Ricette Vegetariane e Vegane

12 Cose da fare a Palermo: le altre sei (seconda parte)

(le prime sei cose da fare a Palermo le trovi cliccando qui >>>)

L’itinerario Serpottiano non lo inserisco neanche nelle dodici cose da fare a Palermo perchè talmente lapassiano che il sol farlo potrebbe risultare ai limiti dell’offensivo. Perchè Palermo in questa incredibile baraonda visiva di vicoli dove vecchio e nuovo si mischiano in un pericoloso capogiro di magnificenza, trasborda di prodigiosi stucchi del Serpotta. L’itinerario quindi comprende oltre agli oratori del Rosario di Santa Cita, di San Lorenzo e del Rosario di San Domenico anche le chiese di Sant’Agostino e San Francesco d’Assisi. La grandezza ineguagliabile del grande scultore Giacomo Serpotta fu proprio quella di rifuggire dal materiale allora adoperato dai più autorevoli artisti. Serpotta difatti per modellare statue e decorazioni si affidava allo stucco e non preferiva il marmo di certo più resistente. Quel soffice impasto con il genio e l’abilità veniva trasformato in un sorprendente decoro ramificato di unica beltà. Purtroppo il tempo e le conservazioni poco adatte hanno rovinato memorie passate ma bisogna assolutamente gustarne la delicatezza quando si è Palermo. Angeli, Putti e la sua firma: una lucertolina che in dialetto siciliano diventa “sirpuzza” in ricordo del cognome di questo grandissimo artista

Questo per dire insomma che oltre queste dodici cose da fare in tutta fretta se si è a Palermo pochi giorni come è accaduto a me, ci sarebbe da sottolineare una moltitudine di roba trabordante da sacchi dove c’è scritto “bellezze palermitane”. Perchè credo sia anche questo Palermo, oltre una sorprendente trasformista che è prima araba, poi normanna, poi sicula, poi spagnola, poi modernissima, poi antichissima, poi verdissima, poi nerissima. Credo sia davvero un sacco di iuta enorme dove Mary Poppins ci abbia messo lo zampino. Si possono estrarre ricordi, passati, futuri, presenti, stucchi, putti, spazzatura, bancarelle, lusso sfrenato.

Cominciamo con le ultime sei cose da fare a Palermo? (e se domani trasformassi questo post e lo intitolassi le 18 Cose da fare a Palermo e poi le 24 fino a un numero periodico a caso?)

1: Il Monte Pellegrino

Se a Catania c’è il Vulcano Etna a proteggere visivamente gli abitanti terrorizzandoli al tempo stesso, a Palermo c’è il Monte Pellegrino. Johann Wolfgang Von Goethe lo definì il “più bel promontorio del mondo” e chi siamo noi comuni mortali per dar torto a Goethe? Sul Monte Pellegrino, esattamente a 429 metri di altezza sul livello del mare, si trova il santuario di Santa Rosalia, la patrona di Palermo che riuscì con un miracolo a debellare un’ondata di peste nel 1624. Come accade per Sant’Alfio nella provincia di Catania, tradizione vuole che la notte tra il 3 e il 4 settembre molti fedeli devoti a Santa Rosalia percorrano questo tragitto fin sopra il Monte Pellegrino. Anticamente scalzi e persino trascinandosi solo sulle ginocchia.

Come accennavo anche qui nella Sicilia orientale la tradizione voleva che durante il pellegrinaggio per chiedere qualche grazia a Sant’Alfio si andasse scalzi. Anticamente la navata addirittura dove essere percorsa strisciando con la lingua. Abominio culturale fortunatamente ora vietato. Ho visto diversi pellegrinaggi a Sant’Alfio e nella zona del Siracusano, Avola e Noto. Non ho mai visto questo di Santa Rosalia nonostante un allarme sul calendario dell’ipad l’abbia appena inserito. Mi piacerebbe moltissimo vedere nuovamente il Monte Pellegrino illuminato e il contorno chiaramente mistico dell’eventuale “arrampicata” gli conferirebbe di certo una visione spettacolare. Salire sul Monte Pellegrino per godersi la città è un must di una mini guida turistica senza pretese come questa.

