Ricette Vegetariane e Vegane

U Pani Cunzatu – Il pane Condito Siciliano

A Vastedda e U cucciddatu

il pane di casa siciliano. Quello che nonna sfornava e che resisteva una settimana. Rimaneva croccante fuori e morbido dentro come appena sfornato. Fatto con “il criscenti” -il lievito- accudito come un figlio. A vastedda è senza buco mentre il cucciddatu, anche per le origini etimologiche greche che derivano dalla corona, è con il buco proprio come la ciambella. A vastedda è perfetta nel palermitano per il pane ca meusa, giusto per dirne una mentre nella Sicilia orientale si infila nel forno con del pecorino, pomodoro, olive, sale, rosmarino e pepe e via di pani cunzatu (condito). Il peso varia generalmente dal mezzo chilo al chilo ed è in assoluto il pane preferito dai siciliani, quello di casa. Si sposa benissimo con tutto e soprattutto con il pecorino siciliano, il piacentino ennese, la vastedda della valle del belice DOP e la provola ragusana ma sono solo alcuni dei formaggi siciliani che potrei elencare. Se vieni in Sicilia oltre a tutta l’infinita lista di prodotti gastronomici aggiungi questi. Ti consiglio di dirigerti in un panificio e acquistare una vastedda e un cucciddatu. Per poi decidere con che cosa accompagnarlo. Ti basteranno solo degli ottimi pomodori di pachino, e basta. Ma anche un pezzo di ricotta salata. Pane e formaggio. O pane con l’olio. Un pezzo di quella Sicilia antica che non smette mai di fare di sognare. E sospirare. A ogni morso. Semplicità e ricchezza di sapore, che meraviglia!

Il panuzzo (pasta dura) ha un esterno lucido molto croccante e un interno morbido. La mollica è diversa da tutti gli altri panini. È sicuramente il panino più antico e sinceramente, per mio gusto, il più buono (insieme alla schiacciatella). Perfetto per essere mangiato con qualsiasi pietanza ma soprattutto a tavola per accompagnare gli antipasti o i secondi. Il Ferro di cavallo è generalmente usato per fare i panini imbottiti e ha la ciuciulena sopra (il sesamo) proprio come la mafaldina. Di solito lo sposalizio perfetto per la mafaldina è con la mortadella e il ferro di cavallo con il resto. La pagnottella ha la classica forma da pagnotta, è di semola con un esterno croccantissimo e “cunzata” con olio, sale, pepe, olive nere, pomodoro e pecorino siciliano per poi passare in forno è l’idillio.
I gemellini sono idolatrati soprattutto dai bambini. Non c’è il sesamo sopra e sono con pochissima mollica -rispetto al ferro di cavallo e la mafaldina soprattutto- e si chiamano così per ovvie ragioni in quanto sono due paninetti piccolini attaccati come gemellini siamesi. La schiacciatella è di semola e sopra rugosa. Somiglia più a pane di casa e la mollica più aerosa e meno fitta. La schiacciatella è perfetta per essere imbottita con un bel pachino, tanto olio e rosmarino.
Questi sono i panini più famosi nel catanese insieme al “pane di casa”: vastedda e cucciddatu. Ma di questi ne parliamo dopo. Che ne dici?

 

