Ricette Vegetariane e Vegane

Chow e Su – La Zuppa di Semi di Sesamo che verrà

La dodicesima coppia (e non è un caso che sia questa la Dodicesima)

Se chiudi gli occhi e ti concentri perfettamente sulle corde che suonano Yumeji’s Theme di Shigeru Umebayashi puoi sentire attraverso la musica e gli intervalli quello che racconta l’amore mai sbocciato, e solo desiderato, di Chow e Su. Puoi soffrire la stessa agonia che si intervalla al rallentatore tra le sbarre di una finestra che non puoi aprire. Perché è la finestra di un carcere. Puoi sognare di percepire il desiderio sussurrato nel buco di un tempio e coperto da erba fresca nella speranza che sbocci. Quello che mai ha potuto vivere tra la terra dei pregiudizi e nel tempo sbagliato. Oggi con In the mood for love è difficile. Con Chow e Su è impossibile esprimersi. Lo sarebbe ugualmente anche se fossi sola e non attorniata da muratori, distruzione casa e cartongesso. Lo è sempre. In the mood for love di Wong Kar Wai non è un film. Non è neanche un’esperienza visiva. Non è un’allucinazione. Non è una fiaba. Non è neanche un’avventura. Come lo sono state tutte le coppie sino ad adesso, e non soltanto di questo piccolo progettino casalingo che non è stato curato come avrei desiderato.In the mood for love di Wong Kar Wai come tutto quello che porta la sua anima e firma è qualcosa di talmente forte, travolgente, riflessivo ed enigmatico che trasforma i pensieri e il cuore in un cubo di Rubik incapace di essere risolto. E’ qualcosa che ti rimane per sempre e dove sempre trovi e cerchi. Fa parte di un eterno passato. E’ come se diventi parte del passato della tua vita.

“Quando ripenso a quegli anni lontani è come se li riguardassi attraverso un vetro impolverato. Il passato è qualcosa che puoi vedere ma non toccare. E’ tutto ciò che vedi è sfocato e indistinto”.

 

Finisce così la pellicola che a me ha cambiato il modo di concepire il turbolento rapporto con il mio mondo passato. Finisce così allo stesso modo la visione che è diventata maestra nel cercarne un punto di forza e mai debolezza; per non arrendersi ai rimpianti e per non trastullarsi negli sbagli talvolta imperdonabili. Il regista racconta il suo di passato, ambientando in una Hong Kong non troppo aperta ai cambiamenti quello che rimane un capolavoro indiscusso permeato dalla più nobile arte. Lui stesso ha vissuto da piccolo con coinquilini che subaffittavano l’appartamento dei genitori; cosa che avrà certamente influenzato la visione del passato che ha voluto raccontare in un futuro. La società perbenista che fa caso agli abiti troppo belli per uscire a prendere del cibo. Che impone una comunione e mai un isolamento. A giocare intorno a un tavolo. Insieme non si possono compiere gesti e atti impuri mentre da soli sì. Senza bisogno di nascondersi come a rafforzare un concetto. Ma mai per sé.

Sempre e solo per gli altri e per il giudizio che condanna e influenza le vite non solo di molti ma della quasi totalità. Perhaps – Chissà – come colonna sonora quasi a voler rafforzare il concetto “chissà se…” in un’incertezza perenne non permeata dai doveri e da quello che pensa il luogo comune e il comune sentire. Tutto mischiato alle corde dolorose che solo un violino sa narrare con struggente poeticità. Il desiderio cercando quello che a priori sai di non poter avere e forse volere. E’ una danza struggente e il tempo si ferma davanti ai colori di In the mood for love. Ne sono ossessionata. Io che amo tutto tranne che la lentezza, in In the mood for love mi ritrovo a voler le scene ancora più lente. Mi ritrovo a desiderare che quelle scale che scende la Signora Chan non finiscano mai. E che lui riscenda e risalga per sempre. Di quel lampione, pioggia e fumo non ho mai abbastanza. Di quell’inquadratura nel taxi. Di quelle tazze di tè. Di quei ristoranti. Di quei vestiti. Di quella borsa e di quella cravatta.

Ipnotizzante, doloroso e maniacalmente forte, In the mood for love, insieme a Shining e pochissime altre visioni come Time e Samaria, mi racconta cosa di indimenticabile c’è nella vita. Cosa di fondamentale ci insegna. Wong Kar Wai e il cibo, soprattutto in questo capolavoro, hanno un legame indissolubile e questo aspetto mi ha sempre affascinato. Ho sempre sperato di trovare qualcosa che riguardasse questo argomento e semmai fosse stato trattato in maniera specifica in qualche saggio o intervista. Pur non avendo ancora avuto la fortuna di poter vedere esaudito questo grande desiderio, mi ritrovo a fronteggiarmi continuamente con questa sensazione che il cibo per lui rappresenti qualcosa di veramente ossessivo. Come per me del resto. Come fosse una malattia. Un cemento nell’anima e nel cuore. Una manifestazione di amore e impossibilità di amarsi. Inizialmente infatti il genio aveva pensato di fare un film di tre episodi incentrati tutti su un personaggio diverso. Il primo su uno scrittore. Il secondo su un cuoco e il terzo sul titolare di un fast food. La trilogia avrebbe dovuto raccontare diversi amori e ambienti attraverso questi tre protagonisti (diversi anni fa ho dedicato una torta a My Blueberry Nights e se ti fa piacere puoi trovare il mio pasticcio qui). Comincia e finisce e si correla tutto attorno a un piatto. La maniacalità di Wong Kar Wai è esplicita nelle inquadrature del cibo a cui dedica moltissimo, soprattutto in una delle prime quando la Signora Chan tagliando la bistecca e intigendola nella senape fa risaltare il suo totale assorbimento e personificazione nella moglie del Signor Chow.

