Risata diabolica: e vi sembrava che ve la cavavate solo con il Fast Post!
In questo Blog si è più parlato del Piemonte e in particolar modo di Torino che di altro. Credo che come chiave di ricerca ci sia una contesa aperta con un altro argomento a me particolarmente caro. Il nano da giardino, sì.
Nonostante mi fossi ripromessa di dedicarmi alla tradizione culinaria sicula mi ritrovo qui a ticchettare di e su Torino. Non verrò certo meno alla promessa ma trascorrerà del tempo prima che mi ci dedichi seriamente al progetto siculo di portar a termine più di 1.200 ricette in un anno e qualcosina meno (e non ho ancora visto Julie and Julia, giusto per confermare a Giulia e Salvo che sono sempre la solita. L’ho acquistato sull’Apple Store ma giace sull’ipad. Ce la posso fare). Il fatto è che fa davvero troppo caldo per cucinare e in archivio ho qualcosa come 313 ricette. Ma quanto magna il Nippotorinese, verrebbe da chiedersi.
Nè una in più, nè una in meno. Solo il cielo sa quanto io sia seria. Trecentotredici ricette in archivio sono vergognosamente tante. Approfitterò quindi del caldo mortale, delle imminenti partenze, dell‘esaurimento che incombe e di un’altra milionata di motivazioni per far fuori qualcosa dall’archivio e blaterare un po’ sul mio progetto che riguarda Torino.
(non è vero. Cucinerò da domani e si accavalleranno sempre più fino a diventare una cifra ancor più vergognosa)
Turin Mon Amour (www.turinmonamour.it, al momento offline) sarà un moleskine virtuale e non cartaceo di roba confusa e astrusa mischiata a liste meticolosamente organizzate riguardanti principalmente la gastronomia di Torino e del Piemonte tutto; ma anche un viaggio tra vie, leggende e misteri. Un percorso che non definirei esoterico ma tant’è.
La città magica per eccellenza. L’algida Signora, così chiamata, che con la sua discrezione e sonnolenza risulta meno appariscente e folkloristica. Straordinaria nella sua sobrietà a tratti inquietante nasconde fiumi di magma e scoppiettanti lapilli in un sottoterra pronto ad accoglierti e talvolta rapirti. In un intreccio di coordinate che tracciano reti di racconti antichi. Narrano di allineamenti e magie. Leggende metropolitane la ergono a città satanista per eccellenza ma al tempo stesso custode del corpo di Cristo avvolto nella Sacra Sindone. Le Alpi fanno da sfondo ad una storia che comincia ben prima di qualsiasi altra città. Riguardosa non urla le proprie magnificenze ma è conscia di essere stata la prima mentre non rimane intrappolata in quel triangolo tra bene e male perchè sovrastata dalla sua parte razionale e logica. Nel suo silenzio educato che non è falsa cortesia ma buongusto e nel riuscire sempre a non essere inopportuni.
Da felice adolescente disturbata e interessata a scoprire la differenza tra il bene e il male ho avuto il mio momento di depressione acuta manifestata con l’insana voglia di leggere roba riguardante le sette sataniche e non meno peggio la visione continua di horror con annessi e connessi. Argento, genio assoluto nonostante padre e creatore di ridiculume quale Do you like Hithcock, con la sua perversione per Torino mi aveva sempre ispirato. Affascinata da tutto quello che riguardava a partire dalla sua costruzione sul 45° parallelo che la vede vertice di entrambi i triangoli. Il triangolo della magia bianca con Praga e Lione e quello della magia nera con Londra e San Francisco.
Torino, fissa adolescenziale a distanza di anni diventa città nel cuore. Incosciamente talvolta credo che le stesse linee sincroniche, misteriose arterie di energia che proprio a Torino si incrociano ed esplodono, siano state crocevia del mio incontro con il Nippotorinese. E’ talmente pazzesco dare la maternità di questa sciocchezza al mio inconscio che vorrei complimentarmi con la mia idiozia sin da subito. Esistono però tre fattori assurdi e determinanti che a volte nella totale incapacità di intendere confermano questa tesi.
