Ricette Vegetariane e Vegane

Marsiglia – Cité Phocéenne e un’ondata di luoghi comuni

 “Masalìa“, Mas – Alys, potrebbe semplicemente significare “città sul mare”, “porto”.  “Massalìa” (con due s) da mas “casa” e salya “salii”, patria dei Salii, popolazione ligure abitante nei paraggi. Oppure Città di cioccolato (Mars) scoperta da Iglia (La coniglia).

Pur essendo la terza l’ipotesi più accredita (oh non ce la faccio ad esser seria, vabbè) c’è da dire che fatica proprio non si fa ad immaginarla semplicemente come città sul mare perchè questo è. Regina del Mediterraneo ha una cala naturale capace di sedurre anniannifa i navigatori focesi che ne fecero uno dei più grandi porti.

Sì d’accordo il sapone di Marsiglia è una delle prime cose che ti viene in mente parlando di questa città ma in un’eventuale parimerito senza ombra di dubbio alcuno vi è proprio il porto. Nel Medioevo il porto non aveva una riva costruita ma era difeso da due torri, gli attuali forti di San Giovanni e San Nicola che ne segnano solennemente l’entrata.

A questa punto dovrei cominciare ad entusiasmarmi e cantare le lodi di questa fantomatica solenne entrata della città. Praticamente potrei stilare una lista per placare l’incontenibile brio, giusto?

Cioè doveva andare così ma andrà in tuttaltro modo; giusto per anticipare quello che nessuno ha richiesto tra l’altro.

1) Il pullman di Costa Crociere con cinque euro ti molla proprio all’uscita del porto e mentre ti intima di tornare prima delle 16.45 o finire in qualche industria marsigliese a confezionare saponette, sei già sul corridoio chilometrico del porto assolato. Un minimo di ombra neanche a pagarla. E non è mica tanto strano considerato il fatto che il sole batte dove  il palazzo duole e di palazzi nemmeno l’ombra (cosastodicendo?). Generalmente sono cremacinquantamunita e pur possedendo cappello, occhiali, coprispalle, coprimani, copriqualsiasicosa ho rischiato l’ustione durante il tragitto. Con cinquanta gradi all’ombra poi non si fa fatica. A fare cosa? A maledire il porto, certo. Che è bello, per carità. A patto però di non aver visto quello di Barcellona il giorno precedente. Il fatto è che il fastidio immotivato era proprio preludio manco avessi avuto un improvviso shining di preveggenza. 

(per i più attenti: sì sono le foto del porto di Barcellona. Ma non sapevo cosa mettere, occchei?)

2) Al primo semaforo che incontri dopo aver percorso questi due chilometri di banchina che costeggiano il porto, gli ultimi cinquecento metri dei quali strapieni di saponette, arrivi all’inizio de “La Canebière”. E’ importante segnalare che, nonostante fosse verde per i pedoni, un simpaticissimo musulmano con donna in burka e occhiali da sole (fashion)  e prole dietro (che ballava musica commerciale araba, suppongo) ci stava mettendo allegramente sotto. Chiunque osi dirmi che a Tunisi, Catania e Napoli si guida male, si prende un ceffone a pieno viso e anche un calcio sugli stinchi. Al Cairo si guida in maniera fantasiosa mentre a Marsiglia si guida seguendo un progetto ben preciso “Uccidi il turista e porti a casa 3 punti in più sulla patente”.

Perchè non rimane un caso isolato questo simpatico siparietto che vede la famiglia allegra burka/fashion/style uccidere gli allegri pedoni turisti. E’ bellissimo, mi dico, e siamo solo all’inizio.

