Ricette Vegetariane e Vegane
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Macaron al Pistacchio, Elfi e lotte ancestrali di Maccheroni contro Macaron

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Quando siamo entrati da Pascal Caffet, a Torino, per scegliere delle praline per la nostra bellissima Estella siamo rimasti basiti davanti alla varietà, bellezza e perfezione di quel minuscolo ma ricchissimo angolo che si affaccia su Piazza Castello. Il resto non veniva offuscato, come generalmente avviene, dalle piramidi di macaron perché oggettivamente era tutto così stramaledettamente curato che a fatica si credeva fossero realmente commestibili. Ho rigirato questi macaron tante di quelle volte da sbriciolarli mentre lui tentava di raccoglierne pezzi per fagocitarli, salvo poi scoprire che non erano questo granchè. Meglio di altri certo ma la passione per il macaron non è scattata in maniera violenta, diciamo così. Al contrario visivamente però l’entusiasmo si è centuplicato. Una mera passione estetica. Mi sono convinta proprio in quei giorni avendo l’opportunità di “studiare” questi macaron con ogni sorta di ripieno e colore che indubbiamente fossero prodotti dagli elfi, assistenti di Babbo Natale.

Che sicuramente in Lapponia c’era una sezione”Elfi Francesi pasticceri specializzati in Macaron” che provvedevano alla realizzazione di questi per poi essere trasportati in tutte le parti del mondo. Converrete con me che fosse davvero l’unica spiegazione plausibile. Mi sono convinta altresì che avrei provato quindi i macaroon durante il periodo natalizio in modo che lo spirito elfico macaroonesco pervadesse un po’ anche me. La cosa buffa è che sono astemia e che tutto questo non è frutto di una divertente mattinata con una bottiglia sotto braccio. Ieri pomeriggio con il mio grembiulino di Babbo Natale e lui costretto ad indossare il cerchietto della renna abbiamo trascorso due orette così: sfornando Macaron, dopo aver scoperto che Epic Mickey non è questo granché.

Ho voluto sfidare la sorte affidandomi come prima volta a Nigella prendendo quella che lei definisce essere la ricetta di cui va più orgogliosa in assoluto nel libro “Delizie Divine”. Avrà fatto pure gli spaghetti agli smarties e le cotolette con salsa di snickers ma a onor del vero bisogna dire che ogni volta che si prova una sua ricetta: riesce. E me lo conferma anche Fio.  Non c’è trucco e inganno . Sempre e comunque riesce e le indicazione che dà sono  riscontrabili nel reale al contrario che ne so del panettoncino della Bianchessi che sarà pure buono ma panettoncino non è.

Quelli che  venuti fuori sono dei veri e propri macaroon. Imparagonabili a quelli di Pascal Coffet ma santo cielo non si sperava tanto chiaramente. Come primo esperimento il risultato è da capogiro. Poche volte sono rimasta così soddisfatta in seguito alla realizzazione di una ricetta. Mi ero documentata parecchio sui macaron e con cura appuntata tutti i segreti per ottenere l’impasto perfetto. L’albume invecchiato in frigo, le placche di salvataggio nel forno per non fare arrivare troppo calore e un’imbarazzante etcetera. E nei prossimi, perché ho appena cominciato, applicherò meticolosamente pian piano tutte queste robe qui ma . Ma la prima volta senza particolari segreti frizzi e lazzi grazie a Nigella è andata più che bene. La soddisfazione di vedere realizzato un piccolo sogno con poca fatica.  E’ una di quelle ricette credo che si divulghino a malincuore o almeno così mi è parso di intuire dalla sua breve introduzione. Quella ricetta di cui sei tanto orgogliosa ma che senti un po’ tua e quasi non puoi separartene. Ecco quindi a voi la ricetta facile dei Macaron al pistacchio. Nigella ci consiglia di servirli a fine cena accompagnati da lampone o panna o semplicemente anche col caffè. E da oggi quello che dice Nigella è legge intesi? Dovesse dirci di farli fritti e poi metterli in salamoia questi macaron !* disse visibilmente agitata

La Ricetta

Per 20 macaron (40 biscotti singoli) : 75 grammi di pistacchi, 125 grammi di zucchero a velo, 2 albumi piuttosto grandi, 15 grammi di zucchero semolato.

Per la crema al burro che occorrerà da farcia: 55 grammi di pistacchi, 220 grammi di zucchero a velo, 125 grammi di burro ammorbidito.

Riscaldare il forno a 180. Tritare i pistacchi con lo zucchero semolato dentro un robot da cucina in modo da farli diventare un’ unica polvere. Montare a neve gli albumi finchè raggiungono una consistenza compatta ma non troppo dura. Unire quindi lo zucchero semolato incorporandolo pian piano facendolo cadere a pioggia e montare il tutto a neve fittissima questa volta. Fino a raggiungere un composto molto compatto. Aumentare nel caso leggermente la velocità.

 E’ il passaggio fondamentale per la corretta riuscita dei nostri dolcetti. Incorporare quindi la polvere di pistacchio e zucchero al composto albumi-zucchero con movimenti molto attenti e lenti dal basso verso l’alto fin quando il composto risulterà solido ma al tempo stesso molto cremoso/setoso. Fare cadere quindi dei cerchi di impasto sulle placche utilizzando un beccuccio liscio di 1 cm o procedere con particolare attenzione usando solo un semplice cucchiaino ( io ho fatto così perché con il beccuccio faccio sempre pasticci). Un cucchiaino è sufficiente per la misura corretta dei macaron. Lentamente lasciar quindi scivolare il composto sulla placca da forno foderata con la carta e procedere distanziando sempre un po’. Lasciare riposare il tutto dieci minuti in modo che si formi una sorta di pellicina sulla superficie. Trascorso il tempo metterli in forno per 10-12 minuti massimo nel forno preriscaldato a 180. Devono essere compatti ma non secchi.

Togliere dal forno e raffreddare i biscotti sulle placche. Nel frattempo preparare la crema che è davvero semplicissima: macinare i pistacchi con lo zucchero a velo come quando si è preparato il composto per i macaron. Lavorare il burro con lo sbattitore elettrico e nel frattempo a pioggia unire i pistacchi con lo zucchero. Si deve ottenere una crema al burro soffice ed omogenea. Unire con questa le coppie di biscotti e servire.

Adesso devo solo capire come smettere. Perché ho la cucina invasa da impasto. Oggi pomeriggio voglio provare soltanto le quindici tonalità diverse di coloranti alimentari. E che sarà mai*disse trastullandosi le ditina e guardandosi i piedini visibilmente imbarazzata

Tartare di Pesce Spada , Papaia, Melagrana e Arancia

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Ne ho già parlato nel mio blog personale ma. La mia prima parola è stata Cucca.

