dando prova delle mie doti da pilota (papà orgoglioso!) nonostante il cambio manuale e.

E poi non sarei arrivata all’Hafa Cafè perché mi avrebbero portato giù con una bara al Golden Palace e tutti avrebbero mangiato Cous Cous alla Norma nella hall piangendo (e anche un po’ ridendo) la mia precoce (ma neanche troppa) scomparsa.

Per tranquillizzare mamma e papà in partenza all’aeroporto di Caselle, ho chiamato dicendo che mi sanguinava la testa ma che stavo bene. Che se fossi morta volevo che tutta la mia eredità andasse ai bambini bisognosi e che le mie borse dovevano essere divise tra le amiche fidate e che mi sarebbe piaciuto se fossero andate loro alle presentazioni del mio libro in uscita postuma. E che se per favore potevano fare stare Enrica nella mia casa nuova perché solo lei sapeva come prendersi cura dei miei nani.

In pratica affidavo le mie memorie a mamma, leggermente agitata, mentre insanguinata mi dirigevo in albergo al grido di: morirò. chiamate Enrica. Ditele che l’ho amata. Recuperate le sarde.  I fioribestiabionda. I nani, aiutate i nani. Il Nippo non fatelo risposare. Ah vero non mi ha sposato!

E in questo stato confusionale sono entrata nella hall dell’albergo dove ad accogliermi ho trovato la gentilezza del personale che avrà fatto fatica a trattenersi da grasse risate  considerato che si trovavano davanti una sicula pazza con fronte insanguinata che diceva “avevo la presentazione del libro allapinacotecaenricacirimarràmalissimononpossofarcelaaiuto”.

E mentre mamma (gridava all’aeroporto di Caselle “ridatemi le valigieeeeeeeeeeeeeeee devo andare da mia figlia sta morendoooooooooooooooooooo”) e papà (l’unico calmo che mi diceva “amore tranquilla. respira. tra poco starai bene e tutto passerà. sei solo un PO’ NERVOSA”) venivano rassicurati da un più razionale Nippotorinese  che diceva ètuttoapposto, bestiabionda veniva informata insieme a Bianca che ci saremmo diretti all’ospedale. Gradenigo.

E fu questo il luogo dove continua e per certi versi comincia l’avventura. Certo è che adesso tutto sembra comico e divertente. Anche a me viene discretamente da ridacchiare ticchettando con la mia ferita ancora in fronte, manco fossi una novella Harry Potter (sempre di magia si tratta no?) ma sta di fatto che in quella corsa tra la vita e la morte (uff. ai fini del racconto “tra la vita e la morte” è necessario, suvvia) piangevo invocando tutte le divinità. Ero preoccupatissima del fatto che papà e mamma avrebbero perso una figlia e che alla domanda “ma come è successo?” la risposta “ha sbattuto su un palo in Piazza Solferino dopo aver affittato due macchine perché doveva andare a Vaie ma prima di presentare un libro senza libro alla Pinacoteca Agnelli dopo un incontro informale” fosse una risposta alquanto articolata e difficile da comprendere.

Perché parliamoci chiaro anche io che so esattamente cosa sto dicendo (si fa per dire) non capisco.

Il tassista ci molla lì. Bianca è bianca davvero in volto (ha con sé nove chili di focaccia genovese con la cipolla) e mi guarda con gli occhi sgranati e anche un po’ incerti che si domandano “ma perché sono qui con questa pazza?” mentre la Bionda ha un sorriso tra il disperato e l’allucinato. Solo Pier sa esattamente cosa mi frulla  in testa. Dico che stanno arrivando Ale e Cri e tutti pensano che sia la botta in testa a farmi vaneggiare. In quel momento avrei potuto pure dire che due più due faceva quattro e nessuno mi avrebbe creduto.