3) Pur essendo combattuta da questa ondata-pioggia di negatività abbattutasi su di me, cerco di rilassarmi intimandomi di non esser preda dei luoghi comuni che sono poi il pane quotidiano di cui si cibano gli stolti e i precursori di guerre ideologiche e non solo. Quasi ce la faccio prima di entrare in una sorta di bar-che-bar-non-è dove intriganti prodotti da forno fanno da sfondo a prelibatezze dolci e salate appena sfornate. Tutto idilliaco se escludiamo quello che loro intendono per sorbetto-gelato che è raccapricciante visivamente tanto quanto per il gusto. Perchè stoica ho preso una mini coppetta finita nella spazzatura adiacente alla giostra che di solito mi esalta. Di solito, appunto. Il fatto di aver scattato distrattamente solo una foto e non 324.234 ne è la controprova. Pure i cavallucci con le briglie arcobaleno erano simpatici quanto un ascesso il giorno del tuo matrimonio (come se non bastasse anche un bel brufolo pustoloso sopra il naso).

(come ci siamo finiti alle pustole sul naso? ah sì)

E’ bello sottolineare come la donna al banco fosse affabile come uno squalo tigre appena colpito da una fiocina avvelenata (che sia oggi la giornata delle metafore, per me?) e come il target di servizio fosse altamente rispettato con il ragazzino che non parlava inglese ma solo dialetto marsigliese strettissimo e suppongo pure camuffato per non farsi capire appositamente da chi non rientrasse come residenza nel raggio di tre metri da casa sua.

(e quando non riesco a mettere neanche una virgola è perchè sono incacchiata)

Per un semplice dolcetto non definito con l’uva passa neanche tanto buono e un sorbetto al limone abbiamo impiegato qualcosa come venti minuti. E c’eravamo solo noi. Cordiali come Brunetta e simpatici come Tremonti, sono stati così ribattezzati i due simpatici omini di questo luogo apparentemente valido che si è rivelato essere imbarazzante. Purtroppo (o per fortuna) la mia mente ha cancellato il nome-via-luogo esatto; mi avrebbe fatto molto piacere lanciare loro direttamente una sonora pernacchia via etere. Avevo già in programma di pagare un traduttore interprete marsigliese in modo da avere più chance in un’eventuale chiave di ricerca dopo aver fatto redigere un post apposito. Sarà però mia premura seguire un corso di training autogeno e ipnosi affinchè il cartellone illuminato riemerga tra le scatole dei ricordi. Basti sapere però che è sito proprio di fronte alla giostra tonda in fondo al vialone del porto. Il primo. All’angolo.

E’ una delle indicazioni più precise che abbia snocciolato in vita mia.

(Sul post di Palma avevo segnalato il Pain Raisin come Ensaimada. Ero ancora sconvolta per il bingo al ponte dodici evidentemente. La foto dell’Ensaimada la metterò quando parlerò di cavolfiori con salsiccia, per essere coerente)

4) Dopo questa iniezione di fiducia nei confronti degli affabili abitanti del luogo, non è stato di certo difficile apprezzare la maleducazione di due vecchie megere gentili quanto belle. Volendo tracciare un identikit estemporaneo di entrambe, basterà sapere che l’incontro tra una scimmia Uacari e un Eterocefalo glabro avrebbe sortito più effetto (consiglio caldamente di documentarsi su google immagine qualora non si abbia ben presente l’eterocefalo glabro e la povera scimmia uacari tirata in ballo; a me francamente piace e parecchio pure).

Plauchut (lo squallidissimo sito e riferimento corredato da foto imbarazzanti lo si può trovare al seguente indirizzo >>> )

Le due vecchie eterocefale uacari, (forse) proprietarie del locale datato 1800 (quindi ben dopo la loro nascita), promettevano faville dall’esterno. Croquets Marseillais, Glaces maison, Calissons, Patissier, Specialites Marseillaises e Provencales.

Prima di proseguire occorre un inciso. In ogni luogo dove io vada chiedo SEMPRE, nel caso in cui mi andasse di scattare, se è possibile far foto. Confesso di farlo solo in determinati casi. Ci sono dei requisiti fondamentali basati su assurdi dogmi che esistono nel mio personalissimo iperuranio di idee. Uno su tutti: l’ambiente circostante e gli abitanti che vi popolano devono ispirarmi simpatia-fiducia. Altrimenti: ciccia. Pochi giorni prima io e il Nippotorinese avevamo disquisito circa la mia eccessiva premura per ogni singolo scatto invitandomi a fotografare qualora mi andasse senza tirarla troppo per le lunghe. Vengo rimproverata sempre per le mie eccessive cerimonie, pur facenti parte del mio dna. Nella mentalità di “cittadina del mondo” e inaugurando un po’ questa nuova vita da viaggiatrice occorreva, secondo lui, anche una bella rispolverata a tutte queste buone maniera da signorina gnegnegne. Fine dell’inciso. E mi chiama spesso signorina gnegnegne con fare dispregiativo. 