1) Il mio primo fidanzato immaginario si chiamava Pierre. Avevo visto il tempo delle mele e Pierre Cosseau mi piaciucchiava parecchio. Avevo deciso quindi che il protagonista con il quale creavo storie in mente prima di addormentarmi si chiamasse Pierre. Ma il mio era senza capelli (non dimentichiamoci che ero psicolabile già in tenera età. Avevo poche certezze. Il mio uomo sarebbe stato pelato o al massimo capellone. Ma al capellone poi avrei imposto di diventare pelato. Tutto torna no?)
E sappiamo tutti come si chiama il Nippotorinese.
2) Ho sempre immaginato di non poter condividere la vita con nessuno. Pur desiderando un figlio, ero convinta che nessuno avrebbe potuto starmi accanto. In primis perchè non glielo avrei permesso ed in ultima analisi perchè fosse oggettivamente impossibile. Avendo sempre mostrato ammirazione per le persone capaci di parlare moltissime lingue e credendo fortemente che chi ne fosse capace avesse l’opportunità di vivere una vita speciale asserivo sempre che “mi sarebbe occorso un interprete capace di decifrare la mia lingua”.
E sappiamo tutti quanto sia poliglotta il Nippotorinese. E la lingua iaiosa la parla benissimo.
3) Ho sempre sognato di scrivere e disegnare. Di essere indipendente e viaggiare. Di essere sicura di me e perdonarmi. Di raccontare gli orrori che ho dentro e quello che porto con me mischiandoli adesserini dai colori pastello con tanti conigli che inseguono il tempo e riescono a fermarlo.
E sappiamo tutti quanto il Nippotorinese sia riuscito a farmi credere che io posso farcela
ce l’ho fatta.
Torino è Pier. E’ una confluenza di bene che intersecata al mio male ha prodotto un fiume in piena pronto a straripare di sogni, speranze e vittorie. Lasciando le sconfitte, i dolori e le nullità in una riva che ormai è lontana. Torino è Pier che con la sua calma è riuscita a placare un vulcano di male pronto a dilaniare. Confine tra il bene e il male con la sua porta di inferno che ti porta nell’esatto contrario che speravi.
Torino è Pier. Ha un cuore nero (Piazza Statuto) e uno bianco (Piazzetta Reale) proprio come una parte che vuoi sconfiggere (Streghetta) e una che vuoi preservare (Maghetta).
Torino è Pier. Malata (Sick) di Bellezza.
Amando Pier non posso che farlo incondizionatamente nei confronti di Torino.
Per questo motivo Turin Mon Amour.
Mi appartiene Torino e mai come questa volta l’ho sentita mia. Girando per via Po ben sapendo cosa ci fosse nell’angolo e nella traversa. Fissando Palazzo Madama senza l’impalcatura e sognando di percorrere lo scalone con il mio abito bianco. Imprecando giusto un po’ perchè a Piazza CLN ci fosse troppa confusione a causa dei concerti. Fissando il Po e la Dora e pensando a Carlo quando era bambino. Sentendo quasi i Goblin in sottofondo. Strisciando i piedi sul toro mentre mi dico che al Caffè Torino fanno davvero il decaffeinato più buono che c’è.
Che da Mulassano, patria del tramezzino, potrebbero vendere storia e tradizione ad insulse scimmie uacari marsigliesi mentre ti invitano a far foto. Girare per Piazza Statuto e alzare il volto pensando di essere davanti alla porta dell’inferno ma senza paura. Per avere accanto il tuo angelo che ti proteggerà. Lo stesso tipo pelato che ti porge un coprispalla “perchè fa freddino per te amore mio” mentre apprezzi il clima anche se la pioggia arriverà. Violenta e prepotente la guarderò dagli abbaini. Stupendomi nell’aver realizzato il sogno di dormirci sotto mentre si parla di Pizza al padellino o tegamino o mentre si decide se sia giusto o no fare la tessera anche da Soup and go.