Acqua. La prima associazione di idee è stata “Cucca Grande”. L’ho esclamata davanti al mare e continuo a ripetere che non ho mai detto niente di più intelligente sino ad ora. Mamma aveva un set di braccioli, gommoni in miniatura, salvagente paperelle, mute da sub e sottomarini per il primo bagnetto. Pinne, fucili e occhiali. Per tutta risposta papà mi ha preso e  lanciato in acqua. E ho nuotato. Ed è così che deve andare. Lanciare l’amore della tua vita nell’incertezza ben sapendo che la riuscita non dipende dal salvagente che potrà sempre bucarsi . Con la promessa di esserci. E fisso papà a riva mentre mi guarda annaspare. E se mamma è nel delirio della preoccupazione lui ride. E ridendo ho smesso di annaspare. Un bikini ad uncinetto rosso fatto dalla zia con delle fragoline. E’ ancora in quel cassetto con il vestitino del battesimo. Lo stesso che ho indossato per il mio primo compleanno.

L’acqua fa parte delle mie manie. La mia prima parola e il primo pensiero al mattino. Gli amici mi prendono in giro da decenni perchè è assurdo ma non riesco a stare sotto le tre docce al giorno, manco facessi la lotta nel fango con il nano da giardino. Sciacquo e lavo continuamente tutto. Infilo in lavatrice i peluche e sto lì fissa a guardarli girare mentre l’acqua filtra tra le fibre. A forza di lavarmi le mani il dermatologo mi ha proibito ogni tipo di sapone. Quando si sensibilizza la gentaglia come me a non fare spreco di acqua mi sento colpevole e fisso il rubinetto in segno di scusa. Perchè mi fa anche compagnia. Entro in bagno ed anche se devo prendere un oggetto anche solo per un attimo devo vederla. Devo toccarla.

Mamma a volte mi fissa e dice che no. Non sei cambiata. Sei sempre stata così. E io quel così l’ho letto sempre in maniera bizzarra. Il mio gioco preferito era stare dentro le pentole riempite d’acqua. Sì. Dentro le pentole. Non toccavo nulla per casa. Ero una bambina tranquilla che voleva solo due cose: foglio, matita. Se c’era la televisione accesa ancora meglio. Mi divertivo da pazzi ad indicare gli sportelli della cucina. Mamma li apriva e io facevo segno che volevo quella. Quella pentola. Dicevo “cucca”  e indicavo dentro. E quando c’era cucca dentro le davo la manina cercando di avere un punto d’appoggio che mi permettesse di entrar dentro. Stavo ferma e ridevo. Ridevo messa dentro una pentola con dell’acqua.

Mamma a volte quando sono triste mi fissa e. E guarda il mobiletto della cucina “prendiamo una pentola?”. E rido. Non ricordo cosa provassi perchè ero troppo piccola. Ho cercato di tornare indietro con i ricordi che mi hanno portato indietro a quella risata. A quella sensazione di avere i piedini bagnati. A quella sensazione di sicurezza dentro una pentola. Se la risata di papà davanti al mare c’entrasse qualcosa. Se in fondo era solo tranquillizzare entrambi: stare dentro una pentola al sicuro per mamma, e in mezzo all’acqua senza pinne-fucili-occhiali per far sì che papà fosse orgoglioso di me.

Io so che quando ho scelto il mio tatuaggio e non certo per moda ma perchè papà davanti la porta ha detto che “sei un pesce fuori dalle tue acque. Un giorno ritornerai”. E quando sono tornata io quel pesce l’ho messo nella caviglia proprio perchè era lì che cucca bagnava la felicità. E’ l’acqua. E’ il pesce. Ed è uno dei motivi per la quale io il pesce non riesco più  mangiarlo. Fa parte di me.

 

E quando mi dicono che ho il ferro a 15 ed è preoccupante. E che dovrei arrendermi e mangiare anche solo un po’ di pesce mi dico che. Cosa ne sanno loro della pentola e di cucca? E mi prometto di uccidermi di lenticchie e spinaci.

Eppure il pesce spada era uno di quei sapori che mi piaceva e parecchio. Delicato nonostante mi impuzzasse i capelli . Stavo con la cuffia della doccia ad arrostire pesce spada il primo anno di convivenza. E mi trovava lì con quella ridicola cuffia di plastica. Ed è un’immagine che mi fa sorridere quasi quanto la pentola con cucca. Da allora l’ho preparato in tantissime varianti. Per la fortuna di averlo sempre a disposizione fresco, in primis. Perchè se generalmente spendo poche parole d’amore nei confronti della mia terra per onestà non posso esimermi dal farlo in questa occasione. Il pesce è davvero al top. Non esiste una stagione in particolare ma tutte. Dicembre poi è il mese del pesce per eccellenza qui in casa. Sembrerebbe strano ma Mamma (pur non mangiando mai la carne di venerdì)  alla vigilia di Natale e Natale stesso non prepara mai nessun piatto a base di carne (Roba che Il nippotorinese il primo anno ci guardava come alieni visto che per tradizione lui si aspettava un bel piatto di agnolotti e un arrosto fumante). La vigilia è solo ed esclusivamente pesce. In concomitanza poi con l’arrivo di tutte le leccornie esotiche con l’apertura delle frontiere ortofrutticole beh. La tartara di Pesce Spada è un must. La tartara di Pesce Spada con Papaia, Mango, Melagrana e Arancia. Un piatto ridicolo e facilissimo da fare ma sicuramente di effetto. Non ho seguito una particolare ricetta perchè la si fa in casa da sempre, quindi mi permetto di dare qualche dritta e nulla di più.

Lo mangiavo molto volentieri e ne ho un ricordo francamente positivo. Non da acquolina in bocca (adesso. ma allora sbavavo copiosamente) ma non faccio davvero testo. Al Nippotorinese, dopo primi momenti di perplessità al connubio pescespada-fruttitropicali-natale, ad esempio piace e molto. Generalmente nessuno si è mai lamentato. Dovesse accadere a voi speditemelo in busta chiusa. Ci penserà il nano da giardino a rinfrescargli un po’ le papille gustative.

 

La Ricetta

Procedimento indicativo per la preparazione di una tartara: 1 fetta di pesce spada tagliata piuttosto altina, cubetti di papaia, cubetti di mango, metà melagrana, metà arancia, 1 limone, sale rosa, olio extra vergine d’oliva.

Tagliare a cubetti la fetta di pesce spada freschissima e lasciare marinare in una ciotolina con il succo di metà arancia, metà melagrana e quello del limone per almeno 10 minuti. Passato il periodo (noi non lo facciamo marinare tantissimo. E’ più un sashimi in effetti. Ma se si conosce la provenienza del pesce e si è sicuri che è freschissimo non occorre neanche “rovinarlo” con troppa cottura) e tagliata la frutta a dadini mischiare il tutto e adagiare su di un piatto. Un giro di olio extra vergine d’oliva su e del sale rosa (io ho usato quello rosa delle hawaii perchè quest’estate da Eataly abbiamo fatto incetta di sale ma va benissimo anche il sale grosso normale) . Lasciando da parte qualche chicco di melagrana si potrà pensare eventualmente di fare una decorazione per servire. Una grattugiata di buccia di arancia  o limone. Insomma come si preferisce.