Ordino un gelato al limone e lui dei biscottini-grissini aromatizzati alla cannella, zenzero e cumino e una quiche al formaggio. In teoria avremmo dovuto pranzar lì. Io provando sorbettini e limoni fruttosi e lui strafogandosi di carboidrati-lievitati e torte salate. Pur confermando che è un luogo da evitare e detestare a dismisura, non sarebbe certamente obiettivo ammettere che trattavasi di prodotti scadenti. Anzi. Credo, e lo penso fortemente, che sia uno dei luoghi più belli che abbia mai visto. Per varietà di prodotto e presentazione casalinga-tradizionale-iper chic al tempo stesso. Presa dalla smania di voler essere cittadina del mondo e di abbandonare gli abiti da signorina gnegnegne chechiedetuttoesorridesemprescusandosi ho fatto una foto alla torta salata che il Nippotorinese stava ingurgitando mentre sputacchioso confermava che l’aspetto equivaleva al gusto.

Una delle due vecchie megere che potrebbero partecipare al casting di un eventuale sequel per le sorelle protagoniste de “La casa dalle finestre che ridono”, ha gridato un “NO FOTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!” facendo credere ai passanti che le avessi sgozzato il gattino e lo stessi mangiando squartandolo proprio davanti ai suoi occhi. Al coro disperato si è unita l’altra che mollando cassa, biscottini e palette per infornare pizzette mi è quasi corsa incontro per togliermi il gattino dalle fauci. Solo che io non avevo il gattino. Avevo una reflex.

Arrabbiata come si può immaginare con il Nippotorinese e i suoi consigli da “perfetta viaggiatrice del mondo”, mi sono scusata riponendo la macchina fotografica. Osservato millimetro per millimetro che non ci fosse neanche un cartello, ho fissato il vuoto dicendo al tizio pelato che mi sedeva accanto che aveva tre secondi netti per finire quella stramaledetta torta perchè non avevo intenzione di restare un minuto di più in quel luogo di maleducazione e assurdità. Sarò esagerata sì, ma esiste un modo di relazionarsi con le persone. Esiste un catalogo. Essendo io oltremodo educata e gentile, disponibile e affabile PRETENDO di essere corrisposta non nello stesso modo ma perlomeno in maniera adeguata. Non mi conquistano i sorrisetti, anzi tutt’altro. Amo le persone burbere. La maleducazione e l’ignoranza no.

Nel frattempo la vecchia megera e la sua compagna di merende, forse resesi conto della gaffe, si sono avvicinate al tavolo scusandosi perchè il sorbetto al limone era finito. Francamente non mi ero neanche accorta di non essere stata servita. Ero in un totale stato di imbarazzo e mortificazione. Mi propongono un altro gusto. Alla crema. C’è il latte. Da quel momento in poi non ho guardato più negli occhi la scimmia uacari, che si intratteneva con  il mio interlocutore-interprete che dava spiegazioni circa la mia intolleranza al latte. Non ne capirò nulla di francese ma un concetto mi era chiaro: la scimmia uacari con aria dispiaciuta mi guardava come fossi una bimba malata. Era il momento.

Ho tirato fuori gli artigli e da signorina gnegnegne mi sono trasformata in siculaintrasfertaconcoppolaacidaepazza.

Ho intimato al nippotorinese di fare in fretta. Ho guardato la scimmia uacari e le ho urlato “NON VOGLIO NULLA, GRAZIE” in un inglesesiculo che ha capito. Considerando il fatto che ha abbassato gli occhi ed è andata via.

