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Poche cose mi sono piaciute come Samurai Gourmet
Se mi leggi sai che non sono, ahimè, una telespettatrice facile. Ahimè perché vorrei davvero interessarmi a più visioni. I miei occhi negli ultimi quindici anni sono stati ri-abituati. Questo non significa di certo che guardi solo cose interessanti perché questo concetto è quanto di più soggettivo possa esserci. Non mi entusiasmo facilmente, però mettiamola così. Non sono una da binge watching, non resto in attesa di una nuova serie con l’ansia e la curiosità che caratterizza -ho potuto notare- gran parte dei telespettatori. Se un finale non mi piace semplicemente non mi piace. Se un finale mi piace semplicemente mi piace. Per dire, di Dexter non ho visto neanche le ultime due serie perché mi aveva annoiato a morte. So come è finita perché mi piacciono anche i riassunti su wikipedia. Ah. E se capita lo spoiler neanche mi arrabbio più di tanto. La maleducazione e l’ignoranza del resto sono cose risapute.
Sono noiosa, lo so. Mi entusiasmo per sciocchezze cosmiche in linea generale ma.
Ma con i film e serie tv soprattutto vado molto cauta e mi aggiro annoiata e distratta. Oggi però sono qui per invitarti -qualora non lo avessi fatto- a vedere immediatamente Samurai Gourmet.
Samurai Gourmet mi ha fatto diventare per la prima volta una binge watcher! Mi ha rapito, commosso, emozionato e non voglio esagerare dicendoti che è stata una delle cose più belle mai viste, come Chef’s Table di cui ti parlerò nei prossimi giorni (solo di qualche puntata, però); ergo parlo di genere food, anche se qui si tratta proprio di una categoria a parte. Samurai Gourmet è qualcosa che è andato oltre le mie più floride aspettative. La prima puntata mi aveva fatto sorridere in un giorno piuttosto brutto passato a letto. La seconda puntata -seguita immediatamente dopo la prima- mi ha fatto riflettere e commuovere e nel giro di qualche ora mi sono ritrovata ad aver visto TUTTA la serie. Un giorno triste trasformatosi in un giorno da ricordare, grazie a Samurai Gourmet. Sarà che anche il lato emotivo ha giocato un ruolo, perché non ammetterlo (ma non ne sono mica tanto sicura).
Una serie TV particolarissima, in lingua originale giapponese sottotitolata in italiano. Sono dodici episodi che variano dai quindici minuti ai ventiquattro ma onestamente li avessero fatti da un’ora ne sarei stata ancora più felice. Il protagonista principale è l’attore giapponese Naoto Takenaka che interpreta Takeshi Kasumi e poi c’è Honami Suzuki -che adoro – che interpreta la moglie Shizuko Kasumi. In ultimo non in ordine di importanza Tetsuji Tamayama che interpreta il Samurai. Una serie originale Netflix -segue inchino- sopra le righe, più per chi non è abituato alle visioni del cinema/proiezione orientale e in particolare modo giapponese. Sì, perché se non sei abituato potresti trovare paradossali alcuni passaggi e a tratti ridicoli ma, ti assicuro, è tutto fuorché questo. Per apprezzare al meglio Samurai Gourmet, mia modestissima opinione, devi conoscere un minimo la cultura giapponese in genere, la scala gerarchica, il ruolo del lavoro e dell’azienda e piccole -ed enormi- sfaccettature che possono fortemente incidere in questa visione. Non farò spoiler chiaramente ma se sei una persona che non ama delle piccole anticipazioni ti consiglio di non proseguire oltre perché non voglio in alcun modo sbagliare e inavvertitamente darti informazioni non richieste. Voglio sentirmi libera di esprimere il pensiero, insomma senza restrizioni. Poi nel caso qualora lo vedessi e volessi tornare qui ne sarei felice.