Adesso la verità è che io aspetto i Lychees. Non vedo l’ora di buttarli anche nel latte al mattino e farmici lo scrub e la pedicure. La notizia del giorni però è: L’orologio di Totoro è mio. Il Natale si preannuncia essere migliore. Nettamente migliore. Non per il pesce spada ma parliamoci chiaramente: Caro Pesce Spada mi dispiace sul serio ma io ho l’orologio di Totoro . Gne, gne gne. (Sono una donna adulta adesso, grazie al cielo).

 

Sul tasto cerca metti tartare perché ce ne sono davvero tante

 

Biscotti Tombola

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Sabato insieme alla mia mamma ho preparato questi biscotti che già bramavo da tempo insieme al calendario dell’avvento. I biscotti natalizi della Tombola! Facilissimi da preparare, si conservano per almeno due settimane e quindi possono tranquillamente prepararsi con quell’anticipo che certamente farà comodo un po’ a tutte/i.  Sono graziosissimi e le foto non rendono giustizia. Non occorre particolare abilità ma è indubbio che se avessi usato la sacca per la glassa avrei combinato pasticci assurdi. Da quando invece uso la siringa rigida la mia vita decorativa è obiettivamente cambiata. Non vedo l’ora di prepararne ancora ed ancora perché francamente la tombola deprime sempre un po’ tutti. Ma la si fa per accontentare la nonna, come nel mio caso. Questo risvolto biscottoso potrebbe risollevare la serata.

 

 

Ingredienti per 10 biscotti circa: 560 grammi di farina OO, 400 grammi di burro leggermente salato, 200 grammi di zucchero a velo, 4 tuorli, 1 cucchiaino di esttatto di vaniglia.

Glassa reale: 100 grammi di albumi e 600 grammi di zucchero a velo. Occorrerà  per decorare anche 300 grammi circa di pasta di zucchero e colorante rosso per la glassa.

Metti in un recipiente ( o nella planetaria) la farina setacciata, il burro tagliato a dadini e lavora fino ad ottenere un composto sabbioso. Aggiungi lo zucchero, i tuorli e l’estratto di vaniglia. Lavora finché l’impasto non risulterà liscio e omogeneo. Avvolgilo nella pellicola e metti a riposare in frigo per almeno 1 ora. Trascorso il tempo, lavora leggermente la frolla con le mani e stendila con il matterello a uno spessore di un centimetro circa. Ritaglia i biscotti a forma rettangolare della stessa grandezza di una comune cartella della tombola. Metti tutti i rettangoli sulla carta da forno precedentemente posizionata sopra la teglia e inforna a 160 per 20 minuti massimo. Una volta cotti lasciarli raffreddare. Prepara quindi la glassa reale aiutandoti con uno sbattitore elettrico fino ad ottenere un composto sodissimo. Stendi la pasta di zucchero bianca con uno spessore di 1 cm circa e ricava tanti rettangoli grandi quanto le vostre cartelle/biscotte. Adagiali sopra i biscotti utilizzando la glassa reale come collante. Una volta terminata l’operazione con la pasta di zucchero potrai procedere al gran finale.

Messa la glassa nella siringa o nella sacca, dopo essere stata miscelata per bene al colorante rosso, forma la griglia e scrivere all’interno i numeri. Per i numeri invece che andranno riposti sulle caselle basterà formare delle piccole palline di pasta di zucchero e con la glassa il numero sopra.

Hannibal mangia il macco. Con il fegato, chiaramente

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” Un tizio che faceva un censimento una volta provò ad interrogarmi. Mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave ed un buon Chianti”

Mi ricordo che c’erano  le fave e non solo il fegato. Ne parliamo io e Cey al telefono del cervello e del libro mentre lei scende da un autobus ed io inveisco contro i biscotti Tombola di Valentina Gigli sperando che Csaba con il suo Merry Christmas ci aiuti a venirne a capo. Per il contest. La mia prima gara. Ricordo poi che dovrei sbrigarmi e partecipare anche a quello legato al cinema su Cook and The City perchè Sara è stata incredibilmente carina ad invitarmi. E’ che davvero non mi piace gareggiare. Sono solitaria e voglio disperatamente vincere ma solo contro me stessa. Che non ci riesca mai è un altro discorso. Per questo motivo ho scelto la corsa. Per questo motivo ho abbandonato il tennis e pensato che lo squash mi si addicesse di più. Perchè Murakami nell’arte del correre lo spiega già dalle prime righe. E’ contro se stessi che si gareggia e nulla di più. Ci si nasce. Non ci si diventa: corridori solitari.

A me capita a volte di desiderare un prato dove correre per incontrare qualcuno e circumnavigare un po’ il laghetto. Magari a fine corsa ci si potrebbe stendere un po’ sull’erba e chiacchierare con la tipa che indossa la tuta rossa che corre al tuo stesso orario o prendere il caffè con quello che gira in bicicletta e beve dalla borraccia di plastica azzurra. Anche se a pensarci bene qui non ci sono laghetti cui correre intorno, non mi sdraierei mai sopra dell’erba non accuratamente sterilizzata per le mie manie di igiene e difficilmente farei amicizia con la tipa tutarossamunita. Figuriamoci prendere un caffè visto che da quando ho ri/smesso di fumare mi concedo a stento qualche volta il decaffeinato. E invece sto lì. Sulla pedana. Da sola. Contro di me. In quella gabbia che sembra essere la stessa dove Hannibal disegna con la matita, alimentando il suo ego trastullandosi tra le quelle robe che reputa di vitale importanza per la sua sopravvivenza e attacca. Attacca chi viene dall’esterno e vorrebbe capirci un po’ di più. Perchè in quel mondo costruito che ha gerarchie e precedenze incomprensibili ai meccanismi della logica comune ci sta bene. E io ci sto bene altrettanto. Lui non aveva la chiave, ecco la differenza. Io ce l’ho. E sto dentro finchè ne avrò voglia.

La ricetta di oggi è fegato leggermente scottato con il Macco e si aggiunge alla sezione Cibo e Cinema; Il Macco altro non è che una sorta di passata di fave impreziosita da un’aroma di finocchietto selvatico. Perchè ho immaginato anche io un tizio con la malcapitata idea di interrompermi con un censimento mentre ero intenta a correre sul tapis roulant o scrivere un capitolo del libro e sì. Non ho potuto fare a meno di pensare che come il buon caro Dottor Lecter avrei accompagnato il suo fegato con un bel piatto di fave ; non avendo origini d’oltreoceano come Lecter beh. U maccu sicilianu sarebbe stato il giusto epilogo.

Il Macco (“maccu” in siciliano, appunto) è un piatto povero e molto antico, che conosce diverse varianti: con o senza pasta, arricchito di altri legumi e di varie erbe aromatiche.

La tradizione vuole che lo si prepari nel giorno della festa di San Giuseppe ma in realtà se si hanno a disposizione le fave lo si fa quando se ne ha voglia. Fosse per me ne avrei voglia sempre. Piace molto anche al nippotorinese in maniera sorprendente aggiungerei. Senza il finocchietto selvatico perchè se non mette il becco ovunque chiaramente non trascorre una giornata in modo sereno.

