Una Storia di Cucina?
C’è forse un giorno della nostra vita capace di non raccontarne una? La casa della vita è solo la cucina. L’ambiente in cui ci si ritrova al mattino, a colazione, dopo incubi e sogni. A pranzo dopo vittorie e sconfitte. A merenda con la gioia di aver finito i compiti e la stanchezza di dover stirare e preparare la cena, pensando a quando a fare algebra eravamo noi. Con i nostri amici, spensierati e senza responsabilità facendo studi di funzione, sgranocchiando pop corn e spalmando creme sul pane persi nella Critica della Ragion Pura. A cena sperando che il domani sia migliore e un po’ anche noi. Apre e chiude il tempo, la cucina. Come la chiave di Alice prima di riuscire a entrare nel Paese delle Meraviglie; per rimpicciolirci c’è una pozione da bere e per ingrandirci un dolcetto con su scritto Eat Me. Perché nella metafora della vita la cucina rimane il tempio del tempo. Dove tutto si ferma e accelera a seconda delle giornate. Dove un piatto di spaghetti, un sapore, può farti ancora sentire l’odore di tuo papà che è partito per il viaggio più lungo da cui pare non ci sia un ritorno. Dove un piatto di melanzane fritte può farti tornare obesa, infelice e malata con tutti i fantasmi pronti a tirarti giù negli inferi. Dove una melanzana ripiena al profumo di prezzemolo fresco cancella i capelli bianchi di tua mamma e la rivedi sorridente con i suoi vestiti a fiori, colorati ed etnici, adesso sostituiti da tuniche nere di dolori.
Dove ci siamo noi tre. In un eterno per sempre.
Io una specifica storia di cucina non ce l’ho. Ho un’enciclopedia interminabile. Un susseguirsi di immagini che si attorcigliano come in un caledoscopio. Come delle macro sospese nell’aria piene di dettagli. E’ per questo che ho dovuto costruire una cucina virtuale, rivelatasi poi la mia salvezza, sperando di poterlo fermare questo tempo. Confrontandomi con il cibo, per me eterna passione e dilemma. Non avendo paura di mostrare attraverso questo le infinite debolezze e paure che mi tormentano. Abbellendolo, colorandolo, costruendolo e arricchendolo di tutto quello di cui mi privo; talvolta per costrizione, altre volte per convinzione.
La prima immagine che ho di me è all’età di otto anni. Ero una scrittrice che doveva finire il suo primo libro intitolato “Capelli”; la storia di una bimba con i capelli lunghi che veniva presa in giro per il suo brutto faccino sfregiato e quindi li portava avanti per nascondersi. La cucina era color mogano. C’erano cuscini attaccati con i laccetti. Un enorme centrotavola con manici di terracotta e giganteschi limoni sopra un centrino fatto da nonna. Un tubo lungo con tanti cerchi dove riposavano bottiglie di vino. Dei pesci di ceramica sul muro e due brocche da birra intagliate e decorate. Un quadro con una bottiglia e un quotidiano su un tavolo con dietro una finestra dove sonnecchiavano raggi di luce e nuvole. Una tenda con la frutta: le ciliegie erano sproporzionate e sembravano mele. Era una cucina ricca di dettagli, pentole colorate e attrezzi; nella vetrinetta c’erano calici viola con una sorta di merletto di cristallo, a mamma non piacevano molto ma li conservava perché erano un regalo di matrimonio. C’era la caffettiera e due bottiglie rosa che mi ricordavano quella dove la Strega Samantha muovendo il naso riusciva a entrare per sdraiarsi su un letto di cuscini. A volte guardavo dentro e speravo di trovarla. Quando non riuscivo a vederla mi dicevo che la volta dopo sarei stata più fortunata. C’erano tanti piatti con fiori, tovaglioli arancioni, tovaglie verdi e una lavastoviglie con dentro il libretto delle istruzioni. Immacolata. Perché mamma non voleva usarla. I piatti si lavavano a mano. Cotto Veneto, una paperella al muro e una finestra da cui se ti sporgevi un po’ potevi vedere papà arrivare dall’ufficio.
