*La ricetta del Pancake al The Matcha in versione stampabile la trovi qui*
Quando ho letto “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” , ormai l’anno scorso, mi sono sentita quasi in obbligo di consigliarlo a chiunque mi capitasse a tiro.
Christopher nelle prime pagine sembrava essere quasi Oskar di “Molto lontano incredibilmente vicino”, il bimbo che aveva indiscutibilmente cambiato le sorti nomistiche (?) dell’eventuale nostra prole siculnippotorinese. Nonostante il nome non piacesse ad entrambi semmai avessimo dovuto immaginare un frullato di noi quel piccoletto abitante di New York sembrava essere proprio la traslazione perfetta proprio come lo era Alice di Carroll nella versione femminile. Ma che il cielo ci guardi bene dall’avere eventualmente un’altra donnetta per casa. Solo l’idea mi fa star male. Un bimbo. Fedele agli amici come solo i maschi sanno essere, che porta sporadicamente ragazzine in casa. Senza psicodrammi su tette e fianchi larghi. Magari la voglia dell’astronauta e del viaggio in Brasile per diventare una rockstar (Hendrix la zia ti ama!) ma no. Lo psicodramma delle tette no. Oskar nella sua logicità e follia con la sua chiave e i suoi segreti mi ha fatto sognare. E’ stato il preludio, col senno di poi, di un tragico evento che ha segnato per sempre la mia vita ma che adesso mi fa sorridere istericamente. Al contrario Christopher arrivava proprio quando di chiavi non ce ne erano più perché le porte erano state sfondate, le panchine avevano preso fuoco e tutto era come doveva essere. Lo schifo nel suo schifo e la verità nel mio amore. Sta di fatto però che Christopher, con un nome sinceramente migliore, dopo le prime pagine comincia a perdere di contenuto e non regge il paragone. Oskar è qualche pianeta e stratosfera più in alto e decretando il fallimento di questo bestseller che vale comunque la pena leggere mi rimane la sensazione che la paura verso i colori, le fobie bizzarre e le allucinazioni, che con sarcasmo a volte mostro, se lì hanno un nome e si chiama autismo, qui vivono in un mondo senza provenienza e nome. Ma il verde mi ha sempre fatto paura. Provocandomi fastidio e talvolta pianto. Contare le lenticchie è l’ultima frontiera. Una ad una. E poco c’entra il Capodanno.
Per dire che il capodanno 1-1-11 è uno. E’ inizio. Come fosse l’inizio dell’inizio. Agnostica e spaventosamente razionale nella mia totale illogicità mi ritrovo a fissare 1-1-11 e quando Giovanni (Iber*pioggia di cuoricini) mi dice che 2011 è anche un numero primo beh. Abbraccio virtualmente Oskar e Christopher e mi dico che forse è davvero l’anno giusto. E’ l’inizio di me. L’anno scorso lo era quasi. Ma era la prova generale. Salendo per la prima volta sul palcoscenico che è la vita inizialmente ho sbagliato ma a chiusura di sipario qualcosa sono riuscita a dire. E Fare.
La Gigantografia alle mie spalle è stata scattata l’uno gennaio del 2010. In lavanderia con un’emicrania feroce e delle piume bianche in testa. La tizia davanti alla gigantografia che vagamente somiglia all’altra ci si è posizionata davanti esattamente 365 giorni dopo. Per riguardarsi con calma e capire. Mamma e Papà hanno voluto quella foto esattamente per piazzarla la prima nella camera da letto e il secondo nell’ufficio. Ha un segreto. Un significato intimo e familiare. Cela una storia che comincia il dodici dodici alle dodici. Quando mamma ha visto questa foto nata dall’idea di specchiarsi dandosi le spalle mentre gli altri con pernacchiette e cappellini brindavano al nuovo anno mi ha chiesto esattamente quello che avevo pensato scattando. Di farne un’ennesima gigantografia. Si è deciso che ogni anno faremo la gigantografia di me con alle spalle la gigantografia delle altre gigantografie. Perchè è Passato. Presente e Futuro. In un infinito infinito moltiplicarsi. Insieme. E per sempre. Quello che appare egocentrismo in una gigantografia può essere salvezza in un altro mondo. Il mio: dove è normale piangere per il verde. Quella che appare come sovraesposizione può essere sfida in un altro mondo. Contro se stessi: dove è normale lottare per raggiungere il parametro di “quell’idea di me nell’iperuranio che voglio diventare”.