 Macco (orientativamente per 4/6 persone) : 450 grammi di fave secche, 1 cipolla non troppo grande bianca, 1 mazzetto di finocchietto selvatico, olio extra vergine d’oliva, sale e pepe. Lasciare in ammollo le fave in un recipiente con dell’acqua fino a coprirle. L’indomani mattina avranno triplicato il loro volume. Privarle quindi dell’acqua. Soffriggere la cipolla con olio extravergine d’oliva e farla dorare. Aggiungere quindi il finocchietto e allungare con acqua tanto basta a ricorprile quasi. Far cuocere a lungo fin quando l’acqua non si sarà completamente assorbita. Schiacciando di tanto in tanto le fave con un cucchiano di legno procedere così fin quando saranno tutte sfarinate.  L’aspetto francamente non è allettante ma il sapore posso assicurare è talmente buono che vien voglia di dare craniate sui muri e gridare “Ancora!” . Io lo faccio spesso e i risultati sono più che evidenti. Togliere dal fuoco quindi il macco e condire con olio, sale, manciata di pepe. Servire caldo o freddo a vostro piacere. Il Macco tende a impappettarsi per bene se non è servito perlomeno tiepido. Basterà quindi scaldarlo anche solo un po’ al micro.

Fare arrostire una fetta di fegato (ognuno la reperirà a modo suo) per pochi minuti da una parte all’altra. Tagliarla a pezzetti adagiandola sul letto di Macco e servire con qualche foglia di finocchietto selvatico sopra. Il filo d’olio extravergine risulta facoltativo. Per quanto mi riguarda io non supero mai il cucchiaino di olio al giorno e quindi mi turba sempre parecchio questa roba dei trentadue giri di filo di olio da versare sopra ma De gustibus non disputandum est.

Era necessario mostrare ad Hannibal che un po’ di Latino qui si è fatto. Con ottimi risultati: 2 al biennio ma 4 al triennio, ecchecavolo. Netti miglioramenti visibili.

Off Topic ma neanche tanto visto i deliri abituali:  Ieri mi sono vista recapitare, grazie alla promozione Nikon con l’acquisto della D700, un Roomba 555 . La maschilista promozione Nital recitava ” Per papà la macchina fotografica e per la mamma Roomba!” ; pur non facendomi affatto felice per il qualunquismo inaspettato una sorta di lieve entusiasmo si è impossessato di me. Non per Roomba di per se che poco importa ma perchè nella mente è emerso il ricordo del  film Io e Caterina con Albero Sordi che da piccolina mi piaceva e molto. Mi è venuta poi voglia di rivederlo ( ricordo perfettamente che di pietanze ce ne erano e molte).  Roomba 555 al Nippotorinese ha fatto venire in mente Oronzo Canà e la bizona proprio per quel 5-5-5. Tralasciando il fatto che non credevo fosse possibile che lui avesse visto un’idiozia del genere ma mi è stato spiegato essere   una pietra miliare del cinema italiano e che dovrei vergognarmi. Seriamente, ha aggiunto.  Eppure per un attimo, in preda ad un delirio di onnipotenza, avevo pensato“io collego il robot a Io e Caterina” e lui il 555 a Oronzo Canà” come in un sorprendente scambio di ruoli. Ed è stato quando gli ho spiegato questa sensazione tutta entusiasta che ho avuto voglia della sua milza in agrodolce quasi a confermare che sì, ci sono delle preoccupanti similitudine con Lecter. Perchè mi ha chiesto di valutare quanto fosse assurdo anche se per un  per un attimo avere a che fare con me.

La Videoricetta

Cioccolato e Ravanello. Così disse Vissani

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You are All I Have degli Snow Patrol, che dopo Chasing Cars fa pogare un po’ questi miei neuroni cappellinodibabbonatale-muniti.

Mamma con quella maturità che geneticamente ci contraddistingue ieri mi ha spiegato con calma mal celata che se io avevo già l’albero in casa fosse implicito che anche lei lo avrebbe dovuto avere (sembra confuso ma in realtà lo è ancor di più). IMMEDIATAMENTE.  Pena: botte Iaia. Una motivazione adulta, direi.  Ho trascorso così un pomeriggio nel delirio addobbando due alberi ed uno di questi era poco più alto di tre metri. Quando nonna ha telefonato e ingenuamente l’ha buttata lì ” Allora domani venite a farlo da me? “ mi è venuta voglia di rivedere Silent Night, Deadly Night e sterminare le renne e i folletti. L’antidoto è stato appendere le palline con il polistirolo e cera fatte anni fa, la pallina di legno che ho appeso quando ero alta sessanta centimetri, un metro, un metro e mezzo e quei venti e passa centimetri in più attuali. Nonna si è convinta che è meglio farlo come da tradizione l’otto dicembre e che qui si trattava di questioni logistiche. Logistiche l’ha confusa e noi siamo riuscite nell’ intento. Infatti non andremo domani ma dopodomani. Io e Mamma siamo due geni del male.

Ieri per il dopo pranzo ho servito alla povera vittima/assaggiatore, così verrà ricordato, una di quelle ricette che strappiamo dal Venerdì di Repubblica.

Perché non è Venerdì se non c’è il Follow Friday su Twitter e se non si sfoglia l’allegato. A me piacciono le classifiche degli oggetti in voga che puntualmente inserisco nelle mie fantomatiche wishlist mentre lui attento sfoglia la politica internazionale. Lo leggiamo insieme, rubandocelo vicendevolmente, solo a metà quando c’è Kumalè con le sue ricette etniche e Vissani. Perchè sarà pure antipatico ma non credo si verificherà mai la remota possibilità che io con Gianfranchino nostro debba confrontarmi davanti una tazza di the. Grazie al cielo, aggiungerei. A me piace immaginarlo sorridente e con quell’aria amichevole che ha sull’avatar di A Tavola ad inizio rubrica. Del resto poi le congetture con il tempo ho capito siano il male dell’umanità (riflessioni di un certo livello eh? sì- c’è del sarcasmo) . Csaba potrebbe essere la persona più umile della terra nonostante senta la necessità di dirti che cucina con la camicia Burberry e che si rilassa solo al Just Cavalli e Valentina Gigli una timidissima introversa non per niente saccente che a casa diverte amici e parenti con le sue battute pur non riuscendoci davanti ad una telecamera. Come Luce Caponegro, conosciuta ai più come Selen, una conduttrice a modo che in quel “Non avevo mai maneggiato un pesce in questo modo” non ha messo assolutamente malizia ieri sera durante il neonato programma su Alice  Romagna Mia. Come non l’ha messa quando a fine programma nell’angolo della posta ha risposto alla domanda ” Cara Luce sono indecisa su che tipo di mutanda e colore indossare per un’occasione speciale: rosso peperoncino, bianco panna o nero caviale? “ perchè chiaramente il connubio mutanda-cucina è uno dei pilastri portanti di questa arte.

