Ricette Vegetariane e Vegane

Guy e Rosemary – La “moscia” (mousse) al Cioccolato

La sesta coppia del Progetto San Valentino

Come ho avuto modo di ribadire piùpiùpiùpiù (ad libitum) volte, Rosemary’s Baby è un’altra visione che sento dentro (qui l’ho inserita in Cibo e Cinema). Da quando avevo poco più di tredici anni. Negli anni sono cambiate molte cose. L’amore viscerale per il Cinema del Sol Levante è arrivato solo ed esclusivamente grazie al Nippotorinese, senza il quale poco avrei imparato (in generale, intendo. Della vita stessa, specificando); c’è da dire che quello però che c’era “nella mia vita precedente” non solo è rimasto ma si è cementato. Rafforzato e insediato. Sino alle viscere. Ero davvero molto piccola e ingenua quando ho visto per la prima volta Rosemary’s Baby. Era in videocassetta. L’avevo vista in una videoteca; ma non certamente da Blockbuster che a Catania poi è arrivato in leggerissimo ritardo pari a più di un decennio rispetto al resto dell’Italia “civilizzata”. Si tratta infatti, di collocare l’esperienza Ammmerigana Blockbuster (e conseguente McDonald) nell’età di fascia d’età pari ai vent’anni. Prima però c’era Ciak. Gestito da una coppia giovane (lei addirittura credo fosse Venezuelana o comunque dell’America del Sud; roba che per la provincia catanese era qualcosa che andava “oltre”. Di una tale modernità da essere “razionalmente” inconcepibile. Retroscena: fuggì e divorziò dopo due anni ma insomma non è di questo che dovrei parlare, giusto?). Avevo la tesserina. Roba che se ci penso. Allora mi sentivo una persona adultissima (i superlativi non sono mai abbastanza).  Non avevo le chiavi di casa (le avrei avuto intorno ai vent’anni perché mamma si sa è di larghe vedute) ma possedevo il potere di una carta completamente intestata a me tutta carica (confesso che avendo due videoregistratori qualche volta ho commesso atti pirata registrando film in videocassette vergini. Ok Polizia Postale arrestatemi! Li facevo anche per parenti e amici. Gratis eh. Anzi ci rimettevo il tempo e il costo della videocassetta ma una Signora non dovrebbe far notare certe sottigliezze *disse buttando giù un po’ di tè con il mignolo alzato*). Uno dei primi film Rosemary’s baby che ho poi deciso di duplicare in barba all’illegalità insieme a Dirty Dancing.

Ahem… (che va detto all’epoca era assolutamente autorizzata. A me ad esempio l’ha spiegato il Signore di Ciak come duplicare. O forse era solo gentile e dolce. Emerge un quadro inquietante. Lui dolce e gentile e la Moglie giovane venezuelana che lo lascia. O è stato lui a lasciare lei? Ma perché adesso mi sono fissata con la storia matrimoniale del Signore di Ciak? Inspiro espiro e vado avanti. E se li inserissimo tra le coppie di San Valentino?)

Rosemary’s Baby. Una calamita. Già la copertina del film mi aveva ipnotizzato. Poi comincia innescando un’inquietudine reale che ha continuato a perpetuare nel tempo aggiungendo sempre più nuove sfumature. Negli anni. Nei decenni. Perché si comincia con quell’immagine della culla e il volto dolce di Mia Farrow in uno sfondo verde, che definire angosciante e paralizzante è riduttivo,  sotto le note “esaurite” e quel lalala-lalala (che se vuoi sentire – clicca qui. Anche se ormai  è quella di Pani che porto nel cuore, che se vuoi sentire – clicca qui). E’ un lalala rassicurante e raggelante. E’ come essere accolti finalmente da qualcosa di materno dopo un lungo freddo per poi sentirsi ghiacciare  l’anima. E’ un film che ha vinto Premi Oscar, Golden Globe, David di Donatello e qualsiasi tipo di statuetta e riconoscimento (e sono sempre pochi). Roman Polanski, lasciando perdere le questioni personali che non conosco e dalle quali mi discosto fermamente, ha tutta la mia stima. Visiva. Dopo L’inquilino del terzo piano che mi aveva mandato al manicomio tanto per bellezza, ha poi fatto l’en plein. Una denuncia (che gli costerà poi molto in termini personali, suppongo) contro le aggregazioni potenti degli ambienti “alti” newyorkesi, vere e proprie congreghe del potere maligno. Da qualunque punto di vista si voglia vedere. Ma procediamo con calma *disse tirando un sospiro di sollievo; anche perché devo tenere a bada la mia smania di parlare delle letture che ho fatto al riguardo e concentrarmi, visto il tema, solo ed esclusivamente (vabbè con meno disciplina di quanto sto professando) sulla coppia protagonista (ma è difficile non diretuttoquellochevogliodire *sempre tutto di un fiato).

