Ricette Vegetariane e Vegane

弁当 Bento di Totoro

Chi ha visto Dolls di Kitano ben sa quale valore possa assumere il Bento. Qui in casa ha quell’esatto significato. Chi non ha visto Dolls di Kitano ha tutta la mia comprensione. Fine dell’inciso.

 弁当 Nonostante il Bento oggi goda di molta popolarità, grazie(leggi:  a causa/qualche volta) alla folle moda dilagante di mangiare giapponese (leggi: perchè fa chic), sto qui a sproloquiarne giusto un po’ proprio oggi che cade il Kodomo No hi, la festa dei bambini in Giappone come annunciavo giusto ieri su Kodomoland (si festeggià lì oggi, se vi va. Sarei felice di avervi ospiti. Inutile dire che sono in ritardo, vero?) . Mi disturba e non poco questo atteggiamento nei confronti di una tradizione culinaria talmente complessa nella sua assurda semplicità che provo quasi (senza quasi) fastidio fisico ai limiti dell’orticaria quando ciarlando allegramente vien fuori che ” ho mangiato quella cosa arrotolata e dentro forse c’era del pesce ma che schifo l’alga!” sino ad arrivare “a me non piace il sushi però quando devo andare prendo la tenpura perchè alla fine è un fritto normale”. Ad ogni sillaba di questa frase comprendo quanto io sia intollerante verso il genere. Quel “quando devo andare” cela un’imposizione. Al giapponese ci si va perchè fa figo agitare le bacchette e dire “cinciaolin” tirandosi con le ditine gli occhietti.

Manca di disquisire sul sushi servito sul corpo nudo di una donna, pensare che la geisha sia una escort  e andare a vedere il cinepanettone ” Natale a Tokyo” ben sapendo che il miniroll finirà nell’inquadratura delle labbra carnose della tettona di turno  approdata direttamente dall’ultimo reality, per capire che no. Nulla di tutto questo ha a che fare con la grande cultura culinaria giapponese. Trattandosi di arte pura è pur vero però ( e giusto) che ad avvicinarcisi siano pressochè tutti, indi per cui è bello che esista anche quella fazione. Il fatto che io ne fugga a gambe levate è un’altra storia.

Il Bento, che altri non è che un pranzetto preconfezionato nel classico stile minimalista che annienta per bellezza stupendoti per quanto possa essere meravigliosa una mela intagliata a farfalla, è solitamente consumato a mezzogiorno. Nulla di strano alla fine perchè chi non ha avuto il classico thermos con polpette o mozzarellina durante gli anni dell’asilo? Io lo avevo. Uno rosa e uno in acciaio. Era dotato di divisori per separare i cibi differenti e aveva anche un tessuto-borsetta confezionato appositamente da mamma per trasportarlo. Certo è che non fossi hashi-munita ma avessi solo forchetta e cucchiaino ( di Poochie, inciso). Nella tradizione giapponese le scatole bento classiche erano molto simili e non certamente così abbellite. In commercio se ne trovano di una varietà imbarazzante e non sono di difficile reperibilità (sette anni fa vi assicuro che era praticamente impossibile a meno di non dover ricorrere ad Ebay) . Diversi materiali come il legno o il metallo ma anche diverse dimensioni. Monocolore, technicolor, decorate con opere artistiche come le onde di Hokusai (giusto per citarne uno non a caso), laccate ed interamente realizzate a mano. Alcune di queste (moderne) all’interno contengono il thermos per mantenere la temperatura del prodotto; che si parli del cibo o di bevande.

Chiaramente io e la cultura giapponese abbiamo un intermediario (leggi: fidanzato Nippotorinese) di tutto rispetto e qui in casa è ormai routine confezionarne a iosa. Confesso che però  la mia passione per l’oriente è cominciata all’età circa di otto anni quando durante un capodanno a Palma de Mallorca sono stata rapita visivamente da una bimba giapponese ospite del mio stesso albergo. I nostri genitori si sorridevano non potendo comunicare in alcun modo. Abbiamo pranzato e cenato sorridendoci. Io la sera prima di andare a letto, dopo aver visitato la città, trascorrevo il tempo con questa bimba (purtroppo senza nome ma che ho sempre ricordato come Yukiko.  Random anche Mikiko. Random anche altri nomi con iko. Non chiedetemi il perchè. Il ricordo ancestrale mi attanaglia e con molta probabilità quell’Iko c’era) disegnavamo. Disegnavamo continuamente e ridevamo. Da qualche parte nella casa di mamma c’è un quaderno con dei disegni di Iaia e Yukiko o ikoacaso che sorridevano a Palma de Mallorca. Da quel dì mi feci la promessa che avrei imparato il giapponese. Ancora non ho mantenuto siffatta promessa ma in compenso convivo con il Nippotorinese che parla giapponese e anche un po’ di cinese. Dovessi rincontrare Yukiko parlerebbe lui al mio posto ed io continuerei a sorridere come la scema che sono. In realtà, dopo una breve passione con la lingua cinese, sto studiando duramente già da un po’. Speriamo di smetterla di sorridere e al massimo dirle ” sai che mi manchi Yukiko? ma soprattutto: come ti chiami?”

