Accoppiare a dei cibi delle visioni horror cinematografiche e viceversa. Blaterare delirando circa una delle mie più grandi passioni insieme all’animazione in genere. Perché dallo splatter vergognoso a basso costo, all’opera magna della paura firmata da grandi artisti io li ho visti tutti. Senza razzismo, pretese e critiche eccessive. Senza perdermi nei meandri della demagogia da critico cinematrografico fallito. Non ho competenze alcune. Non capisco nulla di regia, sceneggiatura e quant’altro ma ho degli occhi. I miei. In base ai quali decido cosa cattura il mio sguardo e le idee dell’iperuranio e cosa no. In base a questo mi piacerebbe correlare un paio di cose: gli ambienti, il cibo che si trova e quello che mi viene in mente. Non in ultimo considerazioni circa alcuni lungo (e corto) metraggi che hanno segnato questa mia passione nei confronti del genere horror; che per eccellenza, insieme alle favole, rappresenta la massima espressione della fantasia. Dal sogno alla paura. E’ per questo che da sempre mi definisco una collezionista di horror e cartoon. Perché anche in questo vi è un ying e yang di luce e buio. Di speranza e paura. Di sogno ed incubo.
Possiedo centinaia ( ho paura di sostenere migliaia ma così è) di dvd originali di entrambi i generi che stazionano in casa tra filmografia impegnata ed orientale del Nippo. Una delle cose di cui vado più fiera è la nostra collezione di dvd e libri. Sopporto i muratori e i lavori incessanti solo per questo: finalmente avremo lo spazio ( che poi verrà a mancare vista la mole) per poter collocare tutti i nostri oggetti più preziosi. Perché niente lo è più delle visioni. Scritte, parlate e raccontate. Attraverso penne o macchina da presa o fotografiche.
Comincerei spendendo giusto due parole circa le Case maledette. Perché si parte sempre da una dimora nelle visioni horror. La casa vive e respira. La casa porta in sé lo spirito e le azioni di chi l’ha vissuta . E’ il risultato finale di come è stata trattata e amata. Di quello che l’ha abitata. Ho sempre amato osservare le case dall’esterno. Vedere le finestre come occhi e portoni come bocche. Le aiuole sono capelli raccolti con qualche ricciolo di geranio e le staccionate assumono sembianze di braccia. Che avvolgono e catturano. A volte soffocano. La casa è un classico. Un topoi. Un archetipo del genere horror e come anticipavo non è mai rappresentativo in sé in quanto luogo ma in quanto essenza stessa. Il più delle volte protagonista.
Nonostante si pensi che siano quelle quattro squinternate ad esserlo, quelle che in bikini girano per casa con la quinta al vento correndo sempre nella direzione “senza via di uscita”, la verità è lampante: la protagonista è lei. La sua personalità sono i piani. La sua anima è la cantina buia. La sua salvezza è la porta che poi diventa cuore. Inaccessibile.
Quando ero piccola, e parlo di 16-18 anni circa, credevo fortemente che la casa non avesse un’anima. Mi ostinavo , sicuramente per paura, e perseveravo nell’affermare che erano tutte stupidaggini. Meravigliose per carità. Ma stupidaggini cinematografiche che rallegravano le mie serate. Senza alcun fondo di verità. Non coglievo la metafora della vita e del buio. Mi sfuggiva il cocnetto di rifugio e incubo. E di quello che c’era stato e c’era tra la pareti e di come tutto questo potesse influenzare.
Ogni casa rappresentata nei film horror ha un corpo e un’anima. La prima che mi viene in mente è senza ombra di dubbio quella dove alloggiava la mamma di Norman, proprio adiacente al Bates Motel. Ed è per questo che quando pasticcio case vi sono sempre scale. Vi è sempre un promontorio. Vi è sempre un pergolato. Vi è sempre una scala che porta su proprio all’entrata. E dei vasi posti all’esterno. Le finestre sbarrate e gli abbaini. La casa di Bates ha influenzato la mia vita. Tanto quanto l’alloggio di Twin Peaks con gli scacchi per terra e le tende rosse. Inconsapevolmente queste visioni hanno trasformato il mio modo di vedere e concepire. Attraverso le costruzioni di case e luoghi, viste da altri occhi, ho rielaborato e fatto mio delle dimore visive dove non riesco a non rifuggiarmi.