La storia è semplice. E’ un amore semplice quello di Guy e Rosemary. Il primo aggettivo che è venuto fuori è stato questo e lo tengo. Convincendomi di non aver sbagliato mentre continuo a ticchettare. La trama di Rosemary’s Baby, nonostante vada collocato in un periodo cinematografico naturalmente ben lontano dall’attuale, non è che abbia qualcosa di così “contorto” o “complesso” (a mio modestissimo avviso rispetto all’Inquilino del Terzo piano che vedo più articolato). A ben pensarci leggendo la trama potrebbe pure apparire “noioso” e per certi versi scontato. Questo lo aiuta ancora di più nell’intento. Di fagocitarti e assillarti, poi. Due giovani innamorati cercano una casa ma troveranno qualcosa di inaspettato e diabolico. Vabbè tanto vale che mi guardo una puntata di American Horror Story, si può dire. Adesso, intendo. Errore madornale. Lo stesso che si fa pensando che l’Esorcista “non è poi questo gran spavento” (girati un attimo. No, così ecco. Spetta *arriva il ceffone a pieno volto* La prendo sempre molto bene, sì).

Guy Woodhouse è un attore all’inizio della carriera. Un bell’uomo che fa teatro, vestito bene, parla bene, bei capelli, belle scarpe. Sposato con Rosemary, giovanissima e innamorata con abitini che ricordano collezioni di Dior (delle più belle tra l’altro; non che ce ne siano mai state di brutte  a ben pensarci, ma sono ancora sconvolta per l’abito di Jennifer Lawrence ai Golden Globe di quest’anno. Il lenzuolo insalamato alla cintura fetish. Confesso mi ha turbato per la prima volta). Una vita davanti e l’avventura dell’amore. La fiducia reciproca e il bisogno di stare sempre insieme per scoprirsi. Trovano in un elegantissimo palazzo un appartamento perfetto, che neanche nei sogni, anche se tutto il condominio è interamente abitato da persone anziane e quindi totalmente in antitesi con la loro giovinezza, voglia di scoprire e desiderare sogni. Persone altolocate in cerca di tranquillità dopo successi con il solo sogno di vivere qualcosa di diverso della propria vita. Delle sanguisughe in cerca di giovinezza perché è chiaro sin dalle prime battute. Guy e Rosemary sono il ritratto dell’amore semplice e un po’ maschilista. Lei vuole a tutti costi assecondarlo e piacergli. Cambiando pettinatura, dimostrando un gusto impeccabile nell’arredamento della casa e con la voglia di sfruttare gli spazi il più possibile anche organizzando cenette romantiche e alternative. A lume di candela sul pavimento in una stanza non ammobiliata se non da speranze. Un bambino in arrivo e un futuro florido si associa ai primi successi di Guy che immediatamente (e inaspettatamente) per una serie di coincidenze arrivano. La corda narrativa sta proprio nell’amore semplice e feroce che Rosemary ha nei confronti di Guy; amore che sfocia nella sudditanza. La semplicità sta nel non voler, a tratti volontariamente, notare quello che così oscuro non era. Certo è che non si potevano prevedere risvolti angoscianti e a tratti irreali, ma è quell’amore semplice, univoco e pericoloso che porta  alla distruzione di se stessi in primo luogo e del concetto di amore poi. Fermo restando che dopo l’annientarsi il resto conta poco. Rosemary è incatenata nelle sue buone maniere ed è per questo che non riesce a svincolarsi dai suoi doveri di “moglie perfettina” quando l’invadenza dei due anziani coinquilini Minnie Castevet e Roman prende il sopravvento; anche (e soprattutto) quando Guy ripetutamente esaudisce i desideri e le voglie dei due anziani rompiscatole piuttosto che quelli della sua donna e futura mamma.

