Ricette Vegetariane e Vegane

Un Cous Cous di Caponata e un tuffo a Portopalo

Diverse volte mi è capitato di parlare della CaponataC’è un post che puoi trovare qui e pure un video che puoi trovare qui. Io la faccio così. Sempre così. Solo così. Per il Cous Cous invece seguo la classica ricetta base che se ti fa piacere puoi trovare qui sul mio canale youtube.

Ho praticamente preparato la caponata e il cous cous in maniera separata e poi serviti nel modo classico; ovvero mettendo il cous cous sgranato con olio extra vergine d’oliva con sopra una generosa cucchiaiata di caponata. Ogni commensale li girerà nel piatto o li comporrà come preferisce. Si può mischiare il tutto o assaporare in questo modo, facendo sì che il cous cous sia da accompagnamento alla spadellata di verdure sicula per eccellenza. A seconda del vostro gusto doserete l’agrodolce della Caponata, vera protagonista indiscussa del piatto. Il tutto se profumato di limone di Sicilia, un po’ di scorza grattugiata sopra magari, aggiungerà un quid interessante.

Mi manca tanto il Pappamondo ma più gli attimi che non posso dedicargli. Due settimane incredibili ma poi l’ho detto pure delle precedenti e quindi perde valore. Mi sono ritrovata a fare la caponata guardando Masterchef; nel senso che bramavo divano, neuroni in caduta libera e telecomando tenuto in stato catatonico e mi sono ritrovata con una cucina piena di pentole, capelli che odoravano di melanzane e peperoni spiaccicati ovunque. Sono stati giorni complessi più che altro emotivamente. Il fatto che si necessiti del mio ottimismo per far andare avanti la baracca è cosa nota. In pratica difficilmente posso buttarmi a terra e piangere. Mi è stato dato questo ruolo da leader dove vinco sempre, non sbaglio mai e do coraggio agli altri. Pare che sia una grande attrice insomma. Colpi bassi che ho dribblato con un sorriso, giorni di riposo che non sono arrivati e pure qualche uscita non programmata che ha mandato all’aria tutto. Sono così carina mentre rigiro gli incastri di iCal sperando di poter davvero portare avanti il Progetto di San Valentino, il Carnevale e tutte le ricette marocchine che avevo programmato in gran segreto, visto che finalmente una Tajine degna di questo nome l’ho trovato da Maxwell&Williams insieme a tutte le pentole che bramavo già da un po’. E pure con uno sconto incredibile del trenta per cento che mi ha reso orgogliosa di me. Non ho comprato una borsa in saldo e neanche un maglioncino. Non faccio shopping da praticamente due anni e mi sono concessa la scelta dello shampoo online, per dire, ma almeno questo dannato trenta per cento sulla Tajine reperita online l’ho avuto e tanto basta. Mi ricordo mentre vago per negozi in scelta di una borsa che poi non avrei usato ma aggiunto alla collezione. Avevo i capelli puliti e pure una riga di eyeliner dritta. Ero molto più in forma di adesso e i maglioni mi cadevano bene. Adesso ho una pancia gonfia e mi sento goffa. Qualsiasi cosa mangi: gonfio. Il mio endocrinologo, che amo, mi ha detto che è solo un leggero esaurimento nervoso e che passerà (e che devo smetterla con la dieta vegana ma questo non voglio scriverlo, suvvia). Non avevo le spalle curve e indossavo pure i tacchi. Adesso sembro una che hanno avvertito all’ultimo secondo e che sta evacuando da casa tutta di fretta con le prime tre cose che trova. Durante un incendio, per dire. Un terremoto. Un cataclisma. Porto pure gli Ugg e ho detto tutto. Ho sempre detestato quella roba pelosa che ti mozza la gamba, eppure nella vita bisognerebbe tacere perché poi gira che ti rigira ti ritrovi così. Con i capelli lavati con uno shampoo ecobio che per carità non avrà allergeni parabeni e schifezze ma che ti fa sembrare di avere la stoppa da idraulico in testa. La linea dell’eyeliner neanche a parlarne. Pallida e con un mascara messo alla meno peggio dopo esserti infilata lo scovolino nei due bulbi e dulcis in fundo: gli Ugg. Per dire insomma che ho l’autostima non a terra ma ventimila leghe sotto i mari. E che vorrei proprio partire per un po’. Quando accadrà davvero difficilmente tornerò.