 

2 Prendere la Lambretta

Prendere la Lambretta! Sì!! Assolutamente sì! E ancora sì! Palermo è piena di carrozze con cavalli e le cifre non sono vergognose come ci si aspetterebbe; ma il cavallo proprio no, mi spiace. Sono assolutamente contraria. I cavalli devono far altro, non trascinare turisti sotto il sole cocente. E non vado avanti altrimenti divento polemica e mi innervosisco pure un bel po’.

Ai quattro canti (altro luogo incantevole da vedere e proprio al centro di Palermo dove si diramano le varie vie principali. Sì signore mie esattamente dove trascinare per i capelli i vostri uomini. Borse. Ok ci siamo capite) ce ne sono tantissime di carrozze. Il punto di ritrovo è proprio lì e troviamo conferma nelle parole di Santo, simpatico cavaliere che con una modica cifra ci avrebbe portato trotterelando anche a Favignana. Pare che il cavallo fosse in grado anche di fare le traversate (macchesimpaticaburlonasono?). Mi rifiuto categoricamente di fare il giro in carrozza a meno che non sia io a portare il cavallo in giro perchè no. Affaticare un cavallo per portare in giro le mie chiappe stanche proprio no. Glielo spiego a Santo, anche se non esattamente così. Non volendomi rendere complice dell’affaticamento cavallesco da animalista convinta mi sono fiondata in una corsa senza precedenti all’inseguimento di quello che sembrava essere il “lambrettaro” più trendy e fascinoso che ci fosse in giro. E non mi sbagliavo di certo !

Girolamo nel cuore per sempre

L’occhiale fucsia la diceva lunga sulla sua estrosa personalità e difatti Girolamo era perfetto. Un ragazzo simpaticissimo, spigliato, colto e con tantissime cose da dire. Certo è che Girolamo ci dava sotto con l’acceleratore e svicolava donandomi una visione tipica del videogioco più assurdo alla playstation. Ben salda alla comodissima seduta allestita per l’occasione con un telo mare con cartina della sicilia e su scritto “i love sicily”, ho girato in lungo e in largo tutte le vie che avevamo evitato perchè più difficili da raggiungere. E con Girolamo non ci siamo persi, anzi! Abbiamo trovato degli angoli superbamente siciliani-stratosfericamenti bellissimi e indimenticabili. Il quartiere spagnolo, la Kalsa con tutti i chioschetti e baretti e pure un matrimonio con tanto di abbigliamento sconvolgentemente paillettato. C’erano più paillettes che nuvole. Un tripudio meraviglioso e sbirluccicoso che mi ha a dir poco estasiato.  Essendo in un mood di compatibilità caratteriale e innegabile affinità, Girolamo ha accostato e mi ha fatto godere di questa strepitosa vista cerimonia sotto una capotte di Lambretta (un sogno inaspettato realizzato). Palloncini al vento, colombe e poco distante i pranzetti volanti di Palermo. Girolamo, se non fosse stato per il Nippotorinese e se non fosse stato che tu eri sposato da tempo, forse a Palermo sarebbe nata la storia d’amore più incredibile di tutti i tempi. Anche un amore platonico sarebbe andato bene. Avrei vissuto con te aspettandoti alla Kalsa. E tu saresti tornato ogni sera raccontandomi dei turisti sulla lambretta. Ma non voglio divagare perché forse, e ripeto FORSE scritto maiuscolo, forse lo sto già facendo.

Con banconi allestiti dove si preparavano cozze e limone alle quattro del pomeriggio e tanti calamaretti tagliuzzati. Panelle, cazzilli, sfinciuni! Friggitorie che non smettono mai e quintali di panini con fritture di pesce, melanzane,  e infarinati. E le stigghiole? involtini di budella di agnello cotti alla brace su carrettini ambulanti? tutto! c’era tutto! Girolamo voleva farci assaggiare di tutto e di più ma quando gli ho spiegato della mia intolleranza al latte (ahem voleva offrirmi un cannolo) e del mio vegetarianesimo (ahem voleva offrirmi due calamari e un pochetto di pane ca meusa) ho pregato Santa Rosalia affinchè non dovessi inventare nulla sui carboidrati perchè dallo specchietto mi guardava malissimo quasi a compatirmi (ho capito lì che non potevano esserci speranze di trascorrere il resto della nostra vita insieme).

