Ricette Vegetariane e Vegane

Le Olivette di Sant’Agata

Essere nata a Catania e non aver visto la festa di Sant’Agata è un po’ come una nativa di Rio De Jainero che non ha ballato la samba durante il carnevale con un ananas in testa e un vestito svolazzante. Sopra un carro mentre balla la samba e dice saudage. Ok credo di star vaneggiando; è meglio smetterla.

Una volta a dirla tutta ho pure tentato. Peccato che appena arrivata la moltitudine (ed era solo un assaggio visivo) mi ha talmente terrorizzato che d’istinto ho guardato in faccia la gente che mi accompagnava e agitando la manina ho detto “ciaociaociao”. E via, verso orizzonti conosciuti (casadolcecasa). Avrei potuto prenderli a schiaffi ma in rarissime occasioni so essere una persona ragionevole.

Un catanese doc non potrà esimersi dal raccontarti quanto sia meravigliosa la festa di Sant’Agata. Non si potrà non commuovere parlando delle barbarie e torture che la Santuzza ha dovuto subire narrandoti sin dall’inizio la tristissima vicenda. Proseguirà tra tradizione, folclore e ricordi sino ad arrivare al classico tour culinario; perchè diciamocelo al sud ogni occasione è buona per festeggiare e sfornare qualche dolcetto tipico. Il Nippotorinese rimane sempre basito di fronte alla vastità e alla moltitudine di dolcetti tradizionali a seconda dell’occasione.

(Poi incontri una catanese come me che non ne sa nulla e ti dice che il cinque febbraio è chiusa in casa a disegnare pupazzetti; ma questa è un’altra tristissima storia)

Certo non si intaccano GIAMMAI i capisaldi della pasticceria siciliana e quindi di default a prescindere dal periodo o stagioni vi è sempre il cannolo e la cassata, ma in un turbine continuo si alternano moltitudini infinite. Non è Sant’Agata se le pasticcerie, bar (e suppongo pure i benzinai; tutti insomma!) non sfornano tonnellate di “Minni di Sant’Aita”, letteralmente “seni di Sant’Agata”. Sono delle piccole e candite cassatelle ricoperte di sola glassa bianca con una piccola ciliegia al centro; questo perchè a Sant’Agata, tra le barbarie ricevute, pare che siano state addirittura estirpate con le tenaglie i due seni.  Oltre a questi dolcetti, che io francamente per il significato ho sempre trovato aberranti e fuori luogo, vi sono le olivette. Non smentendoci ma, di che cosa potrebbero mai essere fatte? Ma di mandorle, tadan! (niente colpo di scena, suvvia. Se nel resto di Italia si dice “se non è zuppa è pan bagnato”, qui si potrebbe dire “se non è mandorla è pistacchio”).

In pratica è un impasto semplicissimo di mandorle e zucchero con un po’ di colorante alimentare. Si preparano in brevissimo tempo e ne bastano davvero ben poche se non si vuole rischiare il collasso glicemico. Quando ho letto la ricetta però mi sono incuriosita e, chiedendomi se davvero fosse possibile realizzarle in così poco tempo, sono immediatamente rinsavita dall’aberrante inutile ricordo e mi sono cimentata. Non sia mai che questa nullità possa ancora interferire nella mia esistenza e ordunque: olive siano e allegre pernacchie a seguire.

Il risultato non è stato pessimo come temevo  e il Nippotorinese, avendo già assaggiato quelle del bar in più occasioni (con la pistola puntata alla tempia) le ha trovate a detta sua “meno leziose” (per togliermi di torno, ne sono certa).

Certo dire meno lezioso a un prodotto che ne rappresenta proprio l’essenza è difficile, ma a piccole dosi e se accompagnate da un buon tè nero amaro potrebbero davvero tornar utili come dolcetti zuccherosi o simil zollette di accompagnamento. Se si usa poi una mandorla biologica freschissima e non certamente industriale, mi sa proprio che vale la pena provare.

Durante la processione di Sant’Agata vengono vendute tonnellate di “simenza” (in Sicilia la simenza altro non è che i semi di zucca tostati, santo cielo li amo!) e la calia, ovvero dei cecetti piccoli essicati buonissimi che adoro (ma non mangio perchè mi fanno venire i crampi allo stomaco! Ho un’età. Sono notizie insensate che non importano a nessuno ma mi piace aggiungere inutilità). Ad accompagnare queste ennemila calorie c’è infine il classico torrone nella versione più antica che si possa immaginare. Ovvero quello realizzato con solo zucchero e mandorla (di Avola!).

Insomma il 5 Febbraio gli abitanti Catanesi aumentano il loro peso corporeo per omaggiare la patrona della città. Il fatto che non perdano mai occasione di farlo è poi l’ennesimo dato di fatto sul quale glisseremo giusto perchè anche oggi sono in vergognoso ritardo su tutto.

Da sempre mi riprometto di dare priorità al canto delle suore. Avviene in Via Crociferi, dove è stata girata Storia di una Capinera e dove credo ci sia l’essenza della città di Catania. L’unico luogo tra l’altro che sento particolarmente vicino.

Verso le cinque del mattino, talvolta le quattro perchè dipende dal giro che si è compiuto e quanto tempo si è impiegato per il cammino con la Santa, un silenzio tombale accoglie il canto delle suore di clausura. Da una piccola finestra fuoriesce questa nenia incantatrice e la città si paralizza ascoltando  l’omaggio alla compianta Santa.

Purtroppo però a fare da contorno a questo momento mistico e magico vi è una folla indicibile che non aiuta la mia claustrofobia che come se non bastasse diventa agorafobia all’occorrenza. Suppongo che potrò vedere tutto questo sempre e solo su youtube o da fantasmagorici  filmati casalinghi. Tristissimo ma per certi versi ovvio. Straniera ed aliena in casa, come sempre.

Aliena proprio come queste piccolissime olivette, che a dirla tutta dovrebbero essere di una nuance più chiara (maledetto colorante!), che sin dal primo sguardo hanno proprio rievocato nella mia mente l’immagine di piccoli esserini tondeggianti sbarcati sul pianeta Terra e pronti a cariare tutte le arcate superiori e inferiori umane.

La leggenda

vuole che Sant’Agata perseguitata fosse in fuga. Abbassandosi per allacciarsi un sandalo durante l’estenuante corsa, vide nascere un albero di olivo selvatico che la nascose dagli inseguitori e la sfamò con i suoi frutti.

Ricetta per 8 persone circa: 250 grammi di mandorle, 150 grammi di zucchero, pochissima acqua e colorante alimentare verde.  Zucchero per decorare.

In un recipiente versa lo zucchero e nel frattempo frulla le mandorle spellate fino a ridurle in farina. Unisci la farina di mandorle allo zucchero e aggiungi pochissima acqua. Comincia ad impastare. L’acqua non dovrà superare il mezzo bicchiere e l’impasto dovrà risultare piuttosto compatto e non troppo molle. Aggiungi quindi il colorante (prediligi quello in gel) e amalgama per bene sino ad ottenere un composto dal colore omogeneo. Conserva in frigo per 20 minuti il materiale ottenuto e poi passa alla formazione delle olive facendo dapprima delle palline e poi ovalizzandole un po’. Passale nello zucchero che hai distribuito su un piatto e conserva in frigo prima di servire. Non si mangiano fredde ma a temperatura ambiente. Queste olivette fresche, al contrario di quelle reperibili nei bar e nei panifici, è meglio conservarle in frigo. Anche fuori dal frigo ma non vicino a fonti di calore.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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