Insomma mi sto dilungando per dire che sì. Il cuoco che per il Gambero Rosso risulta essere in assoluto il detentore del podio Italiano elargisce consigli su come rischiare. Abbinando senza paura. E se io ho già in programma il suo Branzino con gelato di malaga (che mica lo devo mangiare io. Risata malvagia a seguire) questa è la volta del Cioccolato con il Ravanello. Non dando titoli particolarmente altisonanti mi permetto di battezzarlo con : Tre Cioccolati, Una Ganache e una Quenelle di Spuma di Panna e Ravanello. Cercavo da un po’ qualcosa di sfizioso da fare con il ravanello perchè farlo finire nell’insalata era talmente deprimente che mi si ammosciava pure il cerchietto con le renne (che regolarmente indosserò fino al 7 gennaio).

Il Ravanello, parente del Daikon giapponese che con le sue lunghissime radici viene venerato nella cucina macrobiotica e in erboristeria, qui in casa viene venerato grazie alla presenza dello Spirito Miyazakiano. Giunto anni fa da una delle innumerevoli trasferte orientali del tizio pelato aveva bisogno di una ricetta a lui completamente dedicata e per la grandezza stessa della sua levatura morale (?cosastodicendo?) non potevamo affidarci a novelli della cucina. Nonostante per la città incantata infine abbia un altro asso nella manica che finirà nel mio libruncolo, qui sarà codesta ricetta ad indicarne l’ovvia presenza. Chi non avesse visto la città incantata può pure non rivolgermi mai più la parola, grazie.

Il risultato è sorprendente e il gusto dà ragione a Vissanuccio nostro.  Calcolando che l’abbia preparata io poi fa sperare che quella realizzata con le manine sante di qualcuno più bravo di me (sottotitolo: tutto il resto del mondo) possa far scoprire una chicca.

Sul fatto che sia antipatico non ci metto becco ma sul fatto che voglia far confondere e non poco il suo lettore metto una firma luminosa che parte da qui e arriva in Lapponia. Ma Lapponia Nord. Lo dice una che generalmente quando si rilegge con fermezza fissa il monitor e inebetita si domanda ” ma che ho scritto?” . Quindi la barzelletta di oggi è : Giulia tenta di spiegare Vissani. Che partano oltre le risate registrate dalla regia anche sonore pernacchie, grazie.

Ingredienti per circa 12 porzioni: 500 grammi di cioccolato Gianduia, 135 grammi di albume, 600 grammi di panna montata, 200 grammi di cioccolato fondente, 150 grammi di panna liquida, 160 grammi di ravanelli centrifugati, un foglio di colla di pesce, cognac, fogli di cioccolato fondente per guarnire, menta fresca, 2 ravanelli  per la decorazione.

Fare sciogliere il cioccolato gianduia  a bagnomaria a fuoco moderato o mettere semplicemente nel micro per un paio di minuti. Mettere poi 100 grammi di zucchero in un pentolino con pochissima acqua e portare ad ebollizione. Versare quindi la soluzione di zucchero e acqua a filo negli albumi mentre montano grazie all’aiuto di uno sbattitore elettrico. Incorporare quindi il cioccolato gianduia fuso negli albumi ormai montati a neve fermissima e girare con cura dall’alto verso il basso. Si otterrà una crema molto omogenea. Lasciarla raffreddare per un po’ di minuti mettendola da parte. Aggiungere a questa crema raffreddata 500 grammi di panna montata e aggiungere un pizzico di sale.

Preparare la ganache al cioccolato fondente facendo sciogliere questo a bagnomaria per cinque minuti a fuoco moderato o altrimenti utilizzando il microonde per qualche minuto. Sciolto il cioccolato fondente aggiungere 150 grammi di panna liquida e pochissimo cognac girando continuamente.

Prendere quindi gli stampini individuali e foderare le pareti con il composto di cioccolato gianduia. Al centro collocare un ricco cucchiaino di ganache al cioccolato fondente e richiudere quindi con quello gianduia al fine di avere un cuore cioccolatoso al centro quando il nostro dolce incontrerà il cucchiaino.

Centrifugare i ravanelli e mescolarli alla colla di pesce ( o agar agar nel caso in cu  i vostri ospiti dovessero essere vegetariani come me) precedentemente ammollata in acqua freddissima, strizzata e fatta sciogliere per pochissimi secondi al micro.  Incorporare 100 grammi di panna montata e lasciare riposare in frigo.

Sformare infine la mousse nel piatto, adagiare accanto una o due  quenelle di spuma di ravanelllo e ricoprire con fettine sottili di ravanello fresco. Decorare con fogli o pezzi di cioccolato fondente e una cimetta di menta fresca (ecco cosa mi sono dimenticata) . Una ricca strisciata o montagnetta di cioccolato bianco fuso e una spolverata di buccia rossa di ravanello grattugiata finissima per la presentazione.

Quando al centro la gianduia incontrerà il fondente e la quenelle di spuma il cioccolato bianco beh. La faccia del torinese è stata esaustiva.

Ed adesso devo solo capire se davvero buttare il latte di cocco nella zuppa di zucca come dice il grande Kumalè

(ma che poi mica sapevo che Kumalè significasse “Come va? ” in piemontese)

Natale in Stop Motion e Muffin al Cioccolato bianco e Pistacchio

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Adoro vederlo riverso tra i listoni del parquet mentre cerca con sadismo di provocarsi ancor più fastidio strisciando le unghie sul rovere per cercare di riprodurre il graffio sulla lavagna. Solo più rustico.

E’ come fargli il solletico, graffiare sulla lavagna e sgranocchiare cotone idrofilo producendo suoni che ai più provocano attacchi di panico. A me basta mostarmi un gattino o impormi di toccare del formaggio, per il resto posso pure fare quelle tre cose assurde anche insieme cantando All I want for Christmas is you. Perchè sì. E’ questo il problema. Non può sentirmi cantare in generale ma se si tratta di All I want for Christmas is you o Jingle Bells Rock il suo stato psicologico di solito stabile, quanto il cattivo gusto di Simona Ventura nello scegliere abiti succinti, vacilla. Vacilla pericolosamente.

A me piace, maledizione. Forse perchè mi sono fermamente convinta che nel video ufficiale la prima inquadratura  sia proprio  un nano da giardino travestito da BabboNatale e non un Santa Claus illuminato da due stilo 1.5   o semplicemente perchè c’è un coniglio bianco in orecchie/pelo/ossa  (che sia il caso di dare una ripassata generale? ) , la neve e Babbo Natale ballerino. E tanto basta per ritrovarsi alla fiera dei luoghi comuni natalizi. Dove io ci sguazzo, inciso. La data indicativa che mi vede protagonista di queste imbarazzanti esibizioni canterecce si aggira intorno al primo di dicembre  e quindi c’è poco da rimproverarmi. Gioco con pochissimi giorni d’anticipo. Pur comprendendo che 48 ore possano fare la differenza in questo caso. E nonostante non si sia mai fatto l’albero in casa prima dell’otto dicembre quest’anno fremevo e smaniavo più del solito. Avevo in progetto lo stop motion alberoso, cose conigliesche natalizie e una serie di amenità che richiedono del tempo. Nonostante io dorma quattro ore a notte. Ho già tirato fuori la tovaglia natalizia che devo ricamare, comprato una scozzese in preda ad una possessione chiaramente demoniaca vista la mia avversione per la texture, attaccato i cuoricini e le decorazioni in pannolenci realizzate lo scorso anno da me dove perirono tre falangette e due falangine. E c’è davvero tanta roba da fare ancora. Sono tutti un po’ in ansia in vista di quello che sarà Dicembre. Un mese di ordinaria follia con un pizzico di incapacità di intendere e di volere. Giusto quel surplus che poteva mancare. Perchè sono nata a Dicembre e qualcosa di mistico si impossessa di me. Mi piace come giustificazione, già.