E in effetti mi sono compatita da sola perchè se c’è una cosa che Girolamo è riuscito a fare è stata proprio far nascere la voglia di lanciarmi addosso al primo pane con carne e farla finita! Addentarlo e godermi una giornata senza pensare agli animali, calorie e solo il cielo sa cosa. Volevo dimostrargli tutta la mia stima e il mio affetto sincero.

Non è accaduto perché grazie al cielo non ho perso completamente la testa.

Ma Girolamo sappi che ti ritroverò e mangeremo carne come non ci fosse un domani! (sono promesse da marinaio e mento, ma l’affetto per Girolamo è grande comprendimi ti prego)

In compenso il Nippotorinese è stato catapultato in un carinissimo panificio all’interno di Ballarò (che è bello e ancor di più se a svicolare c’è Girolamo mentre taglia piedi a passanti, suona il clacson e tutti lo salutano mentre affettano pesce e tolgono rami dai finocchi) dove appositamente come tradizione impone gli è stato riempito un cannolo dalle proporzioni Bibliche. Con cioccolato e canditi! Mentre la gentilissima signora si preoccupava per me e per la mia intolleranza al latte e mi raccontava di star attentissima al gelato alla fragola perchè qualche volta il latte lo mettono, il tizio pelato ha fatto fuori anche due biscottini all’anice. Due chili, intendo.Abbiamo riempito le borse con buccellati e prodotti di panificio e via verso nuove strabilianti avventure. Due ore spaccate. Arriviamo allo Spasimo. Stava per chiudere ma Gerolamo con il suo savoir faire ha cercato di convincere il guardiano e abbiamo goduto, grazie a questo grande uomo con gli occhiali fucsia, di una visione di strabiliante bellezza. Girolamo ti dobbiamo tutto. TUTTO.

Come sempre grazie a lui abbiamo potuto vedere la “parte della Cattedrale che nessuno conosce.  La più bella”. Come il castello della Zisa di cui “conti i diavoli e non riesci mai a tenere il conto”. E’ stato sorprendente. Come in due ore si possa raccontare una vita, una città, un modo di vivere. Non mi sono preoccupata neanche di non avere più in borsa la protezione cinquanta perchè sotto il sole del pomeriggio con la capotte scoperta. E’ stato bellissimo. Il giro in lambretta si deve assolutamente fare e se beccate Girolamo mi sa che è meglio! Individuarlo non credo sia così difficile. Occhiale fucsia con capacità di ribaltare qualsiasi segnaletica stradale. Io posso dire onestamente una cosa: Girolamo non ti scorderò mai e ogni volta che verrò a Palermo la ricorderò raccontata da te e con la speranza un giorno di ritrovarti.

3. Pranzetti volanti take away/Street food?

Approfondiamo l’argomento velocemente perché ci ritorneremo con calma, soprattutto perché prepareremo tanti piatti tipici e tradizionali insieme.  In Sicilia, come anche nella mia città, si ha proprio una fissa. Una mania. Una cultura alle volte che fa sentire quasi in difficoltà (senza quasi) chi viene ospitato. Se c’è una cosa che diventa ai limiti del fastidioso è l’insistenza innegabile che abbiamo noi siciliani nell’offrire continuamente cibo. Certo ci si può trincerare dietro il fatto che l’ospitalità corrisponda a una continua premura per l’ospite ma è pur vero che mettere in difficoltà dopo aver servito ottomila portate è. È ai limiti della maleducazione; e mi dispiace un po’ sottolinearlo perché so per certo che con la maleducazione effettiva poco c’entra.

