Ricette Vegetariane e Vegane

Risotto alla Zucca, Cimiteri e Burton stasera?

Credo sia in assoluto il primo risotto che ho cucinato in vita mia. La prima volta che ho letto di questo risotto è stato sul Forum Pigrecoemme; stiamo quindi parlando del paleozoico della rete e dei miei ricordi più importanti (intorno al 2002-2004). L’ho fatto una sera di un decennio fa, con le mie amiche e mia cugina. In una cucina rustica e poco attrezzata. Tipo che lo sbattitore elettrico era fantascienza, per dire.  E lo abbiamo infilato dentro un’enorme zucca. Non lo sbattitore eh. Il risotto; che io con la sintassi ho poca confidenza certi giorni. Non avevo buona memoria allora, eppure quella sera la ricordo come fosse passato un giorno appena. Oppure vaneggio soltanto perché arrivati ad una certa età cominci con i ricordi. Che ricordi a modo tuo, intendo.

C’era  il Nippotorinese venuto da poco da Shanghai. O forse era Taipei. O forse era Tokyo (vedi? Ne scelgo uno  a caso? Taipei. Che mi ha pure portato un elefantino di seta dolcissimo vestito a festa. Verde. Mi conosceva poco). Ed ero felicissima di aver imparato a girare il risotto. Anche se non lo avevo cucinato io. Girarlo era già una conquista mica da ridere per una che ha acceso il fornello a trent’anni.

Sul blog infatti, nel momento di transizione Fumetti-Etti di fumo, una delle prime ricette fu proprio:

Risotto alla Zucca, seppur con salsiccia; che ho messo offline perché nel tempo le foto si sono disperse.

Ricordo pure di aver fatto degli arancini alla zucca in quell’occasione, per un orgoglio siculo improvviso.  Inserisco questo semplicissimo risotto alla zucca in formato videoricetta nella Rubrica Cibo e Urla inaugurata con le Case Maledette, Psycho e gli involtini alla Norma (che se ti sei miracolosamente perso trovi qui). Il Riso e la zucca sono due degli ingredienti che amo di più e vederli insieme (seppur rovinati da burro e soffritti *disse con voce antipatica) mi commuove sempre un po’.

Proprio come la visione di Frankenweenie

 I colori di Burton. L’atmosfera tetra. Il cimitero, dopo le case maledette, rimane da me uno dei luoghi preferiti per ambientazione. Di vita, intendo. C’è un pezzo di terra proprio di fronte a un cimitero qui. Appartiene a noi e papà una volta mi ha detto, dopo mie insistenze “potrei costruire qui la mia casa, papà”:
“Ma amore no. E’ brutto abitare di fronte a un cimitero”.

E perché mai? Per me è un sogno; altro che incubo.

Ho sempre sostenuto fortemente che il detto popolare “bisogna avere paura dei vivi e non dei morti” racchiudesse nella sua infinita semplicità un concetto tanto importante quanto profondo.

Pet Sematary

è uno dei primi racconti letti in età adolescenziale. Un ricordo dolce e innocente mi lega a quella storia e a quel camion che investe il gattino puccioso. Al cimitero avvengono magie. Rivedi chi hai perso e seppur trasformato è sempre meglio del dolore atroce. Sono molte le visioni incentrate su questa terra di nessuno proprio perché di tutti. Non vi è nulla di macabro, angosciante e terrorizzante. C’è sola tanta sconfinata dolcezza e tenerezza frullate insieme a un infinito dolore che però pare siano l’unica strada.

Per incontrarsi ancora.

Amo andare nei cimiteri e farmi investire dal dolore. Contorcermi tra i pensieri più oscuri e angoscianti. Leggere i nomi e immaginare le vite. Guardare le foto e sorridere loro. Come a tenere compagnia. A conferma che no. Nessuno vi ha dimenticato.

E non trovo affatto sia bizzarro o malato. Trovo che sia un luogo da frequentare e spiegare a chi più piccolo è. E non intendo solo anagraficamente. Trovo che sia luogo di riflessione come tempio di dolore e serenità. Catartico.

