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A cena con Oscar: Ernest e Celestine Vs Frozen – Marshmallow e Cioccolato

Non ho visto il film di Miyazaki che concorre agli Oscar come migliore animazione. Parrebbe essere l’ultimo della carriera del Maestro; questo oltre a gettarmi nell’oblio e nello sconforto assoluto (che neanche la notizia che abbia ripreso a disegnare può confortare, ma il dolore quantomeno lo allevia. NOOOO! Non basta! Datemi un calmante o non la finisco) mi fa venir voglia di tifare spudoratamente a prescindere per lui. Che vabbè lo avrei fatto comunque, quindi su che cosa sto vaneggiando? Non lo so. Continuo. Ah sì. Ernest e Celestine Vs Frozen per non mettere troppa carne al fuoco. Né di orso e né di topo. E poi con tutto il ghiaccio che c’é neanche potremmo (no ma seriamente: cosa sto dicendo?).

Ernest e Celestine insieme a Frozen (e I Croods e Cattivissimo Me 2i biscottini di Cattivissimo Me li trovi cliccando qui, sui quali ticchetterò tempo e neuroni permettendo in separata sede) sono indiscutibilmente due prodotti diversi (applausi e pernacchie per questa affermazione intelligentissima). Anzi nonostante non abbia visto per assurdo solo quello di Miyazaki mi sento di poter asserire che qui di “indipendente” e di diverso ci sia solo Ernest e Celestine (uh quante ovvietà stamattina). La mia non troppo velata simpatia esasperata per i Minion fa sì che  siano solo loro a dover fronteggiare il grande maestro giapponese; eppure dopo Ernest e Celestine senza lanciarmi in giudizi troppo affrettati due domandine me le sono fatte. Confesso di essere rimasta interdetta alla vista di Frozen ma tra tutte queste parentesi, il dolore per la fine della carriera al cinema di Miyazaki e i biscottini di “Cattivissimo Me clicca qui” mi sono giusto un attimino confusa. Che il Signor Franco stia fischiando lo ometto (sta spaccando le mattonelle della lavanderia. All’ultimo minuto ci siamo detti “arancioni? ma no! facciamole bianche!). Espiro, inspiro e procedo con calma. Ricomincio (“e perché non ti riposi e la smetti di scrivere idiozie?”  è una domanda sacrosanta a ben pensarci).

Coff coff *tossisce e ricomincia*

Dispiaciuta perché sia l’ultimo di Miyazaki al cinema ed esasperata perché per paradosso non sono ancora riuscita a vederlo, ho visto tutti i film che concorrono alla statuetta quest’anno per la notte degli Oscar (oh. pare un costrutto sintattico quasi accettabile, vero?). Nonostante Cattivissimo Me 2 abbia una trama che cattura la mia attenzione, personaggi che adoro (Agnes che canta Unicorn I Love them lalalalalala vale già la statuetta a prescindere, diciamolo) ed eserciti esilaranti di Minion che mi rendono felice anche solo a guardarli senza audio, qualcosa proprio di indelebile non lascia. Non è La città incantata, per dirne una; che sarebbe come dire “non è  Charlize Theron” guardando un’anziana e attempata donna al supermercato struccata (confronto impari? naaa). Se paragonato però a Frozen la vittoria l’esercito giallo blu, il Cattivissimo e le tre bimbe sforna biscotti, ce l’hanno in pugno. Pare che i parenti di Andersen abbiano negato i diritti della fiaba della Principessa di Ghiaccio per anni e anni alla Disney che ne voleva fare una trasposizione cinematografica da tempo. Non so se siano felici del risultato dopo tutta questa attesa ma se fossi in loro vedendo trasformata una favola bellissima in una sorta di Musical Hollywoodiano con una specie di Bratz iper fashion avvolta in un abito sagomato, un po’ mi innervosirei. Amare Disney è una passione comune mondiale e se poi contestualizzata al periodo in cui sono stata bambina diventa quasi genetico e obbligatorio moralmente. Nonostante abbia una concorrenza spietata da più di un decennio a questa parte e qualcosa di incantevole rimanga sempre nella sua essenza, c’è uno strano obnubilamento. Manca quel quid. E Frozen ce lo ricorda. Personaggi secondari carini e divertenti con brio. Il lieto fine, l’amore e la favola. Sì d’accordo volevamo questo ma il quid?