Se mi prometti  che non lo dici a nessuno devo confessarti una cosa. Però, davvero, a nessuno. Non mi piace l’arancino -né con la o né con la a- e nella pizzetta toglievo sempre il formaggio e rincollavo tipo una puntata di Art Attack l’oliva nera proprio al centro. Neanche tanto la cartocciata perché dovevo togliere il prosciutto cotto (anche quando ero piccola, sì. Perché era rosa come l’amico maialino e io al maialino ero affezionata. Non dire niente. Problematica fin da piccola). E allora “come ci sei diventata 140 chili, Iaia?”. Te lo dico subito! Con il pane e pomodoro e sei chili di maionese per ogni “panino” da seicento grammi. Con il gelato e il cioccolato. Ah sì. E pure con le patatine. Ossessiva e compulsiva da sempre nei confronti del cibo, tutt’oggi, disturbo alimentare a parte, non me lo sono propriamente goduto come si potrebbe credere con il mio passato da obesa grave.
Sempre le solite cose e in enormi quantità. Il riassunto è questo. Ma ho sempre avuto -e ho- un debole. E il mio debole è il pane. Mangerei pane senza niente, pane con il pomodoro e pane con l’olio per tutta la vita. Ma quale pizza, pizzetta e pasta. Io appartengo alla religione del pane a tutte le ore e in tutti i modi. Vorrei infilarmi dentro una mafaldina calda. Oh! Non dimentichiamoci tutti i nomi del pane che trovi in Sicilia, ok? Devo ricordarmene.
Il primo in assoluto, il re indiscusso è: U CUCCIDDATU! La nonna Grazia e la zia Mimma -la sorella della nonna di cui ti ho parlato tantissime volte- lo facevano sempre insieme alle pizze oliose e alle scacciate.
Il cucciddatu -che alcuni amano italianizzare in coccellato- nelle diverse province viene declinato in infinite variazioni ma ce ne è una universalmente riconosciuta nella Trinacria: U CUCCIDDATU CUNZATU! U PANI CUNZATU! Oh, io piango dall’emozione solo a pensarci.
La forma è quella a ciambella e l’etimologia non è distante dalla coullura greca su cui ti ho tanto annoiato nel periodo di Pasqua quando sforno le cuddure.

Oh, io piango dall’emozione solo a pensarci

La forma è quella a ciambella e l’etimologia non è distante dalla coullura greca su cui ti ho tanto annoiato nel periodo di Pasqua quando sforno le cuddure. Dentro c’è olio in abbondanza, sale, pepe, formaggio pecorino siciliano o tuma o qualsiasi delizia del genere, pomodoro e via. Ma pure solo olio, sale e acciughe. Ma pure solo pomodoro, olio e rosmarino. E con il prosciutto. E con il crudo. E con qualsiasi cosa. Nel catanese non è difficile trovare pure una sorta di Norma con delle meravigliose melanzane fritte. Si deve prendere il pane (in alcune zone della Sicilia al posto del cucciddatu c’è il classico sfilatino o una forma tutta intera chiamata vastedda) appena sfornato (o altrimenti da riscaldare), aprirlo e praticare dei tagli nella mollica per facilitare l’assorbimento dell’olio. Versare l’olio senza farsi saltare in mente l’idea di essere morigerati e schiacciare chiudendo il pane con l’altra parte per far assorbire l’olio. Poi si riapre e si mettono i pomodori a fettine e pure se vuoi le acciughe e il formaggio. Oppure quello che hai scelto. E poi giù di pepe. Io lo amo con le olive nere e il pomodoro con poco rosmarino. Santo cielo mi sento male solo a pensarci. Mi ricordo di papà. Le domeniche prima di andare a mare. Ci fermavamo in un posto  prima di andare a Portopalo. Ricordo la Signora che lo faceva. Il volto. I suoi vestiti fiorati e pure quei capelli cotonati.

Lo avvolgeva nella carta marrone del pane e tutto l’olio si propagava facendo dei disegni circolari bellissimi. E io ci vedevo delle mucche.  A volte dei cuori. Altre volte ancora delle nuvole e dei pinguini. Papà me lo passava e io lo tenevo stretto a me. Caldo caldo che bruciava il costumino all’uncinetto. Poi mi sorrideva e mi diceva “andiamo Amore mio. Ora ce lo mangiamo caldo caldo!”. E io, te lo dico onestamente, dopo il dimagrimento ho avuto così paura del pane. Così paura da rifiutarlo. Da odiarlo. Da eliminarlo insieme a tutto quello che mi poteva ricordare cosa ero diventata a causa sua.
Adesso sto cercando di farci pace. Di ritornare quella bambina con il costume all’uncinetto che non ha paura di vedere che forma regala l’olio. E sicura che papà sarebbe felice di mangiarlo di nuovo. Insieme.
Prima di andare a mare.
Felici.
Ti prego mangialo anche tu il pane cunzatu prima di andare a mare.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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