Adesso la mia cucina è sterile. Bianca. Con tutti gli accessori bianchi. Con tutti i bicchieri uguali. Con le tovaglie bianche e i tovaglioli in tinta. Vergognosamente tecnologica. Ci sono due forni. Due piani cottura in acciaio. Non c’è una fantasia.L’unico colore è: un colpo di gomma. Che ha cancellato tutto ma mai i ricordi più belli della mia vita. Perché per me tutto quell’arcobaleno è rimasto solo lì. Sospeso nel tempo a mezz’aria come fosse un Olimpo sulle nuvole. Con i Dei delle idee. In un Iperuranio di felicità.
Avrei voluto che in quella cucina colorata crescessero anche i miei figli; che apprezzassero e rispettassero questo contrasto. Da dove venivo e dove ero arrivata. Credevo che avrebbero aspettato il Nonno alla finestra. Che avrebbero mangiato il dolcino di cioccolato, l’unico che mamma ha sempre preparato. Perché la mia mamma non ha mai amato niente che fosse costretto, imposto e con una grammatura precisa. La pasta con il nero, il risotto alla marinara, le melanzane ripiene, i calamari ripieni, la caponata, le polpette di melanzana, i peperoni ripieni di riso e le verdure dell’orto del nonno da mangiare con la pizza e la scacciata catanese ricolma di patate e cipolla oppure cavolfiori e salsiccia. Ma mai un dolce.
Per questo preparo solo dolci in quella cucina dove è stato cancellato il colore. In questo specchio di tempo che mi vede grande nel bianco e piccola nel colorato.
Immagino la vita così. Come fosse una grande tavola imbandita nel Paese delle Meraviglie. Dove prima di attraversare lo specchio è tutto monotono, bianco e anonimo e poi oltrepassatolo ti riempi di quello che hai perso, ma mai dentro: colore, vita e quelli che sai saranno i giorni più belli della tua esistenza. Il Menu? A sorpresa. Ma con la voglia, sempre e comunque, di vedere e assaporare la portata successiva. Con Cappellai Matti che pretendono risposte impossibili. Per il dolore del salato, il fastidio del piccante e la felicità del dolce. E compleanni da festeggiare anche nei giorni sbagliati.
Papà è morto da otto mesi e non c’è un luogo più della cucina dove io lo riveda. Con il suo sorriso bellissimo che mi fa l’occhiolino e mi dice: siediti amore mio. Sarò onesta, mi ero imposta di essere distaccata e raccontare una semplice storia di cucina, così come è giusto che sia per certi versi. Un piatto e un ricordo e non un delirio esistenziale e ambientale. La verità è che i miei sogni si sono infranti e al contempo realizzati in cucina. Mi sono abbuffata nelle mie crisi bulimiche a quindici anni. Sono stata a terra negli angoli forzandomi di non aprire il frigorifero nelle mie fasi anoressiche. E adesso sono qui. Semplicemente io. Come fossi ancora quella bimba di otto anni. Al posto del quaderno ho un computer. Al posto di un coniglio immaginario ho un cucciolo di cane che mi guarda con amore. Al posto di mamma c’è sempre mamma.
Al posto di papà c’è sempre papà. E’ seduto su quella sedia e vuole mangiare Spaghetti alla Norma. I suoi preferiti. Mentre io continuo a guardare nella bottiglia rosa in cerca di Samantha. Perché non bisogna mai smettere di credere ai sogni. Non bisogna mai smettere di sorridere.
Spaghetti alla Norma
Per il suo compleanno, il 30 Gennaio sarebbero stati 70, papà voleva solo un piatto di Spaghetti. Che fossero con i pomodorini freschi saltati in padella insieme agli spaghetti al dente o alla Norma, che qui a Catania è la regina della tavola. E’ una danza di sapori. E’ come se fosse l’Etna con il nero della melanzana fritta ai bordi. Il rosso della lava. La neve della ricotta. Quando tagli le melanzane inizia il preludio e poi parte “Casta Diva” con la voce della Callas. Al minuto e trenta sei già con i brividi mentre la salsa scoppietta come lava e pretende che tu sia pronto ad arrotolare i lapilli del fuoco e gli intrecci degli spaghetti che disegnano note come su uno spartito. Sono gesti semplici e complicati come la vita stessa. Melodie imprevedibili che devi obbligarti ad ascoltare e dolci passaggi capaci di incantarti come sirene su scogli in alto mare.