Takeshi Kasumi nel primo episodio mi ricorda tanto il ragioner Fantozzi nel suo primo giorno da pensionato. L’abitudine fa sì che la sveglia -soprattutto quella biologica- suoni prepotente per ricordarti che sei in ritardo. In questo caso che non lo sarai mai più. Avere troppo tempo a disposizione è una disgrazia talvolta quanto averne poco. Ed è questo l’incubo di Takeshi da oggi in poi. Lo attendono ore interminabili senza incastri e soprattutto senza quella scala gerarchica fatta di doveri e imposizioni che sinora lo avevano accompagnato giorno dopo giorno come in una tortura ripetitiva. Quando non hai il tempo per ricordarti, in fondo, cosa sia veramente la vita. In questo percorso difficile ed emotivo, soprattutto, compare una figura -un super alter ego- coraggiosa, schietta, libera, rozza, sfacciata che si contrappone a quella di Takeshi: quella di un samurai itinerante che è pronto a tutto e che non ha padroni. Non ha paura di dire la sua, di farsi valere e di non soccombere mai alle scale gerarchiche e alle imposizioni della vita. Non ha una casa, non ha una donna, non ha nulla se non la sua sicurezza e un cielo stellato sotto al quale dormire. Il samurai è una figura teatrale che ho trovato incredibile e non ti nascondo che in diversi momenti ho pianto di emozioni che raramente ho provato, soprattutto se ribadiamo il concetto che questa serie è una sorta di documentario food (e anche eccelsamente food porn nell’accezione più poetica possibile).
Takeshi e Tetsuji (il samurai) cominciamo quindi questo percorso insieme. Tra cambi di scenari e musica (bellissima) in un parallelismo affascinante e poetico. Di cibo ce ne è davvero tanto e tutto buonissimo. Di luoghi incantati pure. Takeshi riscopre il gusto della passeggiata e dell’avventura. Ritrova il suo fanciullino e pure molti ricordi per troppo tempo dimenticati. Incontra quello che noi tutti chiamiamo destino, in un momento altissimo che a me ancora adesso fa venire la pelle d’oca. E ripeto, la premessa iniziale era dovuta perché davvero difficilmente si riescono a toccare queste corde per quanto mi riguarda. Questa serie non si prende sul serio apparentemente ma poi nelle inquadrature dei piatti e nel racconto e nelle situazioni trovi un’opera degna di tutto rispetto. Si racconta il Giappone -antico e moderno- e i suoi abitanti, il cibo, le imposizioni culturali, la disciplina e la loro innata generosità. La bellezza delle case e delle anime, riassunta magistralmente nella figura della moglie di Takeshi. Che tutto è fuorché una geisha, sottolineando quanto sia sbagliato pensare ancora a una sottomissione “forzata”.
Amo il sorriso di Takeshi quando beve la birra e la gusta. Amo la fotografia, le inquadrature e quello sfrigolio delle verdure nell’olio di sesamo. Gli yakitori girati sulla brace e i ramen terribili della cuoca cinese. Sì perché quasi a voler sottolineare l’antagonismo -non mi piace chiamarlo odio ma tant’è- con la cucina cinese nella seconda puntata (che ho amato) compare una donna fumetto cinese cattivissima pronta a servirgli un ramen con uovo freddo e carne secca. Samurai Gourmet è un viaggio tra i ricordi e il futuro. Un percorso visivo commovente, esilarante e divertente proprio come è la vita. Dove ci sono assenze, presenze, sconfitte ma anche tantissime vittorie. Dove si ribadisce che non è mai la fine ma solo e sempre un nuovo inizio. Ho amato di Samurai Gourmet l’ottimismo. E in quel giorno triste a letto mi ha ricordato che nonostante qualsivoglia difficoltà c’è sempre un modo per vivere di nuovo. E ancora. E ancora.
La colazione in riva al mare con lo sgombro svegliandosi con il mare e le rondini. Una puntata meravigliosa quella di Takeshi nella pensione sulla costa. Mi ha fatto venire in mente Muriel Barbery, l’autrice d L’eleganza del riccio che ha anche scritto Estasi culinarie. Un libro che ti consiglio, qualora non lo avessi letto, perché riprende un po’ il concetto di Proust e della Madeleine e di come il sapore di un determinato alimento spesso condizioni l’esistenza tutta e le dia un valore assoluto e non in ultimo incantevole e fiabesco. Per Takeshi è lo sgombro e la sua prima vacanza ma non solo. C’è un bento sotto il sole, un caffè viennese e degli spaghetti napoletani serviti con forchetta e cucchiaio. C’è un parfait di frutta e il kasane stufato con la frattaglie e tanta cipolla. Ci sono i cubetti di tonno con il sakè e il pollo fritto e il karaage. E poi c’è il ristorante italiano e quel modo di mangiare completamente diverso. Dove tutto è troppo fine ed elegante. Dove è tutto imposto come fa la società. Mi è piaciuto moltissimo questa chiave di lettura che il samurai e Takeshi danno della cucina italiana e nonostante io sia una fan scatenata del galateo, delle cerimonie e delle buone maniere (anche a tavola in modo maniacale, sì) ho sorriso amaramente pensando che sì: il samurai ha fatto bene a mangiare gli spaghetti a modo suo. Come si mangiano a casa del resto.