 Sta di fatto però che una grande verità esiste da sempre e per sempre: in Sicilia qualsiasi orario sia e qualsiasi cosa tu abbia voglia c’è. Perché “l’insistenza” esiste anche negli esercizi commerciali e non solo a casa. Trovi tutto sempre a tua disposizione -quando si tratta di cibo e dintorni- senza particolari ricerche ed è a disposizione di tutti. A cifre ragionevoli e in quantità sconvolgentemente esorbitanti. Una monoporzione qui non esiste. Una monoporzione standard corrisponde a un piatto dove mediamente tre persone mangiano e pure bene (a noi ci piace esagerare, oh! Almeno questo, sì. Passiamola ti prego). E quindi a Palermo cosa si trova? Santo cielo si ha difficoltà solo a ricordare. Orbene. Abbiamo accennato già al Pane ca Meusa schetta e maritata nei sei precedenti punti (Focacceria San Francesco in pole position ma si trova ovunque), pane e panelle (le panelle sono fatte con farina di ceci).

Il Nippotorinese associa molto questa pietanza alla classica farinata ligure e così è in effetti). Le quaglie che sono melanzane aperte a fiore e fritte, broccoletti infarinati e fritti, fritture di pesce di tutte le qualità, i cazzilli ovvero polpettine di patate fritte che somigliano alle classiche crocchette ma non certo nel sapore. Insomma se c’è una cosa che in Sicilia non manca di certo è lo street food. Sempre più fiorente e sempre più gourmet perché se prima era cibo da strada visto “male”. Adesso è una vera e propria imperdibile avventura culinaria da fare. È nella pole position delle cose da fare, a dirla tutta.

Arancine come se piovessero con ripieno di  pomodoro, carne tritata e piselli e anche in bianco con burro e formaggio. Ecco a differenza di Catania che ne fa una quantità vergognosa e tutti gusti (salmone, norma, pistacchio, broccoli, spinaci, con prosciutto e formaggio, con salame, al forno, prima nel forno e poi alla brace e tutte le cotture possibili e immaginabili, con cotechino, con passanti e amici etc) ho visto soltanto le due versioni classicissime e tradizionali degli arancini (oh io continuo ad avere difficoltà a chiamarle arancine ma è giusto così!). Ma mica c’è solo il fritto eh. Come a Catania si possono trovare moltitudini di fornetti dove si trova verdura arrostita (ma con tanto tanto olio e nessuno si lamenti. Io per prima!) come peperoni e carciofi (gnam!). Polpi bolliti con un po’ di limone, ricci di mare, cozze, vongole! I babbaluci! Cosa sono? Le lumache! Lumache condite con tantissimo prezzemolo ed aglio e addirittura hanno proprio una zona indicata su tutte le guide come la zona dei babbaluci (Corso dei Mille). Di tutto. C’è davvero di tutto.

Dal primo al secondo al dolce. Vere e proprie bancarelle enorme con moltitudine di frutta. Fichidindia sbucciati (oh! un segreto. Un vero siciliano non mangia mai un fichidindia sbucciato ma lo fa lui sul momento. E’ come la storia del cannolo. Mai comprare un cannolo gia’ con la ricotta. Si deve comprare solo se hanno la cialda e lo imbottiscono sul momento!), melone (il mellone con due elle non è un’errore di battitura ma l’anguria, occhio!), ananas, anguria. Anguria come se piovesse. E da bere? niente paura perchè i chioschi sono così tanti che ci inciampi. Aranciate, limonate o acqua rinforzata con zammù che è l’anice. Mentre a Catania con l’anice facciamo una bibita che prende il nome di Completo: composta da Anice e Orzata. Per dire insomma che se si è a dieta venire a Palermo sarà un po’ come solcare l’inferno ed essere dei piromani in terapia. O una cosa leggermente peggiore,  mi sa. Perché poi è tutto stratosfericamente BUONISSIMO! Avrai solo che l’imbarazzo della scelta. E anche io che non mangio determinati alimenti non ho fatto assolutamente fatica a trovare qualcosa di buono e gustoso.

4. Castellammare del Golfo

Senza indugio. Dirigersi a Castellammare del Golfo per poi andare a Scopello e insomma No! Giammai rinunciare a percorrere questo tratto di autostrada e al fermarsi al belvedere.Roba che ti viene voglia di urlare per quanto è bello il parola.