  • ” Ale e Cri, certo Gi. Adesso stai calma OCCHEI?”
  • ” Ma arrivano davvero ALE E CRI DALLA SARDEGNA”
  • “Ok stai calma mora. respira”

Mi danno un codice verde mentre invoco un ricovero di urgenza al grido di “Non supererò la notte!”. Me lo dà una signora dolcissima che mai dimenticherò (smettetela di essere tutti adorabili a Torino! SMETTETELA!); come spesso accade con le meraviglie che incontro nel mio cammino. Severissima aveva rimproverato tutti dieci minuti prima. Io già tremavo perché aveva il piglio di chi prende a ceffoni pure una vecchietta dolorante. Cosa mai dirà a una scema che ha sbattuto su un palo di Piazza Solferino per recuperare un cappello? Come minimo mi manderà a casa senza una tac o otto mesi di osservazione. E l’immagine di me dentro la bara nella hall del Golden Palace prendeva sempre più spazio. L’immagine di Ale e Cri disperse a Cuneo pure. L’immagine della Bionda disoccupata che vende focaccia con la cipolla insieme a Bianca, Ellli e Paola pure.

Oltre al collare di Shanz che dovrebbe immobilizzarmi perché il contraccolpo potrebbe poi farsi sentire (hanno omesso di dirmi: vista l’età) in grassetto: Stato d’ansia (credo che l’avrebbero voluto  sottolineare ma non hanno trovato gli evidenziatori psichedelici).

Il collare di Shanz è poi servito a distanza di dieci giorni per proteggere la macchina fotografica infilata a forza in valigia. Bei momenti.

Invece quando mi sono seduta e sono scoppiata in lacrime esordendo con “Lo so che adesso mi prenderà per pazza ma sono ipocondriaca. Ma sono anche pazza a ben pensarci. Ho paura. Sono siciliana. Sto con un Torinese. Amo Torino. Devo presentare un libro al Salone del libro e non ho un libro e ho sbattuto su un palo di ferro in piazza Solferino per cercare il cappellino. E ho TANTA ma proprio TANTA paura. Morirò nella hall dell’albergo” ho trovato un sorriso.

E una voce dolcissima mi ha detto “come si chiama il tuo libro?”.

Per ben tre volte ho detto piangendo e biascicando la parola fumettoricette.

  • fumeroororooricedde – “cosa? non ho capito”
  • fumedddoririrciiuiiidtte – “cosa tesoro? non ho capito”
  • fumeddduriggeddi – “no. Non capisco. Lentamente. Respira”
  • fueufuuasdifasidasidadiad  (il Nippo interviene FUMETTORICETTE) – “ahhhhhh. FumettoRicette!”

Alla quarta siamo riuscite a capirci grazie all’interprete Nippo; che ci avrebbe pure una laurea per questo. Solo che aveva studiato per tradurre i giapponesi agli inglesi, non siciliani a torinesi in ospedale.

Mi ha detto che tutto sarebbe andato bene e che mi avrebbe visto il dottore. Che avrei fatto la presentazione. Che non sarei morta. Che non ci sarebbe stato nessun trauma cranico o emorragia sconosciuta. Che sarei sopravvissuta. Che non sarei morta in albergo. E io ero felice di morire così. Tra le menzogne di una dolcissima infermiera Torinese. Dico al Nippo che vorrei rivedere per l’ultima volta Enrica. Mi spiega con tutta la calma che possiede (ma dove la trova?) che Enrica sta lavorando e che la rivedrò. Riderò con lei. E.

Ma non sento nulla. Sono tutti carini e accondiscendenti ma io lo so che morirò. Bianca si avvicina e mi abbraccia. Mi guarda con i suoi occhi profondi in cui perdersi, che raccontano favole nere. Muove i capelli fitti di dolore ma che io vedo sprizzare più bellezza. Mi incoraggia tra una porta scorrevole che si chiude. Un signore in barella che entra. Un piede gonfio. Un vecchietto che chiede soldi.

