Ascolto Sade. Esattamente “Your love is King” e mentre decido le sorti del Mandarancio (il mio valletto fruttoso dei videopost) , che si rifiuta categoricamente di rinunciare alle sue iniezioni di botox, ticchetto un po’ qui sulle pastine pel tè senza acca dell’Artusi.
Ammetto la mia incommensurabile ignoranza. Nulla sapevo sulla “Scienza in Cucina e L’arte del Mangiar bene” fin quando il mio personale idolo in cucina Luisanna Messeri non ha fatto capolino in casa. Il mio primo amore non corrisposto chiaramente si chiamava Fausto. Aitante ometto figlio di amici dei miei dal colore dei capelli splendidamente rosso vivissimo. Avevo otto anni e andavo letteralmente in brodo di giuggiole. Nonostante siano passati venti anni e qualcosina in più sto ancora lì inebetita a fissarlo con lo stesso sguardo sexy che potrebbe avere una cernia davanti ad un sarago al cartoccio (il perchè una cernia dovrebbe guardarlo con cupidigia, un sarago, non lo so mica però). Sognavo bimbi con i capelli ricci rossi lunghi e fluenti che correvano per casa. Che il mio futuro fossero dei bimbi pelati e saputelli era inaspettato ma invecchiare è bello solo per questo. Per prendersi in giro su quell’imbarazzante ingenuità. Com’è che sono finita a Fausto? ah sì. I capelli rossi. Nutro sempre fortissima simpatia a prescindere per chiunque possieda la fulva chioma. Onestamente un po’ più per quella naturale ma non disdegno che ne so Julianne Moore che si spara in vena l’ossigeno al novanta per cento ramato. In questo “amore fulvo a prescindere” un angolo speciale ce l’ha proprio lei : Luisanna Messeri. Nonostante sia disordinatissima in cucina e usi talvolta piatti orrendamente casalinghi scompagnati che a me farebbero un po’ saltare i nervi la amo. Incondizionatamente la venero e mi ritrovo spesso ad accarezzare con cupidigia i suoi due libri “Il club delle cuoche” e “Il club delle cuoche 2”. Il nippotorinese sa che quando Alice manda in onda il programma un religioso silenzio deve pervadere casa. Non importa se affoga un’anatra o squarta un cinghiale, visioni alle quali generalmente mi sottraggo , sto lì. Fissa. Come se fosse Fausto. E non è un complimento per quest’ultimo perchè santo cielo quando ero piccola avevo davvero buon gusto. Sì sto sottintendendo che dopo la scelta del nordico un calo oggettivo è avvenuto.
Che poi mai avrei immaginato di diventare amica della sorella, provetta cuoca con il sacro fornello che arde dentro fino alle viscere. Un’attrice di talento con la quale ho avuto il piacere di poter condividere del tempo soprattutto in questo ultimo periodo. Più volte mi ha incitato ad aprire un blog.
Non ho trovato il coraggio di dirle che io un blog ce l’ho e da più di sei anni ormai. Un giorno ci incontreremo in rete. Ci riconosceremo chiaramente. Lei scoprirà di Fausto. La mia vita finirà e voi vi libererete di me. Insomma vi immagino già alla sua ricerca muniti di impermeabile alla Colombo e bassotto. A me piacciono più i basnove, ma è un’altra storia.
Luisanna ha il quadro dell’Artusi nel suo bellissimo casale toscano isolato dal mondo dove sogno di perdermi da brava eremita. Medito seriamente di fare lo stesso al più presto. Perchè nell’Artusi c’è quel raccontare la ricetta alla vecchia maniera. Come farebbe un anziano zio venuto da lontano. Un nonno appassionato di biscottini e cacciagione. C’è quella spaventosa normalità proprio come il servizio scompagnato. Quell’odore antico che ti fa rilassare e puoi essere quello che sei. Semplice.
Csaba inorridirebbe di certo davanti a queste tazzine finte porcellana antiche ma comprarle da Zara Home a meno di dieci euro è francamente . Uhm.
Francamente figo. Su “figo” potrebbero rinchiuderla al reparto psichiatria. Fino a qualche tempo fa anche a me; le avrei spaccate a morsi e urlato “No. Assolutamente no!”, ma sono vecchia e romantica adesso mi entusiasmo per un nonnulla. E questo nonnulla tuttattaccato mi piace parecchio.
Sono biscotti antichi. Di quelli che ti ricordano qualcosa. Storie. Avventure. Di come si vestiva tua madre quando. Di come quando eri piccolo facevi dei lavoretti per avere un tozzetto di pane. Di come l’unico dolce dopo la guerra fosse un pezzetto di pera. E’ avvenuto questo offrendogliene uno a papà ieri a pranzo che sembra rimettersi giorno dopo giorno. E’ successo che ho amato l’Artusi. Perchè nessun biscotto fatto finora aveva scatenato questi ricordi e quindi. Sì. Artusi sia. Perchè in quel tozzetto di pane che può essere diventato champagne adesso, rimane quello che veramente sei. Semplice. Schifosamente vero e semplice. Ed io in quel sapore ho visto l’insegnamento che per tutta la vita il mio papà e la mia mamma hanno cercato costantemente che diventasse mio.
Non mi sogno neanche di trascriverla. Copio letteralmente il grande Artusi in modo che non possa goderne solo io di cotanta meraviglia*inchino.
“Mistress Wood, un’amabile signora inglese, avendomi offerto un the con pastine fatte con le sue proprie mani, ebbe la cortesia, rara nei cuochi pretenziosi, di darmi la ricetta che vi descritto, dopo averla messa alla prova”
440 grammi di farina d’ungheria o finissima. 160grammi di Farina di patate. 160 grammi di Zucchero a velo. 160 grammi di Burro. 2 chiare d’uovo. Latte tiepido quanto basta.
Formate un monticello sulla spianatoia con le due farine e lo zucchero mescolati insieme. Fategli una buca in mezzo, collocateci le chiare e il burro a pezzetti, e colla lama di un coltello prima e con le mani dopo, servendovi del latte, intridetelo e lavoratelo mezz’ora circa per ottenere un pastone piuttosto tenero. Tiratelo col mattarello in una sfoglia della grossezza di uno scudo, tagliatela a dischi rotondi, bucherellateli con le punta di una forchetta e cuoceteli al forno o al forno da campagna in una teglia unta di burro. Con solo mezza dose della ricetta se ne ottengono assai.