All’uscita arrabbiata, mortificata e infastidita dall’aver dovuto essere maleducata, ho dovuto fronteggiare il dispiacere del Nippotorinese che con un “è colpa mia” ha vinto il premio “Fidanzato più amorevole dei secoli a partire dal 1200 sino ad arrivare al 3012”. L’ho abbracciato e ridendo a crepapelle gli ho spiegato che no. Non era colpa sua e che le due scimmie uacari non sapevano che mentre sfornavano pizzette, poco prima che mi rimproverassero per la foto, io avevo giusto inquadrato il negozio in ogni angolo e fatto video.

A quel punto ho vinto io il premio “Uacari dell’anno”.

Quello che segue quindi è il video di una Viaggiatrice del mondo alle prime armi. Che poi non si debba mettere piede al Plauchut senza scattare miriadi di foto, è un altro discorso. Perchè la prossima volta che entrerò un servizio fotografico glamour alle uacari non glielo toglie proprio nessuno.

(youtube fa le bizze e non mi fa caricare il video ahimè, provvederò al più presto. Fingete preoccupazione a riguardo ve ne prego)

5) Vicino al Plauchut e alle Uacari di nostra conoscenza c’è la Chiesa San Vincenzo e Paolo che si raggiunge dopo aver percorso la Canebière. Tracciata sopra un antico cantiere di cordai, questa strada deve il suo nome al termine provenzale “canebe” che significa canapa. Il suo nome comparve nel 1667 in occasione dei lavori ordinati da Luigi XVI. Il corso immortalato nella canzone “Notre cane, Canebière” è lungo circa un chilometro. Il fatto che questa canzone non la conosca nessuno è un altro discorso.

E’ costeggiato da caseggiati del XIII e XIV secolo. La passeggiata poteva essere piacevole se non ci fosse stata una moltitudine di gente che per tradizione ti spintona. Al primo spintone credevo che fosse uno sbaglio “scuse me…” , al secondo ho pensato alla sfiga cosmica. Al terzo ho detto ellapeppa. Al trentacinquesimo spintone ho cominciato a darci sotto. Ho cercato anche un negozio fornito di abbigliamento sportivo per acquistare una tutina da rugby con spalline e casco per fare fuori come birilli i passanti ma nulla.

C’è da segnalare, inoltre, che nel corso non vi era la presenza di una scarpa appetibile. Proprio come i sorbetti-gelati (solo confezionati) anche le scarpe, che sappiamo essere direttamente coinvolte nel decretare se una città è valida o no, erano orrende a dir poco.  Erano trascorse poche ore. Quando ho detto al Nippotorinese “mi manca la nave. Non vedo l’ora di salirci su”, era indeciso se chiamare il pronto intervento o riportarmi al Plauchut. Forse scaricata la rabbia sui corpi inermi delle scimmie uacari io avrei ripreso il senno. Ma così non è stato. Del resto chi l’ha mai posseduto?

6) Le Galeries Lafayette a me piacciono. Ne ho ricordo valido. Perchè vendono Marc Jacobs, ed è tutto dire. In periodo di saldi avrei dovuto gridare al miracolo per essere in quel di Marsiglia e avere a disposizione ben sei piani di trenta e cinquanta per cento. Bene. Non solo non ho acquistato neanche un paio di scarpe, ormai tradizione, ma neanche una borsa. Davanti alla shopping carinissima di Jacobs con Miss Marc ad un prezzo più che onesto ho detto al Nippotorinese che “carina sì ma non sono dell’umore adatto”. (ari)Bene. In trenta anni equalcosinainpiu di vita mai avevo affermato di non essere dell’umore giusto. Sempre più preoccupato mi ha letteralmente trascinato al reparto casalinghi dove vi erano delle carinerie niente male a prezzi stracciati ma ahimè anche lì non ero dell’umore giusto. Il rifiuto dello shopping e aver riposto la reflex nello zaino perchè “foto. non mi va proprio di far foto oggi” gli ha fatto prendere seriamente in considerazione l’idea di tornare sulla nave. Idea poi non perseguita perchè la signorina dei Macaron alla fine era stata gentile, dai. Sì. Nel senso che all’interno c’era proprio uno stand dei Macaron di Meresse. Bisognava dare fiducia alla città. Forse qualche essere umano respirava lì insieme a noi. FORSE.