Non c’è una volta che io non veda un abito bianco e un fantasma. Che i miei occhi come ologrammi disegnino quello che il cuore vuole vedere. Per annientare la razionalità.

L’anima e il seguito. L’immortalità. La continuità.

Perché in ogni racconto dove vi è un’anima perduta mai vi è cattiveria se condita da comprensione. Quello che ho imparato da questa passione per il nero è che non vi è buio senza luce stessa. Bisogna ascoltare la voce di chi non c’è più. Bisogna camminare tra chi ci ha lasciato. Bisogna non avere paura e demonizzare il marcio che c’è dentro di noi. Fatto di pensieri stupidi e luoghi comuni.

Il cimitero è il tempio dei ricordi e dell’amore. Solo se hai paura dell’amore e del ricordo non puoi attraversarlo serenamente.

Ed è per questo che quest’anno ti verrò a trovare.

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14 COMMENTS

  1. sei stata al cimitero monumentale di messina?
    dovremmo andarci insieme.
    anche io passo a guardare tutte le foto, leggere date, immaginare vite.
    a volte sistemo le candele.
    e.
    e niente, la zucca è una delle cose più buone che.
    sì.
    [http://www.youtube.com/watch?v=H6V_Y6p3hq4]

  2. (mi ricordo una bara piccola e bianca.)
    i cimiteri danno pace. sembra che il respiro sia trattenuto lì. per sempre. l’aria è ferma. muoversi, camminare non è faticoso. a volte mi sono seduta. allora sì che è faticoso alzarsi ed andare via. viene voglia di restare immobili, lasciarsi inghiottire dal tempo che va sempre più piano. fino a sparire del tutto. esistere, in un altro modo.

  3. Ah! Io ricordo ancora con nostalgia le mie dodici (proprio dodici, lo giuro) zucche nate per caso nel mio giardino. Le avevo chiamate con il nome delle dodici note. E poi …poi le ho lasciate suonare in giro.

  4. Ho sempre amato i cimiteri, spesso ci vado da sola, per non turbare nessuno. Amo soprattutto quelli di campagna, quelli semplici, col cancello sempre aperto perché di certo nessuno fugge e nessuno è indesiderato, quelli con i lumini sempre accesi e quella penombra che sa di riposo, quella luce o quel buio in cui ti senti a casa. Vado spesso al cimitero ultimamente, a trovare il mio amico, a soffiare bolle di sapone con lui, a vedere cosa c’è oltre il muretto, raccontandogli di come siano cambiati i colori con l’autunno, di come sia bello comunque. C’è solo amore lì e ricordo. Ed è quello che in fondo mi auguro anch’io, che qualcuno si ricordi di me, prima o poi. Sentirsi pronti, avere atteso, essere preparati viene sempre sottovalutato, invece la consapevolezza è una grande risorsa, Occhioni Belli.

  5. Mio padre è stato un impresario funebre fino ai miei sedici anni, suo padre ha fatto lo stesso lavoro per tutta la vita… Ho imparato fin da piccola a non nutrire timori superstiziosi verso ciò che riguarda la morte, il rispetto per chi se ne va e per il vuoto che lascia, per il luogo dove riposa. È molto bello quello che scrivi. E sono felice che tu vada a trovarla, anche se, in verità, lei è già nel tuo cuore, dunque, sei sempre con lei e lei con te. <3

  6. Sono stata domenica scorsa nel piccolo cimitero del paese dove ritrovo tutti i miei cari, è come essere a casa, anni fa… Bisnonni, nonni materni e paterni, papà e mamma, zii e zie, cugini, qualche amico, sono tanti, tutti lì, assieme. Dico sempre che anch’io vorrò essere con loro. C’è silenzio, ordine, pace. E davanti al cimitero continua a scorrere il Tormo con la sua acqua sorgiva pulita e fresca, come quando ero piccola.
    Nei piccoli paesi il cimitero è anche luogo di ritrovo e così vedi anche sorrisi, con le lacrime…

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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