Quando ho postato ‘U Muccu sapevo che ci sarebbe stato uno shock generale. Non voglio tanto inoltrarmi in quello che penso perché il mio “veganesimo” è un po’ come la religione. Fa parte di una sfera che non divulgo volentieri. E’ pieno infatti di controsensi, carenze, allucinazioni e problematiche troppo complesse per essere analizzate in uno spazio che tutto è sempre voluto essere piuttosto che: pesante. Certo schegge di dolore partono a volte ma in linea definitiva, proprio perché tutto molto poco costruito, si tende a sognare e sorridere.
In breve per dire che ‘U Muccu è stato un qual certa “provocazione”. Fotografare occhi, corpi definiti e zampette poggiate su di un piatto per me non è difficile: di più. Non sono mai riuscita a vedere “il pezzo singolo di carne” (che intendo sempre e chiaramente come anche pesce. Perché il pesce lo è in toto: carne, intendo, sì). Lo faccio per crescere e capire. Per rispettare chi è accanto a me e ha deciso di non fare la mia stessa scelta. Lo farò semmai dovessi avere un bambino per non influenzarlo. Spiegare poi il mio punto di vista quando sarà in grado certamente sì. Non nutrirlo abusando di carne, esasperando il latte e l’uso delle uova quello pure. C’è qualcosa di anomalo e bizzarro nelle mamme. Pare che vogliano imbottire come kebab straripanti i loro piccoli di carne e derivati animali. Certo non sarà facile propinare loro verdure, mi si dice e come non essere d’accordo? Nella mia totale ignoranza e non presunzione perché lungi da me, credo che anche molto sia dovuto al fatto che il bambino è abituato a vedere determinati alimenti. Cerco di spiegarmi nel modo più chiaro, sintetico e semplice possibile che per me si sa è un vero e proprio problema oltre che sfida. La grammatica fantasiosa iaiosa è il mio mestiere. Le regole della sintassi il mio acerrimo nemico.
Se un bambino vede un genitore mangiare cotolette, pasta e patatine, nel suo immaginario visivo quello entrerà a far parte della sua quotidianità e desiderio. Un bambino (e non sto parlando di Terapia Ludovico alla Kubrick, chiaramente) che vede me e il Nippotorinese, dubito fortemente possa sapere cosa sia una cotoletta, pasta e panino. Non parlo dell’eccezione e quindi del “lavoro” (foto-libri-progetti-blog-blablablabla); quella è certamente realtà sì ma contestualizzata.
Perché come ho avuto più volte opportunità di ribadire sono una persona fortunata che può  “propinare” cibo a davvero molte persone; più di quante si possano immaginare. Questo fa sì che non necessariamente tutto quello che provo per svariati motivi va ingerito esclusivamente dal Nippotorinese, Mamma, Papà , Amici-Muratori-Passanti-Persone che lavorano per noi-Blablabla. Lasciando da parte il mio contesto e quello che ruota intorno a me, ma che è una specifica doverosa per il “discorso semplice” che chiaramente non sto riuscendo a fare, voglio dire che:
Un “eventuale NippoSiculoTorinese” vedrebbe nella norma: insalata, tofu, seitan, frutta, verdura al vapore, verdura arrostita, riso basmati bianco. Niente di più. Niente di meno. Vedrebbe un genitore (equilibrato ed attento all’alimentazione) non mischiare troppe proteine con i carboidrati ma prediligere sempre e comunque le vitamine della verdure. Non abbinare mai eccessi pur mantenendo una linea coerente. Prediligendo il carboidrato e gli zuccheri a colazione e pranzo per poi chiudere “in leggerezza” preferendo ricche e abbondanti porzioni di verdura e frutta. Vedrebbe poi un altro genitore (quello squilibrato e senza paura di ammettere “malato”, si spera per allora “guarito”) sistematico-metodico e ripetitivo. Perché io sono fantasiosa, estrosa, spumeggiante e incredibilmente eclettica nella preparazione dei cibi altrui ma mai nei miei. Fetta di ananas sbattuta sul piatto tagliata male. Melanzana al cartoccio cotta in forno sbattuta sul piatto. Sono capace di fare un fiorellino con i pomodorini, una farfalla con il peperone, una lumaca con il purè e il prosciutto ma quando si tratta di me. Per mortificarmi. Ferirmi. Farmi male:
butto sul piatto (tra l’altro mai colorato perché lo voglio solo bianco altrimenti mi piglia male) e via. Mortificazione, privazione, obbligo. Ma io sono malata appunto e al momento non turbo nessuno oltre che me stessa e chi mi ama. Ma non ho la responsabilità di qualcuno in termini di crescita e sviluppo. Avessi un NippoSiculoTorinese il mio ananas sbattuto sul piatto lo trasformerei pure in un ornitorinco con i fuochi di artificio pur di far credere al piccolo che tutto c’è tranne che mortificazione.
