Ricette Vegetariane e Vegane

Patatine per Danny alla stanza 237

Giusto per essere fantasiosa e fuori dagli schemi potrei sproloquiare circa il fatto che il libro è migliore. Che il film mi ha deluso. Che mi aspettavo molto di più. Che il libro rispetto al film è sempre peggio. E roba trita e ritrita così.

Quando qualcuno comincia la suddetta pappardella trita e ritrita mi annoio a tal punto che estraggo il cuscino da borsetta e mi appisolo nella speranza che tutto possa finire nel minor tempo possibile.

Assodato che generalmente le pagine, per la propria fantasia e per infinite motivazioni che non staremo ad elencare o immaginare, sono sempre più entusiasmanti della visione, nel caso di Shining si può dissentire. Non voglia mai il cielo che io oggi stia sostenendo che in un’ipotetica lotta King contro Kubrick vinca uno dei due, ma necessariamente un confronto non può essere fatto. Quando due menti geniali talmente diverse dal punto di vista immaginativo e visionario si uniscono e creano mondi, personaggi e situazioni, non si può che rimanere basiti e inermi. Oltre a questo pure un tantino rassegnati al fatto che in qualunque modo le immagini dell’uno e dell’altro rimarranno a farci compagnia per il resto della vita. Che sia l’immagine creata dalle parole o quella ripresa da una telecamera, la differenza è poca.


Shining è un libro che in termine di lasciti potrebbe farmi sproloquiare per anni se non più. Letto in fasi diverse della vita e con la maturità accresciuta (ma anche diminuita, eh) riesce a generare visioni sempre nuove. Certo potrebbe accadere con qualsiasi tipo di lettura, che ne so Topolino, ma entrano in ballo diversi fattori. Ammirazione nei confronti dell’autore e nello specifico caso trattasi di amico di infanzia, oppure passione per un genere o altro ancora (ma qui nello specifico caso trattasi di una ragione di vita).

Kubrick e King non possono dare alla storia la stessa visione perchè semplicisticamente hanno carattere e personalità ben distinte. E importa poco se l’uno la vive e l’altro la rivive con getti di sangue diversi. Importa alla fine aver avuto l’opportunità di vedere, attraverso gli occhi di due menti geniali, immagini e depravazioni visive di arte pura. Non dimenticando poi il fatto che Kubrick ha sempre voluto lasciare enigmi allo spettatore.

Ho visto la trasposizione cinematografica decine di volte e ne conosco i passi a memoria. Per onorare il genio ho comprato qualsivoglia edizione sia mai uscita in commercio e allo stesso modo ho fatto con la mini serie diretta da King.

Certo il paragone è azzardato. E’ un po’ come asserire che Picasso faceva schifezze perchè non sapeva disegnare che due palline e un cerchio;  senza conoscere il suo vero tratto e sensibilità. Soprattutto nei ritratti tinteggiati di blu angosciante.

King mostra quello che riesce a fare attraverso un mezzo che non conosce e lo stesso fa Kubrick. Molto semplicemente la versione di King non è orrenda perchè non è il mestiere di King usare immagini. Lui usa le parole. Allo stesso modo Kubrick riesce a eccellere visivamente perchè questo è ciò che sa fare. Eccellere con le immagini e non con i racconti necessariamente intrisi di parole.

Ne conosco ogni parte e inquadratura. Si parla di un frullato inverecondo di ammirazione. Si tratta di King, mio autore preferito dai dodici anni in poi e di Kubrick, regista ammirato e osannato tanto quanto Jim Morrison, onorato nella mia cameretta con un altarino e le rose secche. C’è Jack Nicholson. L’unico per il quale provo un’infinita stima manco fosse un parente e che riesce a catturare la mia attenzione anche nella sua scandalosa e vergognosa interpretazione di Wolf. C’è misticismo, sangue e profondità. E’ un thriller che non è ma è maledettamente noir. È un documentario. Una visione. Un mistero che mai sarà risolto.

C’è mistero e amore. Sentimenti e follia. Shining rappresenta in toto le mie visioni e le influenze. Come per certi versi Burton nella parte della mia mente disegnata, King e Kubrick irrompono con secchiate di sangue. Un po’ come fa Lynch.

So cosa mangiano e i colori della mouquette. Conosco il triciclo e le sfumature delle  magliettine che indossa. Che sia “little pig” nella versione originale. Che sia la sua vera risata. Che sia il rumore della neve. Shining è la visione.

Dovessi scegliere un film. L’ultimo. Prima di passare nell’aldilà etantisalutigrazie senza dubbio direi: Shining. Subito dopo qualcosa di Burton o Lynch ma anche Kim Ki Duk ma insomma ci penso, sperando non sia proprio questo il momento per farlo.

Questa ricetta è dedicata a Danny. E’ il suo piatto preferito e si tratta di un semplicissimo piatto di patatine fritte con il ketchup. Un ketchup che mi piace confezionare in casa perchè difficile non è (la ricetta l’avevo già postata e si trova qui. Con tanto di fumettoricetta. Questa è la versione senza prugne perchè con il tempo ho deciso di regolarmi a occhio e in questo modus operandi casalingo la frutta nel ketchup non è più contemplata. Inoltre non ho usato peperoncino ma ho aggiunto un po’ di concentrato di pomodoro).

Danny è un bimbo americano anche nei gusti e ama il burro di arachidi che mangia al mattino con il pane e il bicchiere di latte “No. Tony non vuole andare in quell’albergo”. Ed è proprio in quel momento che muove per la prima volta il dito.

“Ti piace l’agnello Doc?”
“No. Mi piacciono le patatine fritte con il ketchup”. Danny lo comunica all’inizio della comprensione di quella che è la luccicanza all’uomo che gli mostrerà l’inizio del suo cammino. Perchè Danny è un bimbo e in quella vastità di formaggi, frutta candita, torta di mele, albicocche, prugne secche e uva passa vede sempre e solo patatine fritte e ketchup. E gelato, naturalmente.

E’ disarmante la sincerità anche nel gusto di Danny. La stessa poi che adopera durante il delirio visivo ma anche in quello di parole. Mostrando che se solo si ascoltasse l’innocenza molto sangue potrebbe essere risparmiato. Mi è piaciuto moltissimo scrivere Redrum con il ketchup e friggere patatine per Danny.

Mi è piaciuto perchè in qualche modo, come Oscar e Christian, è un bimbo dentro di me.  Colleziono immagini e sensazioni di bimbi nella speranza di poterci giocare. L’astuzia di Christian, la genialità di Oscar e la sensibilità di Danny.

Come un piccolo Frankenstein costruito in laboratorio. Aggiungi un ingrediente e ne togli un altro e poi un altro ancora. Per poi rendersi conto alla fine che ne occorrono pochissimi per essere in equilibrio perfetto.

Come questo racconto. Che a ben guardare tratta di tutto e niente. Ma che riesce a non andare più via da te.

La fumetto ricetta continua qui >>>

Si aggiunge alla “Rubrica di Oscar” questo piatto semplicissimo ma pieno di significato per me.

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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