“A tua moglie piacciono le cose piccanti”. E un po’ deve farsele piacere anche lei. In questo tributo di dolore delirante. In questa prigione masochistica dove non solo lei, ma anche lui, pur riuscendosi a liberare poi, cerca di diventare carnefice pur essendo vittima. Sperando di potersi trasformare nella donna che le ha portato via i sogni. Il marito. La speranza. Il racconto di questa danza emotiva comincia con l’introduzione del Rice Cooker come simbolo di una rivoluzione della Hong Kong anni Settanta. Continua con spaghetti versati da termos di bento. In questa solidarietà reciproca dei due traditi che diventano antitesi e amanti agli occhi delle apparenze, si sviluppa un tempo interminabile che mescola passato, presente e futuro. Tutti e tre i concetti del tempo diventano inarrivabili. Il passato perché ha inesorabilmente cambiato le sorti di tutto. Il presente perché corrotto dalle apparenze. Il futuro per il mancato coraggio di qualsiasi gesto. Al futuro rimane solo un desiderio da sussurrare e poi chiudere. In the mood for love, che è al tempo stesso un’estrazione di una canzone, è uno spartito ingabbiato in un pentagramma neanche troppo lungo proprio come il tema che lo accompagna e le sue note. Non vi è una varietà ma una ripetizione continua che lo diventa. Il riso che si può preparare nel cooker è comodo, veloce e indolore. Ma la contrapposizione figurativa della vecchia che lo prepara al modo tradizionale diventa simbolo della società. La fotografia che riesce perfettamente a raccontare come tutto sia effettivamente sfocato e irraggiungibile. Come lei si porti la mano alla fronte bagnata di sudore, pioggia e lacrime tra la folla di un mercato dove voci e vite si intrecciano. Una fotografia con dettagli scenici e musicali capaci di regalare sussulti ripercorribili attraverso il ricordo. Perché ogni volta per me diventa lo stesso sussulto. La stessa emozione. Questo film, che chiamarlo così sembra di offendere qualcosa di sacro, è capace ogni volta di stupirmi e confortarmi in un’immensa bellezza che non ho mai colto in nessun altro luogo, campo visivo e tempo.

E’ una perdita di coscienza questa nostalgia di non capire cosa desideri più per loro. Più per te. Più per quello che si accinge a finire e ricominciare in un vortice continuo e inarrestabile. E’ pieno di rumori, luoghi e storie che si intrecciano. A partire dal tradimento del capo della Signora Chan; lo stesso che la obbliga a essere carnefice stessa del destino di un’altra donna. Sino a decidere cosa sia giusto o sbagliato. E di sbagliato c’è la verità e l’istinto. La scelta di rimanere e affidarsi comunque al ricordo del passato per cercare di soffrire meno. Quasi a volerlo tenere vicino. Perché è per questo che la Signora Chan non vorrà separarsi, nonostante decida di restare con il marito, dall’appartamento dove in un’altra vita c’è stata quella danza. Quel dolore trasformato in quello che un futuro, forse migliore, avrebbe potuto essere. E’ una visione dolorosa e straziante senza lieto fine se non nel cuore. E’ qualcosa che diventa pioggia. Una pioggia di sesami di nero. Come la zuppa di sesamo che lei decide di preparargli quando lui sta male. E’ una carezza come una foglia srotolata dove all’interno c’è del riso.

Questa danza di sapori, ricette e gusto visti attraverso gli occhi dei protagonisti fa sì che si pensi davvero sia l’esatto contrario; ovvero che sia il cibo con i proprio occhi e la propria anima a raccontare la danza dei sapori di questi due uomini che come nella biga alata tendono a essere due cavalli di colore diverso. Verso l’alto. Verso il basso. Senza un equilibrio. Senza mai incontrarsi verso quell’idea pura dell’amore.

Ho visto la scena delle scale. E della pioggia. Così tante volte. Fotografando. Guardando i gesti e gli sguardi e seguendo le corde che se non ne fossi così innamorata mi preoccuperei seriamente di quello che a volte riesco a fare; come fotografare continuamente lo schermo dell’ipad e poi rivedere una prospettiva in stop motion per sentirmi meglio. Per leggere qualcosa che forse segretamente volevo scrivere io.

