Ricette Vegetariane e Vegane

Maccheroni con la ricotta e ricordi di infanzia

Il cimitero dei Nani da giardino

Ieri, anche se avevo (e ho) la febbre, mi sono messa a trapiantare delle piantine in vasi tutti bianchi. La terrazza della cucina, molto grande e spaziosa, prima aveva un grande gazebo -che sicuramente hai visto in mille foto se mi segui da un po’- un carrello di quelli di legno con dentro i gerani, tanti nani da giardino, un salottino tutto intrecciato con due poltroncine e un tavolino. C’era anche la sedia a dondolo e un piccolo angolo con il tappeto verde di quell’erba sintetica da campo di calcetto del paesello, per soddisfare la mia voglia di verde. C’erano tantissime piante, l’alberello di limone, un alberello che non so cosa fosse e tantissimi cactus. Ormai abito in questa casa da un decennio e da piccola mansarda con grande terrazza si è trasformata in qualcosa di ben diverso e infinito che nonostante la bellezza non riesce a colmare nessun vuoto. Adesso di terrazze ce ne sono di più. La voglia di verde l’ho appagata con il laghetto e dodici carpe koi. Il gazebo ha lasciato spazio a una luminosissima vetrata ipertecnologica con tetto apribile tutta bianca. E niente piante perché Koi era piccola e le scavava tutte. Niente più divanetto intrecciato perché lo ha distrutto. Niente più dondolo perché dai, siamo grandi. Ma c’è un tavolo, sei -contate sei- sedie di design monocolore (bianco, sì) e niente più nani perché Koi mordeva loro il naso e poi si faceva male. Per assurdo Koi, non i miei poveri nani. Allora ho ricavato dapprima un angolino nascosto e l’ho chiamato Il Cimitero dei Nani senza naso e poi li ho fatti mettere in cantina in modo che un giorno potessi andare lì e piangere sui loro nasi perduti. Anche Kobito, il mio incredibile amico che è finito sul sito dell’Autogrill e se lo ricordi significa che mi leggi da così tanto tempo tempo che dovrei offrirti come minimo dieci vacanze. E ne approfitto per dirti grazie.

Adesso Koi è cresciuta e abbiamo fatto un lungo discorso. Le ho spiegato le rinunce che ho fatto per lei e che adesso alla sua età può pure ripagare in qualche modo la sua mamma tutrice umana. Le ho chiesto solo di poter mettere delle piantine senza che lei le distruggesse -come già fa con l’alberello di limone deportato nel terrazzo della dependance, le piante di mia mamma e quelle del giardino- sia in casa che sul terrazzo della cucina. Ti chiederai anche tu il perché? Come ha fatto lei insomma. Perché ogni volta che mi affaccio penso a papà che sta seduto sul dondolo tra mille piante e fiori e tutta quella confusione di colori. Perché prima c’era il wengè e tutti i colori dei fiori. Adesso la mia vita è monocolore bianco oppure nero. Senza nessun colore. Pensa che ho fatto storie l’altro giorno pure per l’imbuto rosa. Perché lo volevo bianco. Quindi d’accordo solo cactus senza fiori così comincio a farci l’abitudine (tanto poi innaffia la colf, perché negarlo?) e vasi solo bianchi. Koi mi ha guardato perplessa, d’accordo, ma aveva anche lo sguardo di chi pensava non fosse poi una così cattiva idea. E allora andata. Vada per i cactus in vasi bianchi. Poi le ho spiegato che adesso c’è la moda della Jungle Home. In pratica trasformi la tua Home in una Jungle, sì. Non è che ci volesse questa spiegazione, convengo. E allora volevo cominciare a fare una piccola foresta sulle scale. Koi anche qui ha mantenuto quello sguardo perplesso ma comunque l’ho preso per un sì. Era un sì, vero?

C’era un Cortile

Mentre travasavo i cactus, tutti diversi, che venivano dal Messico e dal Sud Africa -insieme a mamma, la colf e Koi ovviamente che si è punta il nasino e non si è avvicinata più- mi sono ricordata di quando ero piccola e avevo da Nonna e Zia un negozio di fiori. C’era quel piccolo cortile strapieno di fiori. Altro che Jungle Home! Di tutti i tipi. Con i vasi fatti a mano con le pietre come i muretti e rampicanti ovunque. Ammassati, quei vasi. Uno sopra l’altro. Non si capiva proprio niente. Anche bicchieri e barattoli, ricordi. Ovunque. Papà mi aveva regalato la cassa vecchia del negozio. Era arancione e grande e i tasti erano enormi e neri. Si apriva ancora se l’attaccavi elettricamente ma non potevo attaccarla e quindi papà mi aveva detto che se facevo il rumore “plinn!!!” sembrava che si fosse aperta da sola e allora. Pliiin. Avevo fatto l’inventario di tutte le piante e mamma mi aveva regalato il blocchetto delle fatture e delle bolle di accompagnamento -mia passione da sempre- e trascrivevo lì tutto quello che prendevano i clienti. Un registratore di cassa in pratica. E mi sentivo così orgogliosa di spiegare come funzionasse correttamente un’attività commerciale alle mie amichette e cugine. Loro pensavano fosse semplice. Arrivava la cliente immaginaria e tu vendevi la piantina. Ti piacerebbe, bella! Mica funziona così! C’è una contabilità da tenere, un inventario e pure lo scontrino. Chi l’avrebbe mai detto che di contabilità non avrei mai capito più nulla? Però ecco un mio periodo di comprensione -sei anni eh, avevo sei anni- l’ho avuto e quindi non mi mortificherei più di tanto.

 

E ieri mi veniva quasi da dire: oh! Giochiamo alla signora dei fiori e voi fate le clienti? Del resto quando mai poteva ricapitarmi un’occasione del genere? Non stavo lavorando, avevo la febbre e avevo due signore che potevano prendere il posto di quelle immaginarie. Sì, mi sono ricordata che signora -grande- lo sono diventata anche io ma è stato davvero un passaggio mentale dimenticato con facilità. E niente, volevo raccontartelo. Che forse un pochino di vita sul mio terrazzo mi aiuterà a ritornare, uhm.

Un po’ più colorata?

 

La pasta con la ricotta

A mamma e papà piace tantissimo. E questa l’ho preparata una sera con mamma, per questo la foto è molto sgranata perché ci sono gli ISO sparati a ventimila e tutto buio pesto con una piccola lucetta. Quanto vorrei farti vedere cosa c’è dietro ogni foto. Non scatto mai se non c’è davvero una storia da raccontare. Non lo faccio mai perché devo ma perché voglio ed è questo che continua a tenermi in vita con la speranza di ritornare -o semplicemente essere- un po’ più colorata (non troppo però, eh).

In pratica fai la pasta che ti piace di più ma in Sicilia di sicuro i “maccaruni” e in una padella con l’acqua di cottura lasci andare la ricotta. Quando non ti vede nessuno, prima di metterci il sale e un pochino (si dice una sbrizza) di pepe macinato sul momento, aggiungi il tocco magico: la cannella. Ma davvero poca. E poi scola la pasta e tuffala nella padella e gira per bene. Puoi aggiungere anche un po’ di parmigiano grattugiato sul momento.

D’estate un pizzico di profumo di basilico o di menta è davvero un surplus.

Adesso parliamo di cose serie: ti va di venire a comprare un po’ di piantine nel mio negozio di fiori? Ho ancora quella cassa arancione. Davvero. Vicino ai Nani, in cantina. Ci sto due minuti a riprendere tutto. Anche perché in realtà non sono mai andati via.

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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