Ed è per questo che quando ho paura scosto tende rosse. Ed è per questo che quando salgo scale arrivo sempre nel pergolato dove una sedia a dondolo si muove con la Signora Bates.
Adesso mi viene voglia di parlare della Casa sulla scogliera, dai tratti inquietanti dove l’atmosfera angosciante è capace di occluderti la trachea. Come l’incredibile architettura della casa del Dottor Jekyll con il laboratorio. L’indimenticabile casa con le scale viste da una finestra da cui vola l’esorcista dopo la lotta con Linda Blair . Il cancello. Il salotto. L’inquilino del terzo piano e la presenza suicida dell’inquilina con la scena delle finestre e del cortile interno. La possessione di essere quello che è stato prima dentro le mure e di quello che verrà. Quando non ci sarai più. La casa come fosse una telenovela di Wes Craven e quella nera. Rose Red di Stephen King a puntate vista in videocassetta. La casa di Freddy Krueger e il forno. E dove jason si rifugia.
La casa di Michaeal dove si forma la sua schizofrenia quando è vestito da clown e la sua perversione nei confronti della sorella. Ruota sempre tutto intorno alla vera anima dell’horror. Non è mai l’uomo a portare qualcosa ad un luogo ma questo stesso a fagocitarlo e renderlo se stesso. Che sia un albergo, come nel caso dell’Overlook Hotel in Shining, sino ad arrivare ad un ospedale. Ad un manicomio.
Ricordo ogni casa. Ogni angolo. Non è mai passato inosservato un porticato. Una scalinata. La casa di Carrie piena di santini e candele e quella cucina dozzinale. La cantina dove i camerieri del film esorcista cuocino uova e il salotto dove si svolge la festa. Ricordo perfettamente Mia Farrow in ogni angolo di Rosemary’s Baby. Quando ne dipinge la pareti felice di poter cullare il proprio bambino tra le pareti gialle e quel salotto orrendo pieno di libri dove un camino classico dell’ottocento sovrasta preziosità demoniache.
Amityville Horror?
Sono troppi, tanti e tutti. Che hanno come salvezza e morte la casa. Come anima.
Con muri da buttare per scoprire. Con muri da tirare su per nascondersi e salvarsi.O forse solo peggiorare la situazione e rimanere intrappolati.
Proprio perché a me la prima casa che viene in mente è quella dove Norman abitava e nascondeva le proprie malefatte insieme ” alla sua mammina”, confezionando poi anche paralumi in pelle umane ( non dimentichiamoci che si rifà alla storia vera del serial killer Ed Gein) direi di partire proprio da questa.
Nel Libro ” le ricette di maghetta streghetta” ( che non è un autopromozione senza vergogno lo giuro) ho dedicato una ricetta al “compleanno di Psycho” facendo l’incredibile prodezza ( c’è del sarcasmo) di unire passioni e amori; ovvero quella di dire una scemenza apocalittica “Le lasagne di Norma(n)” facendo un battutone ( che non fa ridere nessuno. Ma a me parecchio. Eh) sul titolo della ricetta e la passione smisurata per questo piatto. Certo è che il mio papà preferisce un bel piatto di maccaroncini siculi alla norma e non una lasagna di pane.
Ma è sempre bene diversificare e non fare sempre le solite cose; fermo restando che la lasagna di pane ( a patto che sia “croccantina” e non pappettosa ) è una garanzia di bontà.
Allora per il primo appuntamento di Cibo e Urla cosa mi viene in mente in vista di Halloween? Te lo dico subito! ( oltre alla lasagna di pane alla Norma che trovi sul libro se ti fa piacere)
Un bell’involtino di melanzana con spaghetti alla Norma. Si può infatti preparare per tempo avendo cura di lasciare gli spaghetti un po’ al dente ( termineranno la cottura in forno diventando anche piacevolmente croccanti) e degustarli anche sul divano. Ungendosi le mani e afferrandoli senza forchetta? E perché no? Se si ha voglia proprio di trasgredire durante la visione. Altrimenti in un unico boccone se si avrà l’accortezza di farli a mò di “finger food” e quindi senza la paura di slogarsi la mandibola.
Per oggi quindi.
- Visione: Psycho
- Piatto: Involtini di Spaghetti alla Norma