Con i nasi spiaccicati sulle vetrine della Torteria Olsen. Pensando che sia il caso davvero di vedere l’elefante Fritz nel museo regionale di scienze naturali. Bramando di vedere per l’ennesima volta gam, mao, miao e lo scheletrino del Museo Egizio che ho chiamato Tino. Ci starà aspettando. Per i vicoli in cerca di segreti e misteri e in attesa del Balon dove hanno girato la Donna della Domenica con Mastroianni. Nel parcheggio sotterraneo dove Argento ha fatto sgommare la Spaak. Arrabbiati perchè Stupinigi non è aperta al pubblico ma rimane sempre il cortile del maglio. Andare alla facoltà di architettura al Valentino perchè un architetto in famiglia c’è ed esserne felici. Tra pioggia, ombrelli e maglietta granata da legare. C’è un piercing gigante, scritte sui muri e draghi. Pipistrelli e finestri. Colline e pace e misteri.
Il mistero principe è: come si fa a vivere una vita senza aver vissuto a Torino?
Mi chiedo come farei a vivere senza di te, Pier e senza di te, Torino. Lo domando seriamente a me stessa mentre inizia questo percorso di Turin Mon Amour. E mentre scendo da una nave.
Siamo a Savona ed io dico solo, mentre imbocchiamo (con un cucchiaino) l’autostrada, “finalmente siamo a casa”. Perchè in questa continua dicotomia del bene e del male, del bianco e del nero c’è questo nord e sud di noi in un vortice di disequilibri che ci fa convergere sempre qui. Dentro di noi.
Ciau Turin , mi vadu via
vad luntan a travaiè.
Mi sai nen cosa ca sia,
sentu ‘l cor a tramulè.
E’ domenica 3 Luglio; il compleanno del Nippotorinese. Si arriva come sempre nel nostro albergo di fiducia, proprio in centro, a causa della mia allergia gattofila che rovinerebbe il nostro soggiorno un po’ a tutti. Non per questo ci sentiamo meno a casa, inciso. Con un ridicolo upgrade abbiamo qualcosa in più di quel “già più” prenotato e ci ritroviamo proprio sotto gli abbaini affacciati sulla Porta Palatina e sul Duomo. Dire che è un sogno diventa ai limiti del riduttivo. Finalmente non vi è la moquette intrisa di sporcizia e acari che ballano musiche filippine ma solo superfici terse e sterilizzate. Legno ovunque e doppio lavandino. Che, diciamolo, è una comodità niente male. Fosse solo perchè riesco a colonizzare anche la sua parte ed è una cosa che mi gratifica davvero. Scale per la doccia. Cadrò e mi romperò il muso ma del resto è sempre stato il mio sogno finire all’ospedale dove girano Cento vetrine.
Pur essendo circondati dall’aura negativa di cui a quanto pare la Porta Palatina è assediata, ridiamo come scemi (tali siamo in effetti) mentre ritroviamo il nostro benedettissimo bagnoschiuma agli agrumi. Perchè non adopero mai i prodotti da bagno alberghieri; questo non accade però qui. Patria del bagnoschiuma più buono del mondo. Ti fa quasi venire voglia di infilarlo nel beauty case prima di partire. MA NON SI FA! NON SI FA! (non dirò mai se l’ho fatto o no, ecco). Tappa Obbligata diventa Vanilla perchè del resto non abbiamo pranzato e con profondo rammarico scopriamo che della granita al cocco neanche l’ombra ma ci pensano anguria e more di bosco insieme al sorbetto al Ramassin buono da impazzire.
Mentre meticolosamente vengo documentata sull’esistenza del Ramassin e sulla sua acida bontà, il mercato biologico in Piazza Palazzo di Città pullula di bandierine tricolori e prodotti-conserve-biscotti buoni da impazzire. Gli stessi biscotti che l’anno scorso mi ha donato la mia preziosissima amica Estella sono lì.