Quando ancora il Nippotorinese faceva traversate Italia-Oriente (leggi: prima che io gli rovinassi la vita e fosse costretto a lasciare il suo lavoro per starmi accanto) ero entusiasta a dir poco perchè si faceva corriere di un import export interessante. Tra le moltitudini di gadget irrinunciabili, ingredienti bizzarri, peluche di Totoro, e una serie di amenità che “metà (non) basta” erano incluse le scatole bento. Mi vergogno ad ammettere di possederne una quantità imbarazzante. Inquantificabile e di vario genere.  In particolar modo ve ne sono due alle quali sono particolarmente legata; interamente realizzate a mano e dipinte. Due opere d’arte che non uso sinceramente per la realizzazione di pranzetti bentosi. In questa occasione ho usato il primo bento-box. “Stranamente” in una versione conigliosa. Il più vecchio che ho e mi si conceda: il più semplice ma che dentro ha storie da raccontare. Tante storie.

I bento possono essere molto elaborati e spesso mi cimento in realizzazioni bento nello stile kyaraben (bento di personaggi) dove il cibo assume soprattutto forme di cartoni animati, quali anime e fumetti. Una vera e propria “competizione” accade nelle scuole o negli uffici. Nel primo caso quando la mamma lo realizza per il figlioletto e nel secondo per il marito; difatti tradizione vuole che l’uomo o il bimbo che sia “gareggi” un po’ sulla bellezza del proprio bento con gli altri “compagnetti di scuola-colleghi di ufficio “ decretando poi ( in sordina) quale “mamma-moglie” sia più abile e brava nella realizzazione ; che sta un po’ ad indicare quanta dedizione ci metta, indice di amore e premura.

Nonostante si possano comprare già belli che confezionati come un sandwich da noi o una rustichella in autogrill sta di fatto che possedere un bento confezionato con le manine della persona che si ama è davvero tutt’altra storia.
La storia, le tradizioni che lo ricollegano all’hanami  e tutto quello che ne consegue sono affascinanti e se ne potrebbe disquisire per ore.  Prometto non lo farò. Non mi sono resa conto di aver farfugliato così tanto ahem. Ho la festa per il Kodomo No Hi da organizzare e sarei non troppo sorprendentemente in ritardo. Da un po’ non realizzavo bento semplici  in questo modo e non in stile Kyaraben come mi è solito fare all’interno del Gikitchen. Confesso di avere una vera e propria mania. Trasformare il Galbanone in Ponyo o in un Hishimochi senza mochi  è più forte di me.

Il bento che ho realizzato contiene tanti piccoli assaggini dal gusto vagamente orientale, con ingredienti però facilmente reperibili nei più comuni supermercati Italiani.

Nigiri con Salmone affumicato e Maionese al sapore di Salsa Wasabi, Carpaccio di peperoni e Fragole con Edamame scottate nel sakè (c’è qualcosa di più buono dell’edamame? Provate le fragole con il peperone. Hanno la stessa nota dolciastra ed è un connubio interessante), Mini crackers con alga nori ( qui in casa sono un must perchè non mancano mai wakame e goma. Vivo per wakame e goma a dirla tutta), classico “gohan” , riso bianco con un Usagi Egg – uovo sodo coniglioso (non ho resistito, mannaggia!) e mini wurstel a forma di Tako-polpo, letto di insalata belga con mini pinzimonio da irrorare con la salsa e olio di soia presenti nelle mini boccettine, mini sandwich di salmone affumicato con crema di tofu, un piccolissimo tamagoyaki (che si fa in un batter d’occhio perchè in fondo è una frittatina chicchesenedicatuttattaccato) con carne di maiale arrotolata dentro e per finire un mini cocktail di gamberetti con maionese e wasabi ( e un tocchetto di zenzero fresco grattugiato,  che con i gamberi è un must). Consegno ufficialmente la ricetta per partecipare a questo strabiliante Contest. Quando c’è di mezzo Caro è sempre tutto al Top, c’è poco da fare.

 
E come dice sempre saggiamente Caro  c’è sempre un motivo per preparare un Bento! Direi che è ora di fiondarsi!
Magari stasera stessa per festeggiare i vostri bimbi (anche un po’ cresciutelli eh)  in casa, vista la ricorrenza . Non siamo in Giappone ma chi se ne importa. Si è sempre bambini. Io festeggio Yukiko stasera.
Perchè la ritroverò. Ne ho certezza assoluta (e sono belle anche le favole, già) 

QUESTO POST È STATO PUBBLICATO IL: 

Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

Seguimi anche su Runlovers

Tutte le settimane mi trovi con una ricetta nuova dedicata a chi fa sport

MUST TRY