Dove un Signore anziano che è talmente bello ed adorabile che ti vien voglia di infilarlo nel portabagagli, vende rosmarino freschissimo ai bordi di una delle viste più sconvolgenti che abbiano visto i miei occhi. Sì l’ho già detto ma posso ribadirlo un altro milione di volte e poi la finisco?

Roba che non si racconta ma si guarda. Purtroppo soltanto in foto in questo umile resoconto e con un obiettivo anche poco adatto. Se tanto mi dà tanto: basta solo immaginare quanto le tue pupille ti ringrazieranno semmai dovessi portarle a passeggio lì.

5. Fare uno “sforzo” e spingersi più in là

Lo so lo so . Sentenziavo che c’è troppo da vedere e usciamo da Palermo? Beh sì. Si deve assolutamente fare se si vuole rimanere abbagliati dalla bellezza di San Vito Lo Capo. Confesso che eravamo un po’ titubanti inizialmente. Le location fashion vip, il Nippotorinese le aborre tanto quanto la mia mania per le borse ed io ne rimango abbagliata giusto un attimo il tempo di guardare qualche vetrina, comprare e portare a casa molto velocemente. Perchè non voglio nascondermi dietro una panella (che cade pure ad hoc) è innegabile che cacchio un po’ di shopping si deve pur fare in vacanza! (al rientro.dopo la vacanza. durante il rientro e insomma 24 ore su 24 è la giusta via di mezzo)

San Vito Lo Capo? Imperdibile

Il Fatto è che San Vito Lo Capo, luogo dove ritorneremo assolutamente per più giorni, lo abbiamo visitato purtroppo solo per mezza giornata ma merita. Merita spudoratamente qualche giorno in più. Quando siamo arrivati dopo aver attraversato Scopello e l’inizio della Riserva dello Zingaro (e qui si potrebbero aprire altre 123091823 parentesi sulla strabiliante bellezza naturale del luogo. I faraglioni e solo il cielo sa cosa) mi è sembrato quasi di arrivare a Portopalo. Avendo dormicchiato in macchina giusto un po’ (sorprendentemente perchè non riesco mai a dormire in generale men che meno in movimento. Il relax assoluto dei giorni deve aver influito positivamente non vi è altra spiegazione) quando le palpebre hanno sollevato le tendine la prima cosa che ho detto assonata è stata

“Portopalo?”

Ho trascorso l’infanzia e la vita a Portopalo. Per me il mare è solo ed esclusivamente Portopalo e non vedo l’ora di sproloquiare su questo paesino che racconta di me, papà e mamma. Di come sia incommensurabilmente bello e selvaggio. San Vito Lo Capo è Portopalo in versione Palermitana ed è incommensurabilmente bella e non selvaggia. E non in miniatura. Strade più larghe, più curate e case oggettivamente tenute meglio rispetto alle casette dei pescatori di Portopalo che si confanno ad uno standard sociale nettamente più elevato.

Non si tratta certo di case di pescatori, dicevo. Un altro livello ma non per questo da discriminare. Riadattate ormai al fascino innegabile di una località turistica dove già da come sono abbigliate le signore sulla via del passeggio si intuisce su che target si aggiri il tutto. Certo è che se ce la volessimo finire con i cappellini di gucci in monogramma GG con banda verde rossa, sarebbe proprio il caso. E’ tamarro, facciamocene una ragione suvvia. Lo vedi che si impossessa di me questa fashion reporter? È dalla prima puntata che non perdermi in queste inutili digressioni (ma saranno davvero inutili? Ai posteri l’ardua sentenza. O a te che mi leggi. Perché altrimenti chiudo tutto e mi do solo a questo, eh! Fammi sapere cosa ne pensi).

Perdono il monogramma monocolore in nero di pelle della Gucci ma quello in tessuto è un insulto. Soprattutto a San Vito Lo Capo che non lo merita. Una Portopalo però mischiata a Sidi Bou Said. E qui volevo arrivare. Perchè nonostante i colori siano quelli, c’è un tripudio di azzurrino (proprio come a Mondello e proprio come nella Cattedrale. Ci deve essere un’allegra perversione per questo colore.). Bianco e Azzurro e tutto molto tunisino, chiaramente. L’immane fortuna di aver trovato la Preview del famoso Cous Cous Fest ci ha fatto gridare al miracolo!