In Marocco per il Pappamondo ci sono stata durante la settima tappa, ti ricordi? Ciambelline deliziose Sfenji con il tè alla menta e bon. Un giro tra ricordi e passato. Solo che appunto ho trovato la tajine della mia vita sì, ma pure questo set che definire vomitevolmente carino è riduttivo e non ho saputo resistere, complice il fatto che mamma da un po’ manifesta voglia di Cous Cous e la cosa non può che rendermi felice. Ho provato a fare per la prima volta Tajine di pollo, limone e olive dopo averlo promesso al Nippotorinese per un po’ e pure la carne con i datteri che pubblicherò tra qualche giorno. Complice anche un libro che presto inserirò ne La Libreria di Iaia che tratta proprio di Cucina Marocchina. Che Rachida all’Isola dei Famosi mi stia influenzando da Cayo Cochino? (cosa sto dicendo?)

Eravamo rimasti in Cina a mangiare Calamari fritti con salsa piccante per la ventesima tappa del Pappamondo; stavamo lì a disquisire circa l’enorme differenza che sussiste nelle diverse latitudini di questa immensa nazione, che a me era venuta proprio voglia di girarla tutta e soffermarmi dove Ken Hom racconta incredibili avventure e accostamenti. Stavo proprio lì, ricordandomi di Anthony Bourdain in una puntata dedicata alla Cina al confine con la Russia mentre si uccideva di alcool e pescava tra il ghiaccio, quando poi mi è rivenuta voglia di tornare in Marocco. Il perché lo so. Ritorno sempre nei posti dove vorrei poter tornare con papà; che sanno di casa come la caponata di mamma ma anche di cous cous e di quei viaggi che non torneranno mai più. Poi mi fermo su queste due parole come fossero i due lati di un ponte dove se guardi sotto c’è l’abisso. Hai mai provato a chiudere gli occhi, sopra questo ponte sospeso? Guardare sotto e ripetere con l’anima sgombra da qualsiasi altro pensiero il significato più profondo del Mai Più? Ogni volta che lo faccio sento tutto il sangue fermarsi. Il corpo paralizzarsi. Comincia un tremore vicino al metatarso e poi sale su inarrestabile. Incontenibile. Fino ad arrivare alle ginocchia che si ghiacciano come se fossi inginocchiata lì al confine con la Russia dove Bourdain pesca. E la fitta? Arriva dopo pochi istanti. Al cuore. Come se qualcuno avesse azionato un martello pneumatico e Faccia di Cuoio stesse arrivando con la sega elettrica per far schizzare tutto quello che di più bello hai faticosamente raccolto. In aria. E poi per terra. Sangue tra la neve questo Mai Più. La delicatezza e la purezza di un vissuto sporcato da questo abisso di paura.

Mi ero fatta le meches quando ero a Casablanca dodici anni fa circa; credo stessi peggio di quanto stia male con gli Ugg adesso ed è tutto dire. “Non bevete niente. Non bevete acqua. Non prendere bibite non confezionate”. Questo ci avevano raccomandato tre minuti prima di ritrovare papà con un tè al limone in un bicchiere sporco, offerto dal signore dei tappeti e poi una coca cola in bottiglia, sicuramente aperta. Papà diceva che si vive all’avventura. Che non bisogna troppo star lì a guardare, indagare e razionalizzare. Era del resto l’amore mio che se vedeva il mare, via i pantaloni e tuffo. Pure con le mutande, che importa? Ecco io questa da papà è l’unica cosa che non ho preso. Sicuramente l’unica in cui non ci somigliamo. Se non ho programmato il tuffo, comprato tremila costumi prima di deciderne uno che poi non andrà bene ugualmente, accertato che non ci sia nessuno, controllato il meteo, l’altezza delle onde, il vento se tira ad est e tanti altri piccolissimi dettagli: niente tuffo. E comunque l’asciugamano già pronto e pure il phon da borsetta e la piastra e forse anche tre bigodini per l’evenienza. Papà rideva sempre di me. Mi diceva “amore mio non programmare niente e vivi”. Poi mi ha fatto l’esempio ahimè più calzante che mi ha cambiato la vita. Sulla sua pelle. Sul suo sangue. Ed è morto di tumore al pancreas. Perché torno a dire sempre la stessa cosa? Perché ormai da due anni non faccio altro?