E’ il Muffin al pistacchio  e cioccolato bianco quello che ho servito stamattina con una tazza di the nero al Nippotorinese. Per farmi perdonare della performance canora di ieri sera durata qualcosa come centoventidue minuti. La ricetta originale manco a dirla è di Bob. Quella che segue è una versione rivista del Muffin al The Matcha.  Ed è rivista da me; che ho pur sempre dieci decimi con annessi plausi dell’oculista ma credo che in questo contesto poco c’entri.

Recita più o meno così.

La Ricetta

Ingredienti per 12 muffin circa (sono abbastanza abbondanti come porzioni perchè io ne faccio sempre 1/3 e ne vengon fuori anche sei ma dipende davvero dagli stampi che si usano chiaramente): 225 grammi di farina semi integrale, 40 grammi di granella di pistacchio, 2 cucchiaini di lievito chimico, 280 grammi di zucchero, 330 grammi di burro, 7 uova (albumi e tuorli separati), 100 grammi di cioccolato bianco, 50 grammi di pistacchi interi.

Mescolare insieme la farina, la granella di pistacchio e il lievito. Rompere il cioccolato bianco a  piccoli pezzi grossolanamente. Sbattere energicamente il burro con lo zucchero per qualche minuto fino ad ottenere una consistenza soffice e cremosa. Montare gli albumi a neve. Incorporare i tuorli al composto di burro e zucchero e poi unire il tutto al miscuglio di farina, pistacchio e lievito. Alla fine incorporare gli albumi montati a neve fermissima e cercare di non lavorare troppo la pasta. Suddividere negli stampini per muffin non preoccupandovi di riempirla anche più della metà perchè è una pasta molto compatta. Dividere le pepite di cioccolato sopra ogni singolo muffin e spingetele un po’ dentro. Dopo la cottura non si distingueranno più ma il gusto rimarrà ben presente.

Guarnire i muffin con i 50 grammi di pistacchi interi sempre affondandoli un po’ nella pasta. Disporli al centro perchè non rischino di cadere durante la cottura . Fare cuocere 20-25 minuti a 180 gradi.

Cantare All I want for Christmas is you impavide/i e stoiche/ci e servire.

Ca’ Norma

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E’ una giornata memorabile (sì esagero sempre) .Non per chi dovrà sorbirsi due post in un giorno, certo.

 

Mamma ha provveduto alla realizzazione del vestito che ben si confà al Rabbid in questo periodo, ho trovato una pera che sembra indossare il cappello del nano da giardino e c’è gente disposta a retribuirmi per dei miei scatti che francamente reputo scandalosi. Insomma la fine del mondo è davvero vicina e non stento a credere che forse dovrei valutare davvero l’idea di  rasarmi la testa per scovare quel 12-12-12 tatuato sull’epidermide del cranio. Qualora la citazione cinematografica non fosse colta immediatamente si prega di dirigersi verso l’angolino buio seguendo il percorso luminoso.

Ho tantissime ricette arretrate è questa la verità;  ne approfitto quindi  per questo primo velocissimo e siculo per eccellenza. Più catanese a dirla tutta. L’omaggio è chiaramente al compositore Vincenzo Bellini e alla sua indimenticabile opera. E’ un piatto semplicissimo a basa di salsa, melanzane fritte, ricotta salata e basilico. Generalmente viene preparatp usando i maccheroni.

E’ pure vero però che qui La Pasta Ca’ Norma, letteralmente Pasta con La Norma ( come ad indicare un piatto di pasta con dentro la superiorità di tutta l’opera di Bellini dentro), si mangia in tutte le versioni e gli spaghetti non vengono di certo secondi ai maccheroni. Una versione un po’ diversa è quella involtinosa ( mi si conceda il termine) che di certo non verrà apprezzata dai tradizionalisti ma è pur vero che diventa comoda semmai i vostri graditi ospiti dovessero essere  in molti. Lasciando infatti gli spaghetti a metà cottura si potrà poi provvedere a terminarla in forno appena prima di servire. La ricotta salata generalmente non è facile da reperire se non si è residenti vicino alla mia ciurma di Rabbid  e nonostante non se ne possa fare a meno a dirla tutta si può sempre chiudere un occhio. Non è vero. Si può sempre lasciare un indirizzo  in modo che io provveda alla spedizione.

Pasta alla Norma (versione classica): Ingredienti per 4 porzioni. 300 grammi di maccheroni, 3 melanzane grosse, abbondante olio per friggere le melanzane, 500 grammi di pomodori maturi, 8 foglie di basilico, 150 grammi di ricotta salata, sale, 1 cipolla.

Pulire le melanzane, tagliarle a fettine non troppo sottili, cospargerle di sale e lasciare riposare un ora circa affinchè perdano l’acqua di vegetazione, Trascorso il tempo di riposo, friggere le melanzane in abbondante olio. Scolarle e lasciare su una carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso. Nel frattempo spellare i pomodori e tagliarli a pezzetti. Fare un leggero soffritto con la cipolla e olio e buttar dentro i pomodori. Aggiustare di sale ed eventualmente di pepe ( ma pochissimo) e lasciare cuocere a fuoco basso per almeno 20 minuti schiacciando un po’. Lessare la pasta in abbondante acqua salata per alcuni minuti e scolarla molto al dente. Condirla con 70 grammi di ricotta salata grattugiata, mescolando bene. Unire quindi la salsa di pomodoro e le melanzane fritte mescolando nuovamente il tutto e coprendo con foglie di basilico fresco. Ultimare con la ricotta salata rimanente e servire.

 

Involtini di Pasta alla Norma: Il procedimento e gli ingredienti sono  bene o male gli stessi. 250 grammi di spaghetti però  dovrebbero bastare per un totale di circa 4 piccoli/medi involtini a testa ( L’importante sarà , come già scritto sopra,  togliere gli spaghetti a metà cottura nel caso non vengano  serviti immediatamente ai vostri commensali. Passarli in forno e via) . Nelle foto non compare la ricotta salata perchè il Nippotorinese la detesta. Ovviamente è un pazzo. Lo dice una che odia il formaggio da una vita e che alla parola ricotta cade in preda ad attacchi di panico ma qui nello specifico va messa. Va assolutamente messa.