Tra trenta anni non avrò paura di non vedere più l’origine (2010) e di constatare che non ci saranno poche rughe, vite ed esperienze a far da contorno agli occhi se. E solo se mi avvicinerò a quell’idea perfetta di me che voglio diventare. Lo scorrere del tempo trasformerà sì ma no. Non si può essere sempre l’origine. Credo che faccia paura adesso questo di me. A tutti quelli che pur conoscendomi da una vita avendomi davanti hanno indietreggiato. O cercato disperatamente di farmi tornare questa stramaledetta Iaia di prima.
Fa paura provarci. Crederci. Confrontarsi. Essere competitivi. Ma con se stessi mica con gli altri. In quel modo è facile. E’ facile dire che “voglio essere più simpatica di quellalà”. Ne puoi diventare una stupida macchietta e imitazione mal riuscita mettendoci un po’ del tuo. E’ difficile dire “voglio essere più simpatica di me” e mettersi a lavoro. Richiede impegno. Scavare dentro e trovarci magari quel nulla assoluto che in Neverending Story per poco distruggeva Fantasia.
E’ la vecchia storia dell’erba del vicino. E’ più facile impegnarsi a controllare l’altro giardinetto che prendere il tosa erbe e cominciare. Sudare e sistemare.
Ecco a me dell’erba del vicino mi importa quanto sapere se Flavia Vento ha fatto il trenino a Capodanno. Al massimo prendo una cartina, la arrotolo accuratamente e me la fumo con lui. “Porto un muffin io vicinodicasa, ok?”. Semplice.
Alcune delle diapositive mostrano questo uno con i numeri uno della mia vita. Mai passato il Capodanno con i miei che li ha sempre visti in giro per il mondo. Ma il mondo quest’anno ero io. Fare il trenino con DiscoSamba non è sato poi così imbarazzante. Di più. A disposizione ci sono video e foto compromettenti che riguardano anche il perfido Nippotorinese che per l’occasione ho sfoggiato risate isteriche mentre io imbottita di actigrip visibilmente disinvolta fingevo che no. Non avevo mica 37.8 di temperatura
In concomitanza con l’inizio di me c’è pure la sconvolgente notizia che *rullino di tamburi e rullini le erbedelvicino* quest’anno in Oriente *nientepopodimenochetadantadan* a breve si festeggerà l’inizio dell’Anno del Coniglio. 兎年 Usagi ! Gli adorabili nipponici hanno già registrato boom di vendita che ritraggono conigli, torte, biscotti. Sono tutti letteralmente impazziti. Dopo dodici anni ( mano a dirlo ) sta per finire l’anno della tigre e il simpatico orecchiuto si appresta ad arrivare. Sarà il coniglio quindi il protagonista indiscusso nell’estremo Oriente nel 2011. Contando pure che quest’anno io e il Nippotorinese trascorreremo proprio una parte della nostra vita là mi verrebbe quasi da dire che sì. Si comincia proprio bene (tutto questo ottimismo mi farà cadere una pannocchia gigante in testa. Ma l’importante è non guardare in alto, cercare di schivare il più possibile e comprarsi un cappellino rinforzato). In onore quindi dell’Anno del Coniglio imminente ho voluto raccogliere alcune delle mie foto dove vengono ritratti i miei fidi amici.
Ammetto che mi fa sempre piacere ricevere email o immagini. Vedere scritto ” sai che mia figlia mi ha detto : mi compri il coniglio di Giulia?” a me francamente fa piangere di commozione dalle 14 alle 19 del giorno dopo e qualcosina in più. E’ quel “coniglio di Giulia” che. A tal proposito DEVO peffozza con due effe e due zeta segnalare il Flickr e il genio dell’incredibile Giulia aka PieceofStar che con l’interpretazione di RabbiDexter mi ha confermato la notizia: il mondo è salvo. Esistono sì creature speciali (dire che le voglio bene è lapalissiano ma il lapalissiano a volte non va trascurato).