Attendo il mio numero e nel frattempo due suore con il cranio spaccato si fanno largo come un triste presagio. Soffoco una risata isterica. Soffoco delle urla. Una donna incinta. Un vecchietto paralizzato. Un bambino. Una signora con il piede gonfio.

GUARDO!

Sonoiosonoio. E devo entrare sola perché maggiorenne ( siamo sicuri?). La cosa non mi piace. Vorrei che mi accompagnasse il Nippo perché in fondo chi lo ha detto che sono cerebralmente maggiorenne? Entro. Il dottore e l’infermiere guardano una con il mascara colato e il ghiaccio sulla testa. Con un po’ di sangue nelle maniche. Con una faccia così brutta e orrenda da sembrare strafatta di qualche allucinante allucinatorio.

Cosa le è successo Signorina? E già mi fanno simpatia perché se non ti chiamano Signora significa che sei giovane. Mi siedo distrutta sul letto e piangendo racconto l’accaduto come ho fatto prima alla dolcissima infermiera dell’accoglienza. Al dottore scappa un sorriso quando gli dico “sopravviverò?”. Mi dice che sono simpatica. Gli vorrei dire che anche lui lo è come tutti i Torinesi ma deve salvarmi. L’infermiere per poco non mi dà una caramellina come si fa con i bambini e mi dice tranquilla, poggiandomi una mano sulla spalla (un altro torinese dolce e simpatico. BASTA! Prendetemi a ceffoni!). Pier dice sempre che quando mi accadono queste cose (sintomo che non è la prima volta, sì) regredisco ancora di più e assumo le sembianze di una seienne. E forse è vero. Perché tutti cominciano a parlarmi come se fossi davvero una bimba.

Il Dottore mi dice “respira. piano. su. tranquilla. nonèsuccessonienteorapassatutto”.

“Su un bel respirone”.

E io uuuuuuuuuuuuuuuhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh. Un bel respirone. Lo guardo anche per ricevere conferma che sono stata brava. Mi piacciono le conferme.

Alzo il dito come a voler dire una cosa. Come si fa all’asilo e alle elementari ma anche alle medie. Come fanno i secchioni insomma. E cerco di raccontare l’episodio della sciatrice e lui trascrive nel referto “forte stato d’ansia”. Mi impone di prendere un’Efferalgan ma io che non l’ho mai presa mi rifiuto e patteggiamo per prenderne metà. Mi dice che è la dose dei bambini. Gli dico che è perfetta. Mi dà il collare dicendo che il contraccolpo mi provocherà dolori al collo. Gli dico che ho paura del collare. Il tempo per fare l’incontro informale al Salone è saltato e io voglio solo piangere, disperarmi, urlare e chiedere perdono a Enrica e a tutta la Mondadori che ha creduto inspiegabilmente in me per poi ritrovarsi una che piange alle presentazioni e sbatte sui pali di Torino in cerca di un cappellino.

Il Dottore mi fa dire il titolo del libro e mi dice che lo comprerà. L’infermiere mi incoraggia ancora e l’adorabile infermiera dell’accoglienza mi dà la mano e ci abbracciamo arrivederci e grazie. Sopravviverà. Prenda l’Efferalgan. Metta il collare.

Si vergogni di essere così cretina dieci minuti al giorno non me l’hanno detto ma io sì.

Ora sarò onesta. A distanza di quasi due settimane sono ancora convinta che ci sia un’emorragia sconosciuta in corso e che a breve morirò. Mi dispiace un po’ il fatto che non accada al Golden Palace perché fanno un buon  aperitivo e Gianluca, che adoro, al bar avrebbe pure potuto servire degli ottimi Bellini contando che ha vinto anche un premio nazionale.

Il Golden Palace è diventato ormai la mia famiglia, diciamolo. E mi viziavano pure con tante olive e coca zero. Sono arrivata insomma all’ora dell’aperitivo a dire “il solito”. Morire lì sarebbe stato:

bellissimo.