E’ chiaro sin da subito che la prima capitale d’Italia senta moltissimo i centocinquanta anni. Ogni vetrina ha una sua propria coreografia (e sono tutte valide), coccarda, nastrino e genialità improvvisata. Ci sono gomitoli tricolori ma anche cipolle rosse con aglio e peperoni. Ci sono bandierine ma anche collier più o meno preziosi. Pasticcini e tramezzini tricolori ma anche paste e carni speziate. E’ tutto in formato tricolore la domenica e i giorni a seguire. E mentre ci diciamo che il Duomo non è affatto così male come lo dipingono e che il Palazzaccio dovrebbe esser davvero buttato giù si fa pure un salto da Grom perchè il fatturato in nostra assenza ne avrà risentito. Ricarichiamo la carta che dà il via ad un vergognoso rimpinzamento di melone per me e crema di grom con le paste di meliga per lui e si va.
Il primo locale provato di questa avventura è Linea Continua. Prenotato dalla famiglianippotorinese. Festeggeremo lì il compleanno del Nippotorinese. Ad attenderci la dottoressa suocera insieme all’ingegner suocero e la mia bellissima cognata: La socia. Che non vedo da troppo tempo, santo cielo.
Linea Continua è il ristorante dell’Art Hotel Boston. Ci accoglie con una parete meravigliosa composta da bottiglie d’acqua illuminate da lampade sulle quali sono state applicate delle bottigliette di san bitter. Il Tavolo è tondo e adornato da pietre colorate trasparenti su cui si riflettono le luci di candele. E’ tutto perfetto. “L’altra famiglia” dell'”altra città” si è ricongiunta e capisco di essere a casa quando “gli altri genitori” ridacchiando mi informano che “ci sono le verdure grigliate per te!“. Credo che in tutti i ristoranti piemontesi giri ormai la leggenda della degustatrice di verdure grigliate senzasaleoliopepe che mangia poi duemilachili di sorbetto; di nazionalità siculapallidacomelamorte.
In questo albergo ha pernottato e cenato Pamuk. Proprio dietro di noi c’è il menù della serata con la sua firma e tanti complimenti. Il servizio di piatti è interamente monocolore, esclusa qualche scritta fashion, bianco e con presentazioni da gourmet. Si comincia con un carciofino servito su uno specchio e si prosegue con tagliate di carne e vellutate. Una cucina piemontese rivisitata e presentata in maniera oltremodo glamour. L’ambiente è chic ma non troppo da metterti in imbarazzo e c’è tanto tanto silenzio. Abituati sulla nave a sentire anche i masticamenti vari dei vicini ci commuoviamo a dir poco. E ci abbracciamoci promettendo che mai più. Non finiremo mai più in luoghi simili galleggianti.
La carta dei dolci è sorprendente e propone il Bunet classico Piemontese ma anche la bavarese alle fragole, spuma di zabajone freddo in coppa e mousse al cioccolato con zenzero candito. Semifreddo al Marie Brizard e gelati e sorbetti di loro produzione (buonissimi!).
Linea continua è invitante e accogliente nonostante l’arredamento iper moderno, freddo e minimalista. L’acqua da bere è davvero speciale e confezionata in un’ampolla dove ti vien voglia di metterci dei fiori o gioielli. Il bagno talmente bello che ti vien voglia di soggiornarci almeno tre notti. E si sa che il bagno del locale riflette un po’ tutto quello che lo riguarda.
Ci diciamo che sia un peccato non poter soggiornare (non nel bagno) nell’Art Hotel. La hall è prepotentemente bella e le sue particolarità ci intrigano e molto. Distante purtroppo dal centro ci diciamo che “saràperlaprossimavolta” e non resta altro che andare dal Siculo per vedere se la granita al gelsomino è pronta.
Si sonnecchierà con lo stomaco gelato e un coprispalle sotto gli abbaini per essere svegliati. Essere svegliati non dallo strepitio e grida di qualche folle gitante.
Ma dalla magia.
Nella città magica,
e dove sennò?
( Considerando che non ho parlato di Venaria chi capirà il piemontese fisserà con sguardo vitreo il monitor e si domanderà perchè. Beh. Perchè sto ancora imparando il piemontese e so solo quel detto, uff)