Mi viene chiesto spesso come è cominciata e da qualche parte sì. L’ho pure raccontato. Non che sia un racconto entusiasmante ma.
Nonna aveva dei conigli che teneva in una gabbia. Un racconto mortalmente noioso comincia proprio così. Ma in effetti nonna aveva dei conigli che teneva in gabbia davvero. Non ne ero mai stata particolarmente attratta perchè l’idea di vederli ammassati lì mi faceva dimenticare la dolcezza del nasino e la puffolosità delle orecchie. Un giorno però bianco. Uno totalmente bianco con gli occhi rossi paurosi a dir poco. E’ mio. Si chiama Neve. E’ mio. Si chiama Neve. Crogiolandomi su Neve o Bianco mi ero fortemente convinta che fosse mio. Non attribuisco nessuna colpa alla Nonna che con una delicatezza inaspettata alla mia domanda ” dov’è Neve Nonna? ” ha indicato ” lì” una sorta di carcassa sanguinante appesa su un gancio. Il motivo del mio vegetarianesimo trae origini proprio da questo simpatico quadretto familiare. E’ inutile specificare il perché io non abbia mai mangiato il coniglio. Ed in seguito facessi difficoltà a vedere una coscia di pollo come una semplice coscia di pollo al forno e così via in un crescendo.
Quando il Nippotorinese ed io abbiamo comprato la wii il primo gioco è stato proprio Rayman Raving Rabbids. Quando il pelato me ne ha regalato poi una miniatura in plastica dicendomi che no. Non sarebbe finito in nessun gancio. Ho cominciato a giocare. Nello stesso esatto modo in cui mi era stato proibito con Neve. La follia che ne è poi generata è un altro discorso*risata isterica
Su Gikitchen Light version , perché una comunicazione di servizio poteva mancare ma anche no, si è proceduto all’inserimento di moltissime ricette qui inserite. A capodanno dovendo estrapolare la ricetta del tronchetto di natale ( riuscitissima tra l’altro e piaciuta da impazzire) mi sono martellata le falangette maledicendomi per tutte le idiozie inserite nel post. Perché no. Se si ha voglia di fare il tronchetto il Nano da Giardino che balla musica anni 80 mentre prendi lo sbattitore elettrico può solo provocarti un esaurimento nervoso. L’ennesimo, intendo.
La prima ricetta dell’Anno è una colazione veloce, particolare e di sicura riuscita. L’idea nasce dal fatto che sì. Sono ormai intenzionata a metterlo anche nel caffè il The Matcha. La ricetta del pancake originale è quello di Nigella. Ho tolto giusto poco poco di burro per non far saltare in aria l’aorta del Nippotorinese e aggiunto Matcha come se non ci fosse un domani (Chiari Docet).
Procedimento vergognosamente semplice: Dopo aver proceduto ad amalgamare per bene tutti gli ingredienti e setacciato la farina, girare accuratamente con un cucchiaio e lasciare riposare l’impasto per almeno venti minuti in frigo. Fare sciogliere qualche noce di burro (non troppo) nella padella e versarne una parte. Quando il pancake comincerà a fare delle bolle non a contatto con la padella sarà arrivato il momento di girare e proseguire la cottura. Orientativamente si potrebbe dire che sì. Basteranno due minuti per lato. Le dosi sono indicative per quattro persone ma dipende chiaramente dalla grandezza della padella che userete e da quanto composto deciderete di versare. Abbondante con il the Matcha senza paura. Crepi l’avarizia! Almeno per la prima colazione dell’anno (l’idea di mettere lo sciroppo d’acero non è una genialata. Ammazza il sapore del Matcha ma è pur vero che non essendo particolarmente zuccherate per chi non predilige i sapori poco decisi non ne sarà particolarmente entusiasta)
Ed anche se ce lo siamo ripetuti dovunque. Che sia un Anno bianco. puro. e con delle orecchie simpatiche che fanno sorridere. Per tutti.
Ed anche se ve l’ho ripetuto. Grazie. Rimango sempre senza parole per l’affetto.