Semplice come lo è il Diavolo. Nella manifestazione più pura del Male allo stesso modo in cui accade nel Bene. Gli elementi c’erano tutti e non erano nascosti. Lampante quanto la sottomissione di Rosemary che rimane donna, moglie e mamma vittima in principal modo di se stessa. Rosemary nella coppia rappresenta l’antitesi dell’amor proprio e del rispetto che ognuno non solo dovrebbe ricevere ma pretendere. Anello debole di un sistema maschilista, si ritrova a essere più volte aiutata insistentemente da un amico per poi finire tra le braccia del male sotto una nenia dolorosa e angosciante che riecheggia. Lalalallala.

La radice di Tammis contenuta nell’amuleto che Minnie la costringe a portare e i segni inequivocabili che una nube diabolica e perversa aveva avvolto la sua esistenza sono alcuni tra i tanti elementi che Rosemary ha a disposizione. L’amore cieco e la voglia disperata che tutto andasse bene come aveva progettato mentalmente le faranno percorrere una strada costellata da menzogne che la porterà dritta verso un dirupo.  Guy dopo un sabba infernale fatto di scene diaboliche e oscure abusa letteralmente del corpo di Rosemary; neanche questo riesce a farla rinsavire. Mostruosa, sottopeso e con dolori lancinanti capisce con non poche difficoltà che tutta la sua esistenza  poco importa a Guy (vabbè insomma Rosemary non era particolarmente intuitiva. Mettiamola così *segue risatina soffocata*).

Semplice come quando vedi una coppia che non è felice. Che tenta di far passare un messaggio di perfezione inesistente per nascondere il dolore. Capace di vendere la dignità e la propria vita in nome del fantomatico “successo”. Non apprezzo molto Rosemary da un punto di vista umano. Se quando avevo quattordici anni credevo fosse vittima, adesso le attribuisco ancor più il ruolo di carnefice. Certo è che non essendo madre potrei sbagliare. Potrei rifugiarmi nel mio senso materno attualmente inesistente e sciorinare luoghi comuni facilissimi sull’essere madre e su come cambi. Cosa provi. In questi decenni ho capito, facendone addirittura poi tra le poche ragioni di vita, che cedere alle debolezze significa non vivere. Non vivere significa come in un circolo vizioso non lodare la vita. Non lodare la vita significa vivere in uno stato di morte. E per quello direi che c’è tempo abbastanza per farlo con calma.

Rosemary è la donna debole che ama nonostante tutto. Che cede nonostante tutto. Che accetta nonostante tutto. Perde un amico, di quelli che veri che darebbero e danno la vita, piuttosto che fuggire-indagare-risolvere. Rimane ferma in un punto senza lottare. Completamente fagocitata e cullata dal suo dolore si rifugia in quello che di più marcio c’è. Guy e Rosemary sono in assoluto nel mio piccolo immaginario quello che non dovrebbe essere una coppia e un amore su tutti i fronti. La menzogna di nascondersi. Di essere altro per ottenere altro ancora. Non rispettarsi e annientarsi. Volersi aggrappare più al sogno che alla realtà stessa. Guy e Rosemary sono la vergogna dell’amore e per questo creatori di quello che più malvagio possa esserci. Non sono eroi di niente se non nel male.