Preview Cous cous Fest!

Sì, esiste un’anticipazione. E chi lo sapeva? Chi poteva immaginarlo? Estasiati a dir poco. Perchè è da una vita che diciamo di dover andare al Cous Cous Fest senza mai riuscirci. Con dieci euro negli stand puoi accaparrarti un piattone di Cous Cous gigante scegliendo due gusti tra quattro, una mini cassatella che nonostante fosse leggermente industriale non promette male per nulla e un bel bicchierozzo di vino.

Il cous cous strepitoso che non ho potuto purtroppo assaggiare perchè solo ed esclusivamente con pesce (in nessuna versione era prevista quella veg) era irrorato di salsette e preparato in dei meravigliosi Tajine dove la cultura marocchina e tunisina si univano alla siciliana di Caltagirone. Meravigliose ceramiche di Caltagirone facevano da contorno a linee arabe. Allestiti poco distanti dei tendoni con dentro tappeti persiani, salottini, puff, tavolini, lampade. Tutto in stile marocchino. Arrivi lì. Ti siedi insieme agli altri e si mangia insieme. Bellissimo. Un’esperienza bellissima senza null’altro da aggiungere. La convivialità di questa multietnicità sotto le tende (vi era un gruppetto di Parma, tedeschi, marocchini, nippotorinesi, siciliane, ed anche una bimba di sangue misto con un papà biondissimo e altissimo e una mamma bassissima scurissima bellissima. Il risultato era una puffetta che definire strepitosamentebella era un’offesa).

Insomma Il Cous Cous Fest in cima alla classifica della To Do List in quel di settembre ma semmai ti capitasse di goderti la Preview senza indugio attraversa le stradine di San Vito Lo Capo. Scoprirai che esiste anche il Chocolate Kebab, gelaterie Slow Food (che mi riservo per dopo con post specifico) e una moltitudine di gentilezza che ti fa sentire a casa.

No. San Vito Lo Capo non ce lo possiamo perdere. Scrivilo che è importante, te lo assicuro.

6. Dattilo

Devi andare a Dattilo assolutamente se vuoi mangiare il miglior Cannolo della parte occidentale siciliana (ma forse pure della Sicilia tutta). Perchè questo è un tasto dolente, lo confesso. Il cannolo qui in sicilia ce lo contendiamo tutti. Io ne ho parlato e sproloquiato nel periodo pasquale proprio qui. Sta di fatto che ognuno lo fa un po’ come vuole e ognuno è convinto del fatto che il proprio sia migliore dell’altro. Fermo restando che anche io sono convinta che il sapore del cannolo sia assolutamente soggettivo perché legato al ricordo e questo cambia sempre le carte in tavola, rimane comunque una grande verità sulla diversità. Pochi chilometri di distanza in Sicilia ma mondi completamente diversi.

Mentre nella parte orientale il cannolo è ormai un prodotto di pasticceria a tutti gli effetti e non troverà di certo palati ostici, quello occidentale è di tutt’altra natura.  È più selvaggio. Più antico.

Cerco di essere più comprensibile (o almeno ci provo, santo cielo). Nella parte occidentale della Sicilia il Cannolo è rimasto il Vecchio Cannolo della tradizione Siciliana. La ricotta di pecora non è eccessivamente lavorata con lo zucchero e non contiene una moltitudine di canditi, pistacchi, mandorle e solo il cielo sa cosa. La cialda è dura, compatta, sa di vino e cannella e si sente moltissimo la fierezza e consistenza pronta ad accogliere la morbidezza. E’ fritto e si sente. E’ pesante e si avverte. E’ di carattere ed è innegabile.