In un’altra circostanza dopo l’accaduto palopiazzasolferino avrei telefonato e detto che non sarei andata neanche all’ABook. Che non potevo perché avevo un trauma cranico e un’emorragia non individuata in corso e che con calma dovevo organizzare il mio funerale ma.

Improvvisamente un neurone ha cominciato a funzionare  (TADAN ! silenzio in sala. colpo si scena) 

Ed è stato esattamente quando ho abbracciato Ale e Cri che mi aspettavano in albergo. E’ stato quello il momento in cui ho capito che in fondo potevo pure morire ma che glielo dovevo. Che non erano potute venire a vedermi piangere Giovedì e quindi adesso dovevano vedermi piangere alla Pinacoteca in un’altra presentazione di un libro senza libro. Rivedere i loro occhi e abbracciarle è stato un prosieguo di qualcosa che era già avvenuto. Che non era la prima volta. Sentirmi tra le braccia di Ale che mi rassicura e di Cri che mi dice che andrà tutto bene mi ha alleviato dei dolori che mai avrei creduto. La mia ipocondria si è fatta da parte mettendomi davanti qualcosa che più razionale e vero non poteva essere. Ale e Cri in quel momento hanno rappresentato come la sincerità, la costanza e l’amore vero e duraturo e inattaccabile possano andare lontano. E anche oltre.

E io che non mi dovevo e volevo niente, ho deciso di doverlo e volerlo per loro. Di volerlo e doverlo a Enrica che per mesi aveva parlato della Pinacoteca e di quella foto sul tetto che non c’è stata ma ci sarà. La forza più grande in questo percorso e viaggio l’ho trovata non tanto dentro di me quanto dentro gli altri. E mai come in questo cammino mi sono sentita amata, compresa, capita e disperatamente voluta. Ho davvero pensato di valere qualcosa. E la sensazione è stata talmente (e  infinitamente) grande da far male molto più che una fantomatica fantasiosa emorragia mortale.

Lo dovevo a Bianca che carica di focaccia genovese aveva camminato ben più che Austria-Genova-Finedelmondo-Iniziodelmondo-Torino. Lo dovevo a Ellli che avrebbe lanciato dai suoi occhi fotografie in bianco e nero che turbano e affascinano. Lo dovevo a Paola in quanto meravigliosamente Paola.

Le foto sono state gentilmente scattate dalla Bionda. Si ringraziano quindi le inquadrature sbagliate (quanto mi piace trattarla male. Quanto), le luci orrende (ma non ce l’avevi un faretto in borsa?) e le composizioni fantasiose (le più belle le tengo per me).

Sono arrivata all’ABook con un cerotto a forma di stella in testa. Oltrepassando l’orda giovanile del sabato pomeriggio che affolla il centro commerciale e il Salone del Libro. Dribblando con il senso di orientamento di un suricata drogato branchi di ragazzini abbracciati e truppe di quindicenni truccate come se dovessero manifestare al Drag Queen Day (perché tutto questo blush? parliamone).

Sono arrivata salendo le scale che portano lì tra vetri e sogni con anime che amo da anni sulla rete. E che si sono unite in un girotondo di amore e comprensione per non farmi avere paura. Può essere stucchevole e lezioso il girotondo d’amore ma  ti assicuro che no. Questa volta è un’immagine evocativa e tutto fuorché stucchevole e leziosa.

Coccolandomi senza giudicarmi ma semplicemente guardandomi, avvolgendomi e rassicurandomi. Abbiamo corso scale sotto la pioggia per poi afflosciarci in divani pericolosamente belli (NON SONO CADUTA! Miracoloooooooooo. Evviva San Gennaro! Cosa c’entra San Gennarononloso) tra commozione, focaccia genovese alla cipolla e paste di mandorle. Che per poco non sono stata arrestata per spaccio illecito.