In the mood for love e l’amore disperato, straziante, doloroso e incomprensibile di Chow e Sun in questo gruppetto allegro di fiabe finite con “e vissero felici e contenti”, fumetti che si salvano reciprocamente per morire insieme sembra essere apparentemente quello sfortunato, vero? Eppure sceglierei sempre e solo loro. La loro lentezza. La loro velocità.

Il loro intrecciarsi di mani con fedi che appartengono a qualcun altro. Vorrei vedere sempre e solo loro in quella gabbia dove avvengono le discussioni più importanti. Il loro bacio che mai ho potuto vedere ma che in testa ho desiderato, sognato e sperato. Inscenato. Sì. Perché io di quel bacio sento quasi il sapore se chiudo gli occhi e le corde cominciano a raccontare di loro due sulle scale. Il fumo di lui (come fossero pensieri incontrollabili che non riesce a trattenere e fluttuano leggeri tra inquadrature meravigliose) sono sicura che se se si potesse unire formerebbe nuvole. E tra le nuvole.

Si disegnerebbe il loro bacio. Tra lacrime e tormento. Non più prigionieri di quell’acqua che vorrebbero portasse via il dolore. Di quei wonton con le verdure che le prepara la vecchietta quando lei decide di non vederlo. Di quella telefonata. Di quel muro. Di quelle partenze e lettere.

“So che non lascerai mai tuo marito e allora me ne vado. Mi chiedevo come fosse cominciata tra loro. Adesso lo so”.

Pare che le riprese dei primi sei mesi potevano essere perfette per ben tre film. Pare che ci sia anche una scena d’amore poi cancellata dal narratore. E chissà quanti baci nella mente di ognuno di noi che si è innamorato di questo amore. Che lo ha tenuto, tiene e terrà stretto al cuore e alla mente. In un frullato di tempo.

Sul mio libro era prevista una ricetta dedicata a In the mood for love. Doveva essere dedicata a Michela e Giuseppe. Al loro amore nato in parallelo con il mio e di Pier. Nello stesso palazzo e piano di un’abitazione non troppo virtuale. Doveva esserci la Zuppa con i Semi di Sesamo e pure i Wonton perché ricordo perfettamente che una volta Michela mi aveva detto che le piacevano. E perché una volta avevo pensato pure di fare ravioli cinesi con la caponata (e lo penso ancora).

Poi però per il rispetto che ho sempre portato alla nostra amicizia, al nostro primo incontro mai avvenuto e a tutto quello che di nascosto c’è tra queste righe, fatto anche di segreti che solo noi quattro conosciamo.

Mi sono detta che tempo per farlo in un altro libro. In un altro mondo. In un’altra storia ci sarebbe stato. E ho rimandato. Per questo oggi non c’è la ricetta ma solo l’idea della Zuppa di Semi di Sesamo. Che verrà.

E sarà una fotografia dove compariremo noi quattro. Bianca. E si spera pure Alice. Come in una favola. Come quella che a ben guardare è.

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Update: Sì ma non fate leggere queste considerazioni a Giuseppe, che di mestiere fa questo (non il food blogger) oltre che per dedizione e passione (lo seguite Slow Film o devo venire lì a picchiarvi singolarmente tutti? E’ un genio). Iosif non posso conquistarlo con una pseudopseudocritica cinematografica da bambina di tre anni. Lo conquisterò con i Wonton di Tonno al Tonno. Sotto una pioggia di Semi di Sesamo.

Wonton alla Caponata e Wonton di Tonno al Tonno (ci hanno tolto l’affidamento di Bianca. E’ ovvio).

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11 COMMENTS

  1. ho letto questo post e il precedente uno dietro l’altro, senza riprendere fiato.
    posso anche scordarmi di riuscire ad addormentarmi in tempi brevi. non c’è un filo di quiete. esternamente sempre. dopo questi post mai.

  2. “Il loro intrecciarsi di mani con fedi che appartengono a qualcun altro”… ecco cosa è accaduto…esprime al meglio la mia vita, la nostra distanza di oggi, i nostri cuori ancora intrecciati. Nonostante tutto. Post magistrale e perfettamente aderente a me stessa, la perfezione.
    Un abbraccio ancora più forte perchè le tue parole mi hanno colpita allo stomaco come non mai.
    Tatiana

  3. “Se nel passato qualcuno aveva un segreto, andava in montagna e cercava un albero, scavava un buco nel tronco, e vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango, così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno.”

    c’è qualcosa in questa lentezza che ti insegna tante cose, un po’ come nella lentezza uguale ma totalmente diversa di A Single Man, di Dolls, di. di e di.
    Lentezza mai noiosa, ma densa.
    Vado a mangiare un pugno di sesamo, ché il passato è quello che è ed è solo un oggi di qualche tempo fa.

  4. io quella foto la vedo già. ma voglio che prima ce ne siano tante tante altre. ci saranno, come ci saranno quei ravioli. e la zuppa. insieme alla caponata. magari senza tonno (e no, non sto piangendo, da almeno qualche ora).

  5. (e la recensione è bellissima. e questo film, per me, rappresenta esattamente quel che hai scritto, specie tra le righe)

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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