Non volevo chiederle di poter far foto neanche sotto tortura ordunque ci ha pensato il mio lui. Per un’iniezione di fiducia nel prossimo, insomma. Da un estremo (uacari) all’altro (miss macaron) in preda ad un egocentrismo spinto la Signorina dei Macaron ha creduto che volessimo fare una foto a lei. Lo abbiamo intuito quando si è messa in posa e ci ha sorriso dopo essersi sistemata i capelli. Sbigottiti e interdetti l’abbiamo accontentata e siamo andati via mogi mogi riflettendo su “quantosonostraniquestimarsigliesi”.

Leggenda e luogo comune vuole che i francesi siano incazzosi, poco cordiali e comunichino esclusivamente nella loro lingua. Non ho mai creduto e non credo ancora a questa  sciocchezza ma se dovessi basarmi sulla mia esperienza e dovessi trarne delle conclusioni senza paura non solo posso confermare la fantomatica idiozia ma ricaricherei con un aggettivo che racchiude un po’ tutto: ineducati.

Non abituati affatto alla gentilezza e cortesia. Troppa nel linguaggio ma poca nella quotidianità. Quando soggiornerò, come accadrà, in Francia per più di dieci giorni e potrò confrontarmi con diverse tipologie di persone, spero proprio di tornar qui tra queste righe e vergognarmi per averlo anche solo pensato. Fino ad allora non credo. Del resto sono quella che (dopo questa avventura) non ha difficoltà alcuna ad ammettere che l’italiano in linea generale è proprio quello indisciplinato che vuol passare come il furbo del quartierino. Amen.

(oh pure la cassiera della Lafayette era da prendere a ceffoni. Se solo avessi avuto il tempo lo avrei fatto. Soprattutto, quasi dimenticavo, vige una regola a quanto pare. Non dirti dove è il bagno. Ti rispondono che lavorano lì da poco e non lo sanno. E se te lo dicono sei persone va da sè che. O ci sono stati tanti ingaggi ultimamente alla Lafayette o sono stro… ahem. Ahem o sono)

7) si fa difficoltà ad arrivare al punto 10 ammesso che sia questo il traguardo prefisso perchè la Cathedrale de la Major non mi andava neanche di vederla. L’abbazia di San Vittorio l’abbiamo saltata a pie’ pari e l’Opera insieme al palazzo della Borsa si vabbenemavoglioandareviadaquestoluogomaleducatoeassurdo. Quindi sì da vedere ma mica lo so. So che la ’Hôtel de Cabre che, insieme alla Casa diamantata, è la più bella (così dicono) fra le vecchie dimore di Marsiglia è stata costruita nel XVI secolo da Louis de Cabre ma fu letteralmente spostata con l’allargamento della “grande via” nel 1954. Sì. E’ stata proprio spostata. Nel senso che hanno messo un palazzo sopra delle staffe e via. L’hanno spostata e ruotata. Roba incredibile che mi ha fatto pensare al Castello di Howl errante ma poi ho smesso per non offendere Miyazaki.

Ah. Adesso c’è un parrucchiere nella ’Hôtel de Cabre. Se sia antipatico o no, non lo saprò mai ma dalle pettinature posso sostenere con fermezza che è rimasto agli anni 70.

8) Lafayette Gourmet. Ecco spendiamo un punto a favore di questo luogo. Un po’ il nostro Eataly con prelibatezze e specialità slow food. Che Eataly non me ne voglia perchè è in effetti sussistono nette differenze. Ci sono tantissimi corner dove mangiare sì ma di tipologia diversa (che non sta certamente per: migliore). Sushi, insalate, frutta, carni, forni con prodotti di tutti i tipi. Tantissimi prodotti validi e genuini, davvero. Un’isola felice dove scopri Bocconcini Farci a la creme de citron e pure i Cannoli Sicilien alla Creme Zabayon, brutti da far spavento con delle cialde molli che ti fan venire voglia di gridare perchè non si dedichino ai croissant un po’ meglio ma vabbè. Patè di tutti i tipi con un’insolita sovrabbondanza di pistacchi e il famoso Patè Croute Richelieu Canard che non so esattamente cosa sia ma l’aspetto è invitante quanto un calcio sugli stinchi, nonostante il Nippotorinese dicesse con convinzione “gnam”. La scoperta alle Lafayette Gourmet però che esiste una varietà tale di salse Maille, mi ha lasciato letteralmente interdetta. Qui in casa senza la Maille (senape per me, e tutto il resto per il pelato) non si va da nessuna parte ma sapere che ne conosciamo una minima e ridicola parte e che davanti a noi vi era la possibilità di provarle tutte ci ha fatto giusto incacchiare un attimo (come se fossimo allegri, prima). Nell’espositore dell’Epicerie Fine si trovavano Patè e conserve di tutti i tipi: Rilettes de Canard, Patè Gascon au  Fois Gras, Graisse d’Oie, Purèe de pinent rouge forte, Creme de Poivron e chutney .