All’italiano, comunque nota importante, ha mangiato del pane di casa con olio e aceto balsamico e una zuppa di peperone giallo.
E gli spaghetti per loro vanno mangiati con le bacchette, come dar loro torto?
Le inquadrature del mercato e della spesa nell’episodio nove sono stupende. Si parla di crocchette. E si ricorda di quelle che mangiava dal macellaio con tutta la salsa che voleva perché era a disposizione. Adesso c’erano delle piccolissime monoporzioni. Takeshi guarda il cibo con gli occhi di un bambino e con lo stesso entusiasmo. Mangia yakitori di petto, cuore, shiitake e pelle di pollo più i fuwa che sono quelli con il polmone del maiale.
“Bisognerebbe mangiare come ci piace mangiare e basta. Ovunque siamo. Senza regole e fidandoci del nostro gusto”. C’è un retrogusto di poesia in tutto quello che si fa, si dice e si mangia. Alla puntata dell’oden dove mangia con la moglie -cosa rara- questa gli dice “Il carattere si vede a seconda di che oden ordini”. E allora uovo e tortino di pesce per lui, classico. Konjac e miso con cavolfiore per lei, rivoluzionario. E riso con i ricci di mare per il samurai che neanche in questo appuntamento galante lo abbandona perché è ormai parte della sua vita se non lui stesso. Acquisisce coraggio a ogni momento, a ogni portata, profumo, ricordo e assaggio. Come ad assaggiare la vita.
Una delle scene che più mi ha commosso è stato quando Honami, la moglie, ruba dal piatto l’uovo che lui aveva lasciato per ultimo proprio per gustarselo. Metafora dell’amore, della rinuncia e della generosità. Dietro ogni piatto, discussione, visione e passeggiata c’è una facilissima dietrologia che non sarà difficile intuire. Ma l’esplosione, quello che lo rende davvero un capolavoro, è quella linea rossa che ti riporta a Dolls di Kitano. Quel legame sottile, indissolubile e indistruttibile che alcune anime hanno. E tutto questo accade mentre in un ristorante, che ha cambiato collocazione dalla sua infanzia ma mai dal suo cuore, viene servito del riso con manzo tagliuzzato. Basta davvero poco a volte per riconoscersi anche se sono passati trenta o quaranta o cinquanta anni. E tutte quelle polaroid e foto in bianco e nero scattate per fermare il tempo ti mostrano quanto il tempo, in fondo, non si sia mai fermato.
Tutto questo sotto le note di un violino, di una sciarpa che mi ha provocato un brivido e un lungo pianto caldo e avvolgente come se fosse stata posata sulle mie spalle e grazie all’incredibile semplicità della la poesia orientale, in particolare modo quella giapponese, che non smette mai di stupirmi. Samurai Gourmet forse non è per tutti, un po’ come scrivevo di Twin Peaks qualche giorno fa, perché non è allineato a qualcosa di conosciuto, mettiamola così. Ma è qualcosa che se ti entra dentro si insinua fino alle viscere. E pure per sempre.
Mi auspico non che ci sia una seconda serie ma che si arrivi a trenta serie. Mi auspico da una parte. Ma dall’altra dovesse restare tutto così sarebbe: magia.
Magari la prossima volta parliamo di Midnight Chef, che ne dici? Anche se vorrei poter continuare a parlare di Takeshi e Honami e Tetsuji ancora per molto tempo. Di sicuro seguiranno delle ricette viste proprio in questa pellicola, perché questo è, di vita e poesia.
Se hai tempo e voglia di fidarti di me, guardalo.
Non ti ho detto la cosa più importante. Quando sorride mi ricorda tantissimo il mio papà. E non era mai successa una cosa simile.