Ricette Vegetariane e Vegane

Due righe di viaggio su Torino a Novembre

 

Non avevo mai visto Torino che si preparava al Natale e lo avrei voluto. Non credevo sarebbe avvenuto con il dolore al cuore. Già in un Febbraio lontano avevo patito il freddo e negli anni ricordato come quello più difficile da affrontare per la mia stramaledetta otite ma in questo Novembre si è trattato proprio di gelo pericolosamente penetrante.

Saranno state, per logica, anche le tonnellate di gelato che ugualmente sono riuscita a ingurgitare da Fiorio, mia tappa obbligata in qualsivoglia corner cittadino, nonostante la sede storica di via Po rimanga la mia preferita (provate il marron glacè, ve ne prego. E’ qualcosa di sublime). E qualche capatina da Grom certo,  ma i gusti cachi, mela e pera non è che mi abbiano convinto più di tanto. Ottimo, gelateria che amo,  con Limone e Salvia stravince in fatto di sorbetti ma bisogna stare lontani dal fico, vi prego.

Amo quel tempio del buon gusto di Grom ma con la frutta autunnale ci deve essere qualche problema a me ignoto; quando avrò più tempo dovrò capire perchè è un cruccio che mi tormenta. Ma non ho solo mangiato gelato con il riscaldamento della macchina sparato a velocità cinque o su una panca di legno del locale, ho pure fronteggiato un caffè nei tavoli all’esterno del Bar San Carlo. Una Domenica mattina da sola.

Ho sistemato la sciarpa a piazza Cln e osservato un po’ le statue del Po e della Dora. Ho visto l’assassinio di Profondo Rosso immaginandomi al Blu Bar e cercando gli occhi della signora con i guanti di pelle nera e il kajal marcato. Ho preso la Cucina Italiana e Sale e Pepe e le ho sfogliate un po’ sorseggiando decaffeinato mentre mi accorgevo che davvero i guanti di Muji con la sensibilità tattile dell’indice e pollice funzionano sull’iphone. Lo stesso che non ti funzionerà poi, e che all’Apple Store di Torino ti cambieranno in tre secondi, scusandosi pure. Tanti saluti e baci. Roba mai vista, insomma.

Mi è mancata la reflex ma “la scatoletta magica”, così la chiama la mamma del Nippotorinese nonchè mia Dottoressa Suocera, nonostante guasti e cambi mi ha fatto patire meno l’assenza. Mi disturba non mettere a fuoco i dettagli e dovermi accontentare di frullare e far filtrare tutta la realtà e non quella dosata da me ma. Ma sono grande abbastanza adesso per rendermi conto che davvero non posso schematizzare ogni cosa, visione e accadimento. E che esiste l’imprevisto. Pertanto nel campo visivo potrebbero esserci dei protagonisti inaspettati e non ultimo indesiderati. Che fotografare la vita a modo proprio è lecito ma.

Non ho comprato una borsa ed è un fattore x determinante sul mio umore. Ma la sensazione di maturità provata nel non aggiungere superficialità a questo mio lato qualunquistico è stata soddisfacente assai.  Ho adottato però un Nano Peloso Natalizio che si chiama Yokina. Significa: Allegro (qui delucidazioni nanose).

Allegro perchè, mentre lo acquistavo al San Carlo 1973 (dentro il corner Natalizio dove tutto il ricavato viene devoluto all’Adisco) luogo che amo per svariate ragioni non soltanto legate al mio interesse per la moda, ho avuto il piacere di vedere la Signora Allegra Agnelli che insieme al Sovrintendente del Teatro Regio girava tra i carillon, gnomi, elfi e personaggi fatati. Biscotti speziati e panettoni e tripudi di cioccolatini Gobino. Yokina era lì tra orsi e pinguini. In un angolo bianco accecante con luci. Senza un volto e un corpo se non un groviglio di lanetta pronta a riscaldarti in quella freddezza cromatica.

Torino non è mai stata così fredda e bianca. Capace di essere signora anche nei momenti più bui è riuscita ugualmente ad accogliermi con un sorriso. Ci sono stati abbracci e torte di mele. Mele renette che non avevo mai mangiato e broccoli con tanta senape tedesca al gusto di mango;  un gatto inferocito che non ha tentato di azzannarmi ma si è rotolata tra i piedini in cerca di coccole. Impavida non ho urlato ma sono solo fuggita. Libri natalizi da sfogliare per distrarsi e  film sull’ipad con il volume sparato altissimo pronto a rincretinirti. E parole.

Tante parole. Di conforto e di abbraccio. Di amici fisicamente presenti e non, ma ugualmente vicini.

Seduta su un letto di lana sfogliando foto del mio amore in un karaoke bar in quel di Tokyo. Di lui in campagna abbracciato alla sua bellissima sorella, che lo è anche per me. Di lui con la sua ex durante una scampagnata che ride con i capelli ricci e vaporosi. Di lui su un battello a forma di cigno in Giappone.

E guardando da una finestra le Alpi.

Ho capito che sì, ero  a casa.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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