Marmellate di Les Apricots come non ci fosse un domani. E Lime. Tantissimo tantissimo Lime in conserva. Rhubarb with ginger in promozione (uffa! non si può portare nulla di tutto questo sulla nave. Si può nel caso in cui si parli con l’equipaggio addetto ai  controlli; che metteranno da parte e  restituiranno tutti i “souvenir” gastronomici durante lo sbarco. Noi facendo lo sbarco anticipato/non parlando il filippino e il creolo e blablablabla non volevamo aggiungere altri “problemi” vista la scaltrezza e l’organizzazione dell’equipaggio)

Una moltitudine di Chutney assurda. Dolci e salati: Doux de figue e De mangue. Tripudi davvero di barattolame vario che sovrastava pareti su pareti. Proprio come i prodotti italiani, tra i più esposti nell’etnico che offrivano il panettone Bauli a secchiate. Pure il pandoro eh. Ma il panettone vista la quantità nel reparto credo sia molto più apprezzato del buon veronese.

Salse e spezie di tutti i tipi tra le quali la Brown Sauce e la Mustard Sauce with Honey, tipicamente inglesi sormontate dalla sauce Hp. Originale e multigusto.

E’ la Bonduelle però che alza il sipario sul dilagante entusiasmo di vedere perlomeno dei prodotti culinari alternativi. Fuori vi era l’inferno di gente che grida no foto e ti spintona, mentre dentro come in un mondo a parte un paradiso culinario in formato gourmet tutto per te. E’ questo l’unico ricordo bello che ho di Marsiglia. La Bonduelle sforna ogni sorta di insalata e composto. Fa la Piemontaise che per inspiegabili ragioni ha prodotti che nulla c’entrano con la tradizione piemontese, ha moltitudine di Betteraves, pasta fredda con verdure grigliate alla napoletana (?), Carciofi lessi con riso, Pommes de terre in tutte le salse e insomma una varietà inesistente in Italia dove troneggiano indiscusse le Carottes Râpeés.

E qui l’aneddoto. Imbarazzantissimo per me.

Non avendo avuto il mio sorbetto dalle scimmie uacari e non avendo pranzato, intorno alle 16.00 del pomeriggio forsecheforse mi era venuta un po’ fame. Il Nippotorinese caldeggiava un mio eventuale pranzo. Quale migliore occasione essendo a Lafayette Gourmet? C’erano tantissime verdure fresche e frutta. C’erano angoli dove poter mangiare. Beh.

Oh del seitan però neanche l’ombra eh.

Mi entusiasmo quindi davanti ad un’insalata pronta che conteneva solo iceberg. Cerco disperatamente le carote da abbinare in modo da portar nell’angolino un pranzetto prelibato che mi potesse soddisfare. E senza carote proprio non mi andava. Cerco, rovisto, rigiro tra la parete immensa della Bonduelle quando serissima ho detto al Nippotorinese:

“Oh ma queste carote con le rape insieme vanno tantissimo vero? deve essere un abbinamento squisito che noi non conosciamo”.

Tra le lacrime rotolandosi per terra dopo tre quarti d’ora sono venuta a sapere che “Carottes Râpeés” sta per “Carote tagliate a julienne” e non per Carote con rapa.