Perché sto male. E sento avanzare il Mai Più. Perché faccio caponate e cous cous, videoricette, fumetto ricette e parlo al microfono con voce sorridente e accattivante ma sto male. Perdo amiche. Le accantono. Le allontano. E continuo a rilasciare interviste. Dire di sì. Dire di no. Occuparmi dell’azienda e spingere, incastrare, andare avanti e mostrarmi forte, di successo e sempre sulla cresta dell’onda ma in realtà sono a riva che calcolo il mio tuffo.

Una spiaggia di ghiaccio, con il ponte del mai più come trampolino e io in ginocchio. E non è tanto il freddo perché di quello poco importa. E neanche del sangue, dai. Ma è sapere di non trovare nulla dentro me e quello che è rimasto. Sapere che se ogni storia sta trovando la fine è perché ho deciso di annientarla e raccontarne meno. Essere consci del fatto che non è sopraggiunta né la stanchezza ma neanche la voglia di continuare. Lo cercavo l’equilibrio, mi dico, e forse se ne sono stata lontana incosciamente era per tutelarmi. Fatto sta che questo fa parte anche di quel gioco del Mai Più e io devo essere felice di aver trovato la Tajine, di essere tra le food blogger più seguite d’Italia, di essere raccontata attraverso gli occhi degli altri e di avere molti progetti importanti in ballo che si scatenano sotto le stelle e non.

La vita è proprio questa. Un terreno di Cous Cous friabile con sopra una caponata pesantissima che trabocca di olio. Non si sa proprio come faccia questa montagnetta a rimanere su, ma incredibilmente. Lo fa. Quindi adesso devo smetterla di delirare e dire qualcosa riguardo la Cucina Marocchina, giusto?

No. Proprio non ce la faccio. Ma è un viaggio anche questo no? Un mancato tuffo, intendo.

Pappamondo: In giro per il Mondo con una valigia di Sogni!

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25 COMMENTS

  1. Io la caponata non la posso mangiare. Però mi ricordo che era buona. E la tua sembra una scultura. Mi fa venir voglia di mangiarla lo stesso, alla faccia della colite.

    Dì, sicula, ma ieri non doveva esserci una tombola? Mi mancano i deliri dei deliranti.

  2. Non è “mai più”, Iaia, ma “mai più come prima”… Turi te lo diceva, “vivi”. Guarda avanti tenendo stretto quello che hai, che hai avuto e NIENTE E NESSUNO potrà mai portarti via. Fallo con i tuoi tempi, fallo come meglio ti senti. Non è scritto da nessuna parte che ci si debba tuffare per forza senza pensarci e ripensarci, si può anche soltanto bagnarsi i piedi. L’importante è rispettarsi. E – come ti ho detto e ridetto – chi davvero ti vuole bene CAPISCE. Capisce i tuoi tempi, capisce i tuoi modi, capisce di cosa hai bisogno e rispetta i tuoi sentimenti. Capisce se non scrivi nulla sulla cucina marocchina… <3

  3. Il “mai più” è esattamente come il “non lo farò mai”. Non esiste in realtà, sono cose che si dicono ma nessuno l’ha mai visto davvero.
    Il secondo l’hai già imparato, il primo lo imparerai.

    Io comunque tengo sotto il letto la valigia d’emergenza. No, non devo partorire ma partire. Sono solo due lettere in meno. Devo partire all’improvviso appena tu mi dirai di si. Destinazione sconosciuta. Identità sconosciute.
    Dentro ho dei documenti falsi, contanti il phon la piastra e sei bigodini, tre ciascuna.

    Ci incontriamo in aeroporto.

  4. La vita è un gran tuffo: quando sarai pronta per farlo senza programma farai una bella capriola all’insù, tra le nuvole, e vedrai tutto diventerà più leggero … 😉
    <3

  5. Concedimi una citazione da Strega, di quelle che ti mettono il succo di limone sui tagli, ma quando l’ho vista ticchettata un anno fa me la sono scolpita nel cuore …
    “Non vivere significa come in un circolo vizioso non lodare la vita. Non lodare la vita significa vivere in uno stato di morte.”