 

Adesso devo solo capire perchè la pera e  Rabbid stiano litigando per quale sia il cappello di Babbo Natale più glamour. Altrimenti ci sarebbe stato un terzo post. I due vanno ringraziati,  insomma.

Update: Cri seguono occhi a cuoricino mi segnala che la Pera è chiaramente un Barbapapà vestito da Babbo Natale ma che in realtà ha trascorsi di nano da giardino. Adesso  sì che sono serena.

 

Crackers di Alga Nori

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Oggi è il Cyber Monday a quanto pare. Negli Stati Uniti il lunedì successivo al Black Friday; quello che dà inizio allo shopping natalizio online. Comincio seriamente ad amare queste idiozie che istigano a dilapidare i patrimoni familiari. Esiste dal 2005 e verrà onorato da me medesima come è giusto che sia, cercando altresì di recuperare per bene i cinque anni precedenti ahimè non adeguatamente festeggiati. Perchè chi sono io per sottrarmi a questi diktat della tradizione d’oltreoceano? Sono stata quindi costretta ad acquistare l’orologio di Totoro su Dreamkitty.com, che consiglio caldamente per chiunque fosse neurone esente come me. Con ancora il cuscino appiccicato in faccia, all’alba di questo inizio settimana ho cliccato su “Check-out” costringendomi a non farlo su “Continue Shopping”. Sono una persona oculata e parsimoniosa e qualora la regia facesse partire su quest’ultima affermazione le risate registrate potrei francamente offendermi e non retribuirla. Perchè sì sono io che pago la regia e non il contrario ma era lapalissiano suppongo.

Oggi mi aspetta una ricetta di Vissani con il ravanello. Roba che non sto più nella pelle perchè è da tempo che lo Spirito del Ravanello Miyazakiano vuole essere omaggiato culinariamente. Sabato però è stata la volta dei Crackers. E quando ho avuto questi crackers tra le mani un po’ ho pianto.

 

Mi fanno sempre questo effetto gli impasti base. Senza un perchè riescono a commuovermi e sto lì inebetita a venerarli manco fossero piccole effigi sgranocchianti di Jack Nicholson. Le mollettine sono la mia ultima perversione (medito di pinzettare anche l’albero di Natale).  Pur vivendo di passioni passeggere dubito che si possa annoverare tra queste. E’ ormai un amore indissolubile e imprescindibile. Stendendo i crackers su un nastrino con le mollettine cuoriciose ho capito che sono fatta per stendere crackers e non panni. E che quindi da oggi io e il nippotorinese indosseremo soltanto cracker. Coprireremo i nostri corpi solo di materiali crackerosi affinchè io possa essere felice. Con indosso il mio sobrio e maturo orologio di Totoro. L’immagine di me vestita interamente di crackers con il monile miyazakiano è il giusto fermo immagine per cominciare bene questa settimana che si preannuncia a dir poco bruttassai.

 

La ricetta originale l’ho presa dalla Cucina dell’Enciclopedia Italiana. Quella roba con tante pagine che venero portando all’altare fiori di bergamotto. Sì quella accanto all’immagine di Montersino sorridente vicino al suo freezer (Se ieri avete visto la crostatina con composta di pera e vaniglia in crosta di bignè con crema pasticcera e in casa  non avete un altare  a cui portare doni e vittime in segno di ringraziamento, dovreste solo vergognarvi. Ma calcolando che io ieri sera ho anche visto Giallo di Argento posso pure chiudere un occhio; dovrei vergognarmi molto di più. Ho recuperato qualcosina con Blade Runner Final Cut ma non ne sono mica sicura)

La Ricetta

Ingredienti per un chilo di cracker: 1 kg di farina tipo OO, 2 dl di olio extra vergine di oliva, 15 grammi di carbonato d’ammonio o in assenza basterà sostituire con il lievito, 2 dl di latte, sale grosso.

Essendo drogati di alga, wakame -goma -nori , ho ritagliato poi due fogli di alga nori per sorprendere il torinese in questo incontro culturale occidentale/orientale. E straordinariamente ci sono riuscita. Perchè l’entusiasmo è stato tanto che credevo stesse reintepretando Linda Blair in preda ad una possessione demoniaca. Quell’esaltazione inaspettata mi ha sinceramente sconvolto.

Procedimento: Disponete la farina a fontana sulla spianatoia e versarci al centro il carbonato d’ammonio, l’olio(tenendone qualche cucchiaino da parte), 1 cucchiaio di sale e latte sufficiente ad ottenere un impasto liscio e morbido (se volete provare la versione algosa come la mia naturalmente aggiungerete all’impasto anche i ritagli di alga). Lavorare a lungo l’impasto con le mani (io questo “a lungo” l’ho interpretato alla lettera e sarò stata lì per tempo immemore). Stenderlo allo spessore di 2mm e bucare in più punti la sfoglia ottenuta. Servendovi della rotella ricavare i rettangoli o la forma che più gradite. In una ciotolina, emulsionare l’olio tenuto da parte con 1/2 cucchiaio di sale e poca acqua. Quando il sale sarà completamente sciolto spennellare l’emulsione sulla superficie dei cracker (io in alcuni ho aggiunto anche del sale grosso per provare un po’).

Cuocere i cracker nel forno già caldo a 220 gradi per circa 10-15 minuti. A cottura ultimata, sfornateli e serviteli tiepidi o freddi. Il successo è francamente assicurato.

 

Dovrei prendere anche l’orologio a cucù di Totoro. Lo so.  E cestinare per sempre quel file che alla voce Argento recita: grande regista che mi ricorda la mia infanzia.

Pane di zuccca con Noci e Mandorle

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Oggi è il Black Friday,  ovvero il giorno successivo alla Festa del Ringraziamento e tradizionalmente in America dà inizio alla stagione dello shopping natalizio. Potevo forse io non festeggiarlo degnamente fosse solo perchè la parola shopping va onorata sempre e comunque? Domanda retorica e Buongiorno.  Essendo molto tradizionalista non potevo esimermi dal dilapidare il patrimonio con quel netto anticipo che mi contraddistingue. Da due settimane infatti i dipendenti di paypal sono in mio stretto contatto telefonico per confermare transazioni esorbitanti. Mi arresteranno per traffico illecito di idiozie che al momento viaggiano su navi cargo da diverse parti del mondo.

Shopping compulsivo a parte c’è qualcosa altro di compulsivo qui: l’acquisto di zucche. Da fine ottobre non si fa altro. Pina Fantozzi con i panini nella lavatrice era chiaramente una principiante. Ed è la volta del pane alla zucca con Noci e Mandorle.