In cuor mio ho sempre sperato che ci fosse un seguito ben diverso. Che lei si avvicinasse alla culla e non lo crescesse come figlio suo, come diabolicamente le sussurra all’orecchio Roman, ma avesse la forza e il coraggio di fuggire (pretendere che lo uccidesse immolandosi così a eroina era difficile). E’ una culla nera che genera nero. E’ un finto amore colmo di odio che genera odio. E’ un tipo di coppia e di amore che può creare solo buio e mai luce.

E’ un film che tutt’oggi è all’avanguardia (il primo film in assoluto dove si sente la parola shit, tra l’altro. Mi piace sempre ricordarlo perché mi sa di rivoluzionario) per significato, fotografia e regia. Si nascondono dei segreti e delle leggende paurose sul Dakota di New York (dove aleggiano leggende su leggende. John Lennon abitava lì e fu ucciso proprio davanti al palazzo giusto per dirne una. Dieci anni dopo l’uscita del film); ovvero sul palazzo dove venne girato. I protagonisti dovevano essere Jane Fonda e Robert Redford (anche Jack Nicholson era stato pensato per il ruolo di Guy). Gli avvenimenti, infatti, che si susseguono dopo l’uscita di Rosemary’s Baby sono altrettanto angoscianti. La moglie di Polanski com’è risaputo (incinta) fu assassinata brutalmente dai membri della Famiglia di Charles Manson durante gli anni sessanta. Se ne è discusso molto anche attraverso sequenze fotografiche e ricostruzioni. Il fatto che Roman Polanski stesso si sia fatto fotografare nella casa dove è avvenuto il massacro con sullo sfondo la scritta “Maiale” (realizzata con il sangue secco della moglie uccisa) qualche tempo dopo, dà una nota ancor più agghiacciante (come se ce ne fosse bisogno. E come se ce ne fosse bisogno furono pubblicate le foto del massacro, che purtroppo ho visto PER SBAGLIO *tengo a sottolineare* e che mi hanno reso larva tanto è stato inaspettato e doloroso. Oltre che vergognoso nel renderle pubbliche).

Certo è che adesso “abbinare” una ricetta dà quel tocco vergognoso di poca sensibilità (che non possiedo, per altro) che potrebbe anche lasciare ancor più sbigottiti i coraggiosi masochisti che fin qui sono arrivati eroicamente. Ci sono diverse scene di cibo e correlazioni con questo e nonostante  la cenetta sul pavimento sia quella che riassume “l’amore” di  Guy e Rosemary, ho deciso di riproporre un Classico della visione; ovvero la Moscia al Cioccolato. Quella che serve per nascondere il sonnifero prima del Sabba. Ne ho parlato diverse volte della “moscia di Minnie” (anche qui). Per quanto riguarda la Cenetta sul Pavimento ho altre diaboliche idee *disse ridendo in preda alla schizofrenia.

E poi diciamocelo. E’ pur sempre in arrivo questo stramaledettissimo giorno cuoricioso. Si ha voglia di cioccolato e non di cibo d’asporto (non sono completamente d’accordo con questa mia affermazione ma voglio mentire/mentirmi e lasciarla lì come monito della mia immensa e sconfinata idiozia).

Ganache al cioccolato al sentore di Cannella dei Maestri Pasticceri Italiani: Per ogni 300 grammi di cioccolato fondente fuso vanno circa 3 dl di panna fresca e 1 cucchiaio di cannella e indicativamente bastano per 4 persone molto golose. Ma anche sei.
Trita molto finemente il cioccolato e fallo sciogliere a bagnomaria o se preferisci  come me dentro il micro. Mescola dentro la cannella fresca in polvere. Porta la panna a ebollizione nel pentolino e non appena inizia a bollire versa il cioccolato e mescola con movimenti lenti e precisi. Trasferiscila in una coppa o dove preferisci servire e conserva in frigo coperta da una pellicola.
Togli dal frigo almeno quindici minuti prima di servire e se non sei a dieta: puccia dentro chili di biscotti o inonda di panna montata a patto che sia montata fresca e non in quella orrenda bomboletta pronta.
 
(si può aromatizzare come si preferisce)

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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