Fine dell’aneddoto (vi vedo ridere. vi vedo! siete dalla parte delle scimmie uacari! Monelli!)

9) Fatte fuori le Carote con le rape (invisibili) al secolo conosciute come Carottes Râpeés e capito che assolutamente le carote vanno provate con succo di limone e spezie e che i crauti sono buoni da morire (come se occorresse conferma), abbiamo scoperto che esiste un luogo dove il sorbetto forse è degno, anche se non troppo, del suo nome. Esattamente da Noialles dal 1927 c’è un luogo carino con bagni decorosimanontroppo (gli unici della città) proprio su La Canebière. Di gentilezze proprio non se ne parla, un sorriso manco a pagarlo, una risposta al “merci” non arriva mai ma alla fine dei conti un sorbetto quasi accettabile all’anice (bandiera di Marsiglia) lo si porta nella panzetta. E la signorina era un docilissimo pit bull addomesticato rinchiuso in un sacco di iuta solo nelle ore diurne.

Dieci. E grazie al cielo basta perchè rivivere Marsiglia  è un incubo.

Dieci.

Marsiglia oggettivamente è una bellissima città. Si deve pero’ guardare ad almeno quattro metri da terra. Guardandola oltrepassando il raggio visivo umano consueto, si intravede l‘immensa bellezza della Francia. I palazzi con gli abbaini e i decori. I fregi talvolta pregiati e anche quando meno, sempre di rara bellezza. L’urbanistica seppur in piccolo ricorda a tratti la sua capitale. Non è difficile intuire di essere in Francia se si fosse catapultati lì. E’ totalmente diversa da ogni luogo. Sai che sei lì senza girarci troppo intorno. Sei in Francia. Lo sei a metà però perchè Marsiglia se la guardi senza saltare quei quattro metri è un paese antico. La modernità per così dire “alta” dal secondo piano di un palazzo contrasta fortemente con l’antichità per così dire “bassa”. Le insegne appartengono a un paese che odora di medio oriente e se per certi versi potrebbe essere proprio un punto di forza di incontenibile bellezza diventa proprio l’esatto contrario. E’ sporca Marsiglia ed è innegabile. E’ stata violentata più volte da ogni sorta di approdo e civiltà come tutti i porti della sua grandezza e come la mia stessa Sicilia. Ho trovato infatti dei parallelismi pazzeschi fra la mia terra e Marsiglia.

Ho provato lo stesso disagio osservando le incommensurabili bellezze deturpate dall’inciviltà e dai continui stupri di popolazioni che si sono riversate e che senza ritegno ne hanno approfittato. Apportandone migliore talvolta e l’esatto contrario. Ad annientarmi completamente è stato l’atteggiamento che rifletteva la geografia. Una scortesia assurda e inspiegabile. Ovunque e perdunque. Ecco, questo contrasta fortemente con le abitudini di chi vive indiscutibilmente in una città sporca e macchiata ma che riesce a mantenere il sorriso. La cordialità. E non si tratta certo di luoghi comuni.

Di scimmie uacari è piena anche la Sicilia. E’ più difficile trovarle, però. A Marsiglia il clima o qualche misterioso fattore x ha fatto insediare la specie.

A causa di un continuo brusio per le strade, piene di altoparlanti che echeggiavano una voce incomprensibile, siamo venuti a sapere che fosse un giorno di festa quel 2 Luglio. Chiudevano le scuole. E menomale che era un paese in festa perchè altrimenti si sarebbe trasformato in un revival di Monkey Shines.

Che sia saponetta, anice o chissà cosa, so che non ho portato nulla di Marsiglia con me.

Mi ricorderà per sempre le carote con le rape. Quello sì. Un equivoco. A tratti divertente ma in fondo infinitamente triste. Perchè nella vita, oltre la salute, è importante essere gentili con il prossimo e soprattutto: sorridere. Sorridere sempre. Non lasciarsi mai sconfiggere dall’ineducazione e dall’indifferenza.

L’ho imparato mentre urlavo dentro ma continuando a spiaccicarmi sui muri emulando il pinguino del Madagascar in versione 007 mentre una mia amica moriva. 

Sorridendo.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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