In ostrogoto recita così:

 

  1/2 cups (210g) flour, 1/2 teaspoon of salt, 1 cup (200 g) sugar, 1 teaspoon baking soda, 1 cup (1/4 L) pumpkin purée, 1/2 cup (1 dL) olive oil, 2 eggs beaten, 1/4 cup water, 1/2 teaspoon nutmeg, , 1/2 teaspoon cinnamon, 1/2 teaspoon allspice, 1/2 cup (1 dL) chopped walnuts

E’ una fissazione, sì. Complice il periodo mangio una quantità di zucca vergognosa. Semplice. Al forno senza olio o altro. A tavola poi butto tanto di quel Sale grosso che potrei farmici lo scrub del corpo. L’ipertensione è amica mia. Ma non siamo qui per parlare di cose da vecchie anche se l’osteoporosi e le artrosi sono vicine. Checihounetaciho. La notizia del giorno è che . Alla Rinascente vendono le Cup. Quelle fastidiose unità di misura tazzose che quando me le ritrovo tra i piedi do di matto. Non che io legga le ricette girando le pagine con i piedi, sia chiaro (devo smetterla subito o posso continuare un altro po’? ). Perchè d’accordo che “dovrebbe essere intorno ai 210 grammi” ma a me viene l’emicrania immediatamente. Leggo “cup” e automaticamente mi dirigo verso la lavanderia nel mobiletto dei farmaci per un analgesico. Leggo ” 1/3 di cup” e mi vien voglia di incendiare la macchina dell’autore del libro. E mi immagino già quante cup di benzina usare per radergli al suolo tutta la carrozzeria. Ingaggiare un investigatore privato per scovare dove sia parcheggiata. E . basta, ok. Grazie alla Rinascente ci sarà quindi meno violenza e più macchine integre ed è un grande giorno questo. Un po’ meno per gli investigatori disoccupati ma santo cielo chi se ne importa?!

Questa ricetta originale americana recuperata dal buon Nippotorinese/aiutante/cheprestosaràlicenziato  in un sito di cui non ricorda l’indirizzo ed è per questo che preventivamente mi disfo di tutte le responsabilità mettendo in chiaro che eventualmente per problemi di copyrightricettosi doveteprendervelaconlui. Tuttattaccato, sì. Ovviamente ho desistito buttando cappello e grembiule sul piano cottura dopo aver letto 1/2 cups flour e 1/2 teanspoon. Essendo affetta dalla sindrome di Bree Van De Kamp potrei stare ore ad arrovellarmi se un teaspoon della signora in questione sia uguale a un mio teanspoon. Potrei impiegare ore immaginandola nella casetta vicino New Orleans con il suo vestito a fiori aggirarsi tra i cassetti  dove è riposto l’argento, lasciatole dalla nonna della mamma di San Francisco, intenta a scegliere il suo teaspoon segreto per il pane di zucca. Mi confonderei non poco se  l’immagine di una manager di New York prendesse il suo posto e quel tailleur firmato sporco di polpa di zucca finisse dritto in lavanderia dopo la pausa pranzo; unico momento per preparare il pane di zucca in vista del suo primo appuntamento con l’ispettore capo. E poi dalla lavanderia passerei a Nick Kamen che fa il bucato. Canterei la canzone. Mi sentirei vecchia perchè ero forse già nata quando mandavano quella pubblicità mentre mia cugina no. INSOMMA. Grazie al cielo c’è la Rinascente. Adesso logica vorrebbe che io dicessi: perchè ho trovato anche il teaspoon ufficiale alla Rinascente. La logica, appunto. E che c’entro io con la logica? Quindi niente teaspoon. ” E come hai fatto allora?” . E che ne so?! A occhio ho calcolato il teaspoon perfetto. Urge un videopost dove io spieghi come si calcola ad occhio un teaspoon perfetto mi sa ( vedo delle facce perplesse. Perchè? )

 

Ma avere già la certezza della cup era quella felicità a metà che non ci si può lasciar sfuggire. Quando la Rinascente venderà anche l’altro oggetto del desiderio allora sì. Sì che griderò Evviva Berlusconi (ma è ancora del cavaliere la rinascente? cielo. L’aggiornamento escort mi tiene così impegnata che non posso seguire tutto, dannazione) . Ammetto di averci messo del mio e di non aver perfettamente seguito le indicazioni. Una sorta di Bree coraggiosa ed impavida in un ‘insolita versione fantasiosa. Un pacifico serial tv americano trasformato in un horror, in sintesi. Come ammetto pure di essere una scema. E fin qui niente di nuovo. Ho pensato solo dopo che tutte le modifiche andavano saggiamente annotate nella fortunata ipotesi che si rivelassero esatte. Bene. Io non ho appuntato nulla ed è chiaramente colpa di quel tizio senza capelli. Troppo presa da Nick Kamen, lo shopping del Black Friday e il  vestito fiorato dell’anziana donna di New Orleans .

Cosa ci faccio quindi qui io? Se non ho seguito gli ingredienti in alto e non ricordo esattamente quelli usati da me? Risposta: Non lo so*scandendo bene ogni lettera con seria preoccupazione. Del resto questo non è un food blog ma un’accozzaglia di manicaretti (e polsinistorti. manica-retti. polsini-storti. no. Non riuscirò a distogliervi da tutto questo, ok) e il peso della responsabilità (?) quindi non mi schiaccerà. O forse sì. Non potendomi poi affidare alla mia scarsissima memoria procedo stoica ugualmente tentando in una sorta di training autogeno di esporre i vari passaggi mentre i ricordi riaffiorano (tempo perso lo so ).

La Ricetta

210 grammi di farina, 1/2 cucchiaino di sale, 60 grammi di zucchero (questo lo ricordo perchè 200 mi sembravano davvero esageratissimi. Non che io ne capisca molto di pane di zucca sia chiaro ma 60 e amen), 1 cucchiaino di bicarbonato, 300 grammi di zucca precedentemente lessata/messa al forno/cucinatacomecipare (io l’ho semplicemente messa in pentola con dell’acqua. scolata e schiacciata), 4 cucchiai di olio di oliva, 2 uova, 100 grammi di mandorle, 100 grammi di noci, 1 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaio di spezie miste (chiodi di garofano,noce moscata,  zenzero), 1 cucchiaino di zucchero d’acero, 50 grammi di burro. 

E cielo credo di non aver dimenticato nulla. E “credo” è lampeggiante a caratteri cubitali. Di un colore sobrio: fucsia maculato magenta.

In una ciotola mettere: zucca, spezie, uova, burro, olio, zucchero, sciroppo d’acero, sale, bicarbonato  e con l’aiuto di una frusta elettrica amalgamare un po’ il tutto. Solo alla fine unire la farina setacciata e per ultime le noci con le mandorle. Un’oretta in forno a 180 e speriamo solo che vada bene nella sventurata ipotesi che tu o essere coraggioso sia arrivato fin qui. La cosa che mi fa arrabbiare e non poco è che tutti si sono complimentati per questo pane. Non ricordarne le esatte dosi mi mette un’angoscia tale che forse neanche il ricordo dello sculettamento di Kamen potrà risollevarmi.

 Ho rivisto su Youtube. Forse può risollevarmi, sì. Ma un po’ più Frank Further ad essere oneste.

E che sia un Black Friday bellissimo per noi donne tutte e orrendo per gli uomini/che/seguono/costrettiaforza/le/donne/far/shopping. Perchè è giusto così e perchè ahimè è così che va il mondo.