  6. la caponata è il piatto che sogno di mangiare con te. preparato e raccontato da te. per poter vedere l’ennesimo spiraglio su una terra, una famiglia, un intreccio di vite e storie che si agitano tra le parole e le foto. vorrei afferrarne sempre di più, sempre più frammenti, ne sono ingorda. con questi frammenti si ricostruiscono i mondi. quelli che non ho mai visto. e se ne possono costruire molti altri. mondi che sono oltre quel “mai più” monumentale.

    in questo momento mia madre ha posato un piatto di cous cous per mio fratello. fatto senza particolare cura, senza seguire le istruzioni del pacchetto. con il suo automatismo. poggiando un barattolo di sugo star al basilico davanti al piatto. io camuffo le lacrime mimando sbadigli.
    nei giorni sempre uguali che mi sono messa davanti non ce n’è uno in cui qualcosa non mi ricordi il ponte che c’è tra noi due. una strada sicura e diretta, una scorciatoia di comunicazione. fra tutte le cose che possono esistere tra due persone i ponti sono ciò che non puoi demolire. si possono abbandonare e lasciare lì a deperire. ma non crollano. nemmeno un “mai più” li può vanificare. c’è sempre una sponda diversa da raggiungere. una che non ti aspettavi o che non è come volevi. anche se significa abbandonare pezzi di te stessa durante l’attraversamento.

    non so bene cosa ho scritto.
    stavo pensando che anche se tu te ne andassi dall’altra parte del mondo o su un altro pianeta o ovunque e io non potessi mai più parlare con te saprei che c’è quel ponte. e anche se in silenzio non saremmo veramente lontane. e non potrei mai smettere di volerti bene.

  7. E posso provare a capirti, in particolare quando dici che c’è un vuoto che ci fa ombra e che tentiamo di non vedere ma di cui sentiamo il peso sempre addosso…ma una cosa la possiamo fare: riempirlo. Di tajine, di cous cous, di parole, di cuori, di granite, di sorrisi e abbracci. Ho capito che così lo combattiamo.Da poco più di un mese, tardi come sempre ma l’ho capito. E ce la faremo, perchè ce la stiamo già facendo. <3

  8. Vorrei dire tante cose perché dopo tanto leggerti sei parte della mia vita. Mi freno per non essere invadente. Però. Un abbraccio. Ci può stare? Tante persone ti amano. Anche perfetti sconosciuti. Tutto serve.

  9. Turi c’è sempre. Nella caponata, nel cous cous, negli Ugg (sì pure in quelli), nell’aria che respiri, nelle cose che fai, nel tuo sangue. Non lo vedi, fa un male non poterlo vedere, ma c’è. Sempre.

    E ti dice: “vivi amore mio.”

    Le amiche che perdi sono amiche che è meglio perderle.
    Ah, quante amiche ho perso negli anni perché non sono espansiva e “social”. Se ti conoscono per davvero, se sanno cosa sei, le vere amiche non si perdono mai. Anche se non le senti per anni.

  10. quanto vorrei darti un enorme abbraccio. anche con i capelli di paglia, struccata e con gli ugg. più o meno come sono io adesso, solo che gli ugg li ho tolti per il caldo.
    ma mi dispiace un sacco saperti così triste, perché per quanto possiamo mandarti abbracci e 38743568365386483 cuori virtuali, la forza la devi trovare tu dentro di te.
    sono sicura che ci riuscirai, datti i tuoi tempi, scrivi tutto quello che vuoi se questo ti aiuta in qualche modo. qui troverai sempre qualcuno che ti vuole bene. siamo un po’, diciamo, poco fisiche, poco abbracciabili, ma ti vogliamo tanto tanto tanto tanto bene e speriamo di riuscire a scaldarti un pochino il cuore anche nei momenti più bui.
    ti voglio tanto tanto bene <3 <3 <3

  11. io mi ricordo quanto non avessimo programmato di mettere i piedi sul tavolino, quel giorno.
    e sono rimasta là, con te e con tutta quella sfacciataggine di non averlo programmato.
    il mai più è come il per sempre, non esiste.

    <3

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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