Non sono arrivata neanche a pubblicizzare l’evento su twitter-facebook-google plus e social a caso. L’avrei potuto fare ma anche qui. Non avrei voluto che. Fosse diverso.

Il proprietario di questo universo di Arte, Cultura e finezza Fabio Castelli si è visto piombare nel proprio tempio tra pop up di sapere, libri preziosi e oggetti ricercati una matta invasata affannata dalle scale che aveva corso in un pericoloso labirinto ad ostacoli di sensazioni e paure. Avere l’opportunità di sfogliare insieme a lui i libri, che tratta come creature viventi e ne racconta come figli, è stata l’ennesima esperienza che può cambiare la vita. E lo ha fatto. E’ diversa adesso. La mia vita.

Sono riuscita a non piangere e dire due parole mentre una pazientissima Valentina Lindon (inchino e cuoricini) illustrava una delle prime forme di impaginato del mio libro (che fa sempre un po’ impressione dire mio libro. Un po’ Gollum  come nel mio tesoro. Solo che Gollum è più carino ed emotivamente più stabile di me). Sono riuscita a non sbattere la testa contro nessuna vetrina e sono riuscita pure a non inciampare nella lampada centrale che al contrario il Nippotorinese stava buttando giù in un tripudio di follia cosmica che si è impossessata del luogo come spesso avviene quando io ed Enrica stazioniamo in uno spazio. Che sia ristretto o all’aria aperta poco importa.

Come in un film anni ottanta diretto da Craven, qualcosa di oscuro e misterioso nei cosmi e negli allineamenti astrale avviene e l’assurdo insieme a tutto quello che di più slegato alla realtà c’è: accade. Telefoni senza batteria che suonano, suricata fucsia che saltellano dentro barche di arabi tra diamanti luccicanti in vetrine girevoli e nani che abitano dentro “Casa Giulia” (e su queste frasi sento solo il suono della voce di Enrica che dice: “E’ tutto vero”).

Tra gli innumerevoli regali che ho ricevuto. La fragolina  della bellissima Valentina  che puoi trovare su Pinfulandia

Leggendo il cartello che informava della mia presenza mi sono sentita talmente piccola da desiderare di diventare una lettera minuscola di un libro e nascondermi tra le onde di pop up. Vedere Valentina che si avvicina regalandomi una fragola mentre con la sua bellezza incredibile e mi dice “ti seguo da tanto tempo e ho fatto questo per te e… sono emozionata”.

E.

Sei emozionata tu, Valentina? Di conoscermi?

E’ strano come la vita faccia interpretare situazioni e momenti in modi talmente diversi da creare universi in universi. E’ assurdo come non si possano vivere le emozioni degli altri pur immaginandole ma comunque non riuscendoci. Ed è magico come le anime che si sfiorano riescano a creare movimenti che mai sarebbero accaduti prima.

L’ABook lo ricorderò come l’inizio dell’impegno. Come tutto possa essere immensamente grande ma è sempre rimanendo piccola, e te stessa, che riuscirà ad essere vero. Sincero. Non costruito. Magico e avvolgente.

Sarò onesta nel dire che avrei voluto fare molto di più. Essere all’altezza di una situazione dove si sapeva già non potevo riuscire ma. Ma dentro quelle mura di vetro dove tutti potevano vedere ci siamo stati Noi. 

Non solo Iaia. Non solo Maghetta.

Ed è stato giusto così. Con i cerotti a stella sulla fronte. Con la cipolla oliosa della focaccia. Con la mamma di Francesca che non smetterò mai di ringraziare per le melanzane (eh sì devo ancora raccontarvi delle melanzane!). Con la promessa che ci rivedremo; che diciamolo è già tanto e troppo. Per me.

Un grazie davvero speciale al Signor Castelli che mi ha concesso questa grandissima opportunità. E’ stato un grandissimo onore. Sfogliare i libri con lei e poterla ascoltare sarà l’ennesimo indimenticabile ricordo che custodirò nel cuore.