La Collana “Storie di Cucina”
uscirà da domani, 29 Gennaio, con il Corriere della Sera. Ogni libro è selezionato con cura da Angela Frenda
La prima collana di libri per chi ama leggere e cucinare. Il Corriere della Sera ha progettato un vero e proprio viaggio tra ricordi, sapori ed emozioni da percorrere con una valigia piena di passione, quanto basta di emozioni e una generosa manciata di ricordi e odori. Questa passione travolgente per i fornelli e il cibo che spesso coincide con quella di vivere e assaporare ogni singolo attimo. L’arte culinaria allo stato puro. Venti avventure per celebrare questo grande legame d’amore tra la scrittura e il convivio in Italia. Sono romanzi, saggi, biografie e autobiografie; molti titoli sono inediti e tradotti per la prima volta. Ogni Giovedì in edicola, a € 7,90.
La prima uscita: “La Parte più Tenera” di Ruth Reichl
La bellissima introduzione è di Angela Frenda, che ci invita a riflettere su quanto sia importante il testo, oltre che la bellezza delle immagini in quest’epoca a dir poco gloriosa per tutto quello che concerne il cibo e l’arte culinaria. Rievoca la potenza dell’Artusi, dove certamente non erano le foto a invogliare ma piuttosto le considerazioni e l’incredibile bravura e sapienza nel raccontare il cibo. Per questo motivo ha selezionato per noi venti titoli italiani e stranieri con copertine che ricordano le trame di una fine porcellana. Ed è incredibile come io mi senta piccola piccola in mezzo a tutto questo ma anche come mi senta al contempo stesso parte di questo. Da quattro anni non faccio che tediare la rete con tutte le mie storie, i miei giorni e ricordi. In una terapia pubblica rivelatasi il mio happy end.
Ruth Reichl, la critica culinaria più famosa d’America che scrive per il New York Times, firma questo sorprendente libro che è un percorso di vita attraverso sapori, passioni e ricordi. Ci regala una ricetta per ogni capitolo, condito da un’ironia travolgente e una bravura indiscutibile nel raccontarsi e raccontare. Ho amato moltissimo questo libro e vorrei consigliarvelo caldamente. Si parte con il primo capitolo, La Regina della Muffa, corredato dalla ricetta “Falso Prosciutto alla Miriam Reichl”: siamo in un appartamento newyorkese dove borbotta l’acqua della macchinetta del caffè. C’è il papà di Ruth, ma non del fratello maggiore, e delle colazioni. Si susseguono divertenti ricordi con panne acide color verde, non di colorante ma più semplicemente di muffa e convenevoli da rispettare insieme alle amiche nei confronti di questa incredibile Mamma, regina della muffa. Era un susseguirsi di domestiche che non si fermavano, un po’ come accadeva a casa Banks prima che arrivasse Mary Poppins. L’arrivo della signora Peavey, che incredibilmente resistette otto anni, tra litigate continue e filetti in crosta ci regalano un’altra deliziosa ricetta, che è quella delle cotolette di vitello Wiener Schnitzel. E credo di dovermi fermare qui, anche se non vorrei, confesso. Domani tocca proprio andare in edicola e accappararsi questo volume, qualora voi non lo possedeste; ma anche lì per il prezzo e la qualità della copertina e dell’opera tutta ne vale comunque, a prescindere, la pena eccome.
Ho avuto il grandissimo onore di ricevere in anteprima un assaggio di quest’opera, di cui parlerò ancora; magari potremmo farlo tutti insieme. Che ne dite? Io sto già preparando una ricetta speciale tratta dal libro di Ruth, che comparirà in questi giorni qui sul blog e sul canale youtube. Mi piacerebbe molto che ne scrivessimo insieme e approfondissimo quello che è diametralmente opposto, per certi versi, al genere che tratto ne La Libreria di Iaia, eppure complementare.
Le Prossime Uscite?
A seguire Un filo d’olio di Simonetta Agnello Hornby, Julie&Julia di Julie Powell, Afrodita di Isabel Allende, Il perfezionista di Rudolph Chelminski, I biscotti di Baudelaire di Alice Toklas, Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop di Fannie Flag, Chocolat di Joanne Harris, Sale e Zafferano di Kamila Shamsie, In punta di forchetta di Bee Wilson, Kitchen di Banana Yoshimoto, Dolce come il cioccolato di Laura Esquivel, Le relazioni culinarie di Andreas Staikos, Biografia sentimentale dell’ostrica di Mary Frances Kennedy Fisher La casa nel bosco dei fratelli Carofiglio e molti altri.