Il NippoTorineseSiculo dubito che possa desiderare una cotoletta grondante di olio con tante patatine e maionese o un hamburger del McDonald’s se non c’è mai stato. Poi ci andrà certamente. Poi sarà peggio, dirà qualcuno. Poi blablabla. Beh no.
Non ci credo alla storia del “poi sarà peggio”. Perché i giorni del “McDonald’s” che arriveranno saranno sempre in netta minoranza rispetto ai pranzi e cene che formeranno quello che poi diventerà .  L’eccezione è proprio vero che non conferma la regola. Si sfonderà di McChicken se vorrà insieme ai suoi amichetti, ma sarà per un compleanno o un’occasione speciale. Dubito fortemente che lo desidererà se abituato a sentire sempre e solo e comunque che le verdure hanno priorità .
Cosa c’entra con il Muccu?
C’entra eccome.
Molte persone (e giuro vi capisco e comprendo) hanno visto negli occhi di quei pescetti la vita. Non sono loro a fare impressione: i bianchetti. Sono gli occhi. Spenti. Messi sul piatto. E’ la vita che non c’è più. E’ l’ingordigia di cibarsi di qualcosa che prima muoveva e ora lo farà ancora per l’ultima volta dentro il tuo stomaco per poi essere trasformato in uno scarto che farà anche una discreta puzza dopo averti lasciato sì qualcosa di salutare e no. Non tutto di salutare.
A me non piace proprio per questo spingermi oltre. Non perché io voglia piacere a tutti e quindi pur non mangiando nessun derivato animale cucino pesce e carne. Non perché io alimentarmente sono vegana ma giro con la Dior di pelle. Non voglio essere qualcosa in contrapposizione disequilibrata per insicurezza. Perché io di insicuro ho tutto tranne che la paura di non piacere. A me interessa raggiungere l’obiettivo più difficile: piacere a me stessa. E’ questo che faccio da una vita. Lavoro solo per me. Con me. Lotto solo con me. Per me. Mi spingo oltre per superarmi. Per oltrepassarmi.
Gli altri non li vedo non perché sono inferiori o superiori. Ma come già detto triliardi di volte: sono su un tapis roulant. Mi ha insegnato questo papà . Questo sport. Questa testa. Questo modus viventi. Sfidarsi sempre. Aiutare gli altri.
Scendere dal tapis roulant nel caso. Aiutare chi non ce la fa. Ma guardare solo per aiutare. Non per gareggiare. Io gareggio solo con me.
Se mi mettessi ogni giorno a postare foto anche degli occhi del maiale dopo aver fatto la braciola cambierebbe molto, ve lo assicuro. Perché oggi come si può ben notare gli occhi del Muccu non ci sono e io queste polpette le ho mangiate milioni di volte prima dei venti anni. E non erano buone. Lo erano di più. Anche io non vedevo gli occhi.
Perché quando tutto è a polpetta. E’ celato. E’ nascosto. E’ più facile. E’ davvero tutto più semplice quando è mascherato il senso della vita. Tra prezzemolo, un po’ di uovo sbattuto e pan grattato o mollica. Poi viene fritto in olio e:
tadan (o tuppete che mi piace di più)
GNAMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMM!
Polpettaaaaaaaaaaaaaaaaaaa di Muccu! slurp.
Ma quegli occhi ci sono. Non sono stati tolti. Non possono solo vedere più.
Ma bisognerebbe riflettere e molto. Su quello che è realmente. E su quello che si vuole vedere.