Grazie a tutti quei libri, di cui purtroppo pochi sono potuti venire con me (e li mostrerò in un post dedicato perché pazzeschi!), che nel cuore rimangono e rappresentano:

amici e sogni.

Proprio come voi. Che adesso è finalmente:

Noi.

QUESTO POST È STATO PUBBLICATO IL: 

23 COMMENTS

  1. eri bellissima. Anche col cerotto, il giorno dopo e. E io, senza sapere nulla, domenica mattina prima di incontrarti all’Hafa, ho sbattuto dentro la porta vetri della Coin. Ti voglio brand <3 anche per questo

  2. quindi mentre cercavo di capire se ti avessi vista il sabato, tu ti facevi coccolare al pronto soccorso?!
    sei mitica, giuro!
    <3

  3. eppure sembrava molto più assurdo quando succedeva e si costruiva questa giornata “pazzesca”.
    te la ricordi la mia faccia sul taxi quando mi hai detto di Ale e Cri? ecco ricordatela visto che ti è costata la consunzione dei palmi u.u maledetta.
    emozione.
    ancora emozione che non smette.
    e quella libreria era davvero un posto di favole e sogni, non potevi andare da nessun’altra parte, tu.

  4. secondo me è stato tutto programmato. per poter scrivere un post così.
    che senza testata non ti riusciva uguale, ammettilo <3

  5. Un film. Questo post è un film! Comico, manco a dirlo! Sto ridendo tanto da svegliare il bambino. Che poi è quello che dico sempre anche a lui quando si fa male e corre a piangermi tra le braccia: “non è niente, adesso passa”
    Che bedda che sei!

  6. che ridere.scusa non per te,per la botta,per il cerotto.per.
    storidacchiandocomeunascema 😀
    il cerotto era tinta carne, nonsivedevappeniente 😉

    ha ragione Bea,è la sceneggiatura di un film!!

  7. e che spavento io e Estella quando abbiamo saputo del ‘povero palo’ e seguente visita al Pronto Soccorso! Ci siamo guardate in faccia, pensando alla spesa fatta, alle verdure pulite e cotte e dove portarle a Torino… 😀 TVB <3

  8. e tu impavida donna al confronto della quale, braveheart era un cagasotto, nonostante la ferita (e diciamocelo nonostante l’asterisco di steril streep) hai guidato fino qui, sei una adorabile sbadata <3

  9. Ma vogliamo parlare del Nippo che ti tiene la borsa e ascolta tutto con aria trasognata?! Vogliamo parlarne?!
    No, forse no.

  10. questo post è un libro…anzi un capitolo di un libro pazzesco…la tua vita.
    Ho riso, sorriso, mi sono emozionata. Tu hai questa capacità quando scrivi..c’è poco da fare.
    Certo… solo tu ( ma anche no!) potevi sbattere in un palo il giorno della presentazione 😀 ma penso che in fondo anche questo possa servire a farti superare alcune paure. Tutto si sistema. Tutto va come deve andare.
    E sai pure guidare senza cambio automatico!!! 😛 eh!

  11. eh ma io ci devo andare. intanto batto i piedi e mi ribello.

    (ho passato una sconcertante varietà di fasi emotive ed espressioni facciali mentre leggevo. mia madre rideva guardandomi. ora vado, ho le zucchine sul fuoco. ed è preoccupante perché ho davvero le zucchine sul fuoco che mò se bruciano.)

  12. Ma la targa commemorativa sul palo di piazza Solferino è stata apposta o ancora no? “Qui sbattè la testa l’illustre cittadina onoraria nonchè blogger pricola(va)bile IAIA GUARDO” 😆

    • ahahahahah <3
      ma che faccio?
      scrivo al comune di Gravina ?
      ( ho sbattuto esattamente su "COMPRO ORO" . Bei momenti Titti mia. Bei MOMENTI !)

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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