“Perché in verità , il poeta, il vero poeta, possiede l’arte del funambolo. Scrivere è avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza, il filo di una poesia di un’opera, di una storia adagiata su carta di seta. Scrivere è avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina sul cammino del libro. Il difficile non è elevarsi dal suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio aiutato dal bilanciere della penna. Non è neppure andar dritto su una linea continua e talvolta interrotta da vertigini effimere quanto la cascata di una virgola o l’ostacolo di un punto. No, il difficile, per il poeta, è rimanere costantemente su quel filo che è la scrittura, vivere ogni ora della vita all’altezza del proprio sogno, non scendere mai, neppure per qualche istante, dalla corda dell’immaginazione. In verità , il difficile è diventare funambolo della parola”.
A Max avevo detto in quelle rarissime confidenze profonde che mi concedo, e che mirano ad approfittare della sua spiccata sensibilità , di avere avuto sempre delle difficoltà . La mia attenzione per qualsiasi tipo di visione o lettura viene deviata. Se non vi è un interesse autentico, immediato e profondo derivato da cosa non si sa se non una sensazione, interrompo. Mi vedo recapitare ieri un piccolo tesoro bianco. Neve di Maxence Fermine. Dopo le prime tre righe non ho potuto smettere. E non perché me lo avesse regalato Max o per dovere. Dopo aver sentito una stretta alla gola girando la centotrentatreesima pagina ho compreso come si possa insegnare e infondere. C’è Giappone. C’è bianco. Ci sono i colori. Ci sono illustrazioni. C’è un significato. Ci sono paure. C’è il sette del mio settantasette. C’è neve. E circo. Quel circo che Max  non sa, insieme al pagliaccio e la donna cannone, essere una storia che vive in me da sempre.
Max mi aveva detto che gli ricordavo qualcuno nella scrittura. Quando l’ha fatto è stato da me deriso tanto più per la confidenza visto che al suo cospetto la parola stolta pare essere un complimento insperato. Ha parlato di trame, sintassi e luccicanze. Si è destreggiato con il bellissimo suono della sua voce che ricorda quasi l’annuncio di un angelo su grammatiche inesistenti ed emozioni. Mi sono chiesta in diverse occasioni come un uomo dotato di siffatta cultura potesse davvero trovare interessante il presunto stile di una bimba tra pennelli, fiori e colori. Senza una regola mentre pasticcia solitaria nella sua stanza e lancia qualcosa dalla finestra per sentirsi meno sola. Sinora non mi ero mai saputa dare una risposta.
Quando ho finito di leggere mi sono detta solo una cosa. Quella che Max continua a ripetermi. Che nulla è per caso. E mentre lo fa rievoca filosofie e profondità fuori dal sentire comune. Che ci sono percorsi che vanno seguiti e che le domande fanno parte del tragitto sì ma che non devono impedirlo. Che ci si perde ma ci si rincontra. E che l’equilibrio io ce l’ho. E se sono cieca e non riesco a vederlo, il cielo mi ha mandato un fiocco accecante. Di un bagliore intenso, freddo e bruciante. Come quando strizzi gli occhi forte forte fortissimo e spunta la neve.
Un gioco che facevo sempre quando ero piccola e che stamattina quasi mi faceva girare la testa e cadere. E quel fiocco sei tu, Max. Grazie.