Nella parte orientale della Sicilia invece il Cannolo è una versione moderna che non si confà assolutamente alla tradizione siciliana. La ricotta di pecora è lavoratissima con lo zucchero e resa crema. Non ve ne è solo una tipologia ma con canditi – senza canditi- con cioccolato- senza cioccolato- con pistacchio- con mandorle- con pezzi di cioccolato- con frutta candita laterale- etcetcetc. Si ha quasi difficoltà a capire che sia ricotta. Ricordo perfettamente che una mia amica torinese due anni fa fuggiva a gambe levate dal cannolo proprio per una forma di idiosincrasia nei confronti della ricotta ma si è resa presto conto che il Cannolo nella provincia di Catania tutto è tranne che selvaggio e tradizionale. Non contenti qui nella sicilia orientale si fa con cioccolato, pistacchio, crema e visto che siamo i soliti pazzi creativi esagerati anche con la chantilly, il gelato e vergognosamente altro. Un po’ come gli arancini ho notato questa tradizione maniacale a Palermo nell’usare gli ingredienti nativi dei prodotti e questa bizzarra fantasia del Catanese di infilare roba a caso in qualsiasi situazione. Sembra una banalità quella che Sto dicendo ma è una grande verità. Me lo dico da sola, dirai. Ma è vero. È un concetto tanto semplice quanto vero. E si può applicare a diversi discorsi e contesti. Credo faccia parte di una megalomania catanese congenita.

Il cannolo di Dattilo

in alcune guide particolarmente di nicchia viene indicato come Il cannolo per eccellenza. Dopo aver visitato Trapani (santo cielo la Granita di Gelsomino? Ne dobbiamo parlare, sì)  ci siamo diretti in questo paesino talmente piccolo da essere segnalato a stento dal navigatore. Diverse guide e altri appunti di viaggio sulla rete lo indicavano, vuoi per leggenda popolare o meno, come una fondamentale tappa gastronomica. In realtà è un baretto piccolissimo e alle 4.25 ci sono già tantissime persone che attendono fuori. Chi seduto nelle sedie di plastica lasciate fuori, chi in piedi, chi dentro la macchina. Quando passiamo e tutti sanno che siamo “forestieri” non occorre neanche dire ” a che ora apre?” perchè ci guardano e dicono “alle cqqqquattro e menza rapemu!”. Sorridiamo, posteggiamo e ci becchiamo tutti gli sguardi di un pomeriggio assolatissimo mentre due cagnetti fanno da guardia all’Euro Bar di Dattilo. Il Nippotorinese consuma velocemente questo cannolo perchè strada e impegni ci attendono. Io cerco di mettere a fuoco con la macchina due signore vestite di nero che tanto ricordano la mia terra fingendo di fotografare un cannolo. Roba assurdamente assurda. Come la forma. Perchè. La forma è assurdamente armoniosa e difficilissima da emulare. Somiglia ad una farfalla, poi ad un papillon e poi ad un fiore che racchiude segreti. E’ selvaggio questo cannolo, proprio come avevamo immaginato. E’ diverso. E’ vero, sincero. Senza tanti fronzoli. Ti viene servito su un vassoio alla meno peggio, in un locale con un’insegna vergognosamente anni ottanta. Non hanno un logo, non hanno una segnalazione Michelin, non è slow food, non è nulla. Ma è un cannolo, cacchio. Un cannolo che non si dimentica, dice il Nippotorinese con le pupille fuori dalle orbite.

Un cannolo enorme non quanto quello di Piana degli Albanesi ma enorme per gli standard ufficiali. Che ti colpisce per l’assurdità geometrica e architettonica e per la freschezza del prodotto. Che è fragile come stucco Serpottiano ma che resiste e persiste nella memoria e nel tempo. Raccontandoti. Facendoti sentire turista e appartenenente alla terra fossi pure Slovacco.

Non è zuccherato. Non è lezioso. E’ spartano. Greco e Siculo. Lo descrive così il Nippotorinese e io lo amo perché è perfetto per descrivermi i sapori che non posso e voglio più mangiare.

E di tutti questo cannolo. Racconta la multietnicità della Sicilia passata e moderna.

E’ di tutti. Come la Sicilia. Perchè la Sicilia è di tutti. E’ stata casa di tutti e per tutti. Ed è per questo che nel Dna vi è accoglienza e porta aperta. Quando arriva il lato oscuro non bisogna dimenticare mai che solo questo non è.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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