Anche in Ernest e Celestine, nonostante ci siano disegni d’autore e tratti grafici che ti fanno dimenticare i fastidiosissimi effetti speciali computerizzati esasperati, manca quel quid. Entrambe le storie hanno un potenziale narrativo importante e si vantano di avere anche un messaggio consistente per quanto concerne i legami affettivi che vanno contro ogni pregiudizio, eppure non c’è niente che ti lasci estasiato. Ernest e Celestine vivevano su carta proprio come la Principessa di Ghiaccio. Il compito della pellicola è quello di accrescere esponenzialmente i sentimenti che sono scaturiti dalla lettura. Restituire un immaginario a un’avventura già vissuta e mai dimenticata. Che vive dentro di te. Eppure nei miei riguardi tutto questo non è successo. Mary e Max, è la prima animazione che mi balza tra i pensieri quando penso a qualcosa di indimenticabile. Insieme a Una tomba per le lucciole (ok passatemi i fazzoletti che ho ricominciato a piangere).  La città incantata al suo pari. Il Castello errante di Howl. La Principessa Mononoke e.

Ed è normale quindi, suppongo, che nonostante per assurdo io non abbia visto solo quello di Miyazaki se dovessi chiudere gli occhi e immaginare di potermi trovare in uno di questi mondi sceglierei a scatola chiusa sempre e solo lui e una sua visione (Maestro mi inchino a lei). Dal trailer di Frozen e di Ernest e Celestine mi aspettavo un (piccolo) tuffo nel sogno che mi avrebbe avvolto. Forse ero partita troppo piena di pretese nei confronti di queste due pellicole. Frozen, non so perché, dal trailer mi aveva dato una sensazione diversa quasi lontana dagli ultimi pensieri che avevo fatto sulle produzioni Disney. Allo stesso modo Ernest e Celestine. Ritrovarmi in assenza di quel quid mi ha destabilizzato. Quando Elsa ha cominciato a cantare con la stessa enfasi della vincitrice di X Factor America e tutte le luci sono partite come fossero effetti speciali dando rilievo allo smokey eye e la treccia che pareva fatta dopo l’ultimo tutorial di una Beauty Guru ho avuto un tracollo. Ho dovuto prendere una caramella all’anice per riprendermi; salvo scoprire poi che fosse pure senza zucchero (però era buona, santocielo).

Ernest e Celestine nel loro inverno poetico con qualche pennellata di rara bellezza riescono a farti dimenticare i pixel sfavillanti di Frozen ma poi la domanda è sempre e solo la stessa: perché diavolo non sono riuscita ancora a vedere Miyazaki? Sconforto e tristezza ai vertici, direi di passare quatta quatta-zitta zitta al cibo.

Come ricettina da abbinare a queste due animazioni, che non mi hanno entusiasmato particolarmente (ma se proprio bisognasse dare un giudizio inutile come il mio, centomila volte Ernest e Celestine), ho scelto una banalissima Cioccolata calda con Marshmallow; questo per unire due simboli di entrambi. Cioccolata perché è l’alimento che viene in mente a Elsa e Anna nel ricordo della loro infanzia perduta dalle porte chiuse e ghiacciate. Marshmallow perché Ernest ne è ghiotto e ne fa una bella scorpacciata nel momento stesso in cui il legame con Celestine si cementa, ovvero quando fa il pieno di leccornie nel negozio di dolciumi dopo il loro primo incontro

Un classico, senza quel quid in fondo, intramontabile: la Cioccolata Calda con i Marshmallow (anche in versione vegana); che un po’ ti piace e un po’ ti fa ribrezzo a ben pensarci (uhm. Non solo sola a sostenere che i marshmallow siano cotone idrofilo passato nello zucchero, vero?).

Frozen VS Ernest e Celestine = Vittoria di Ernest e Celestine (con pochissimi marshmallow di scarto)

Ingredienti per 4 persone circa: 600 grammi di latte di riso o di soia (ma anche di miglio o kamut eh. Ma pure “normale”, suvvia), 100 grammi di zucchero di canna integrale, 50 grammi di cacao amaro, 100 grammi di cioccolato fondentisssssssimo (Pastiglie Leone tutta la vita!), 30 grammi di fecola di patate (per una cioccolata densisssssima ma puoi anche ometterla. Qualora possa interessare anche se ne dubito: io non la metto. Amen). Per una cioccolata più leggera si potranno tranquillamente omettere i 100 grammi di cioccolato fondentisssssssimo in barretta (se avete optato per questa versione chiamate il vostro analista perchè state male).

A CENA CON OSCAR. LE RICETTE E GLI ARTICOLI

 

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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