Ricette Vegetariane e Vegane

Le (prime) dieci tappe obbligatorie da fare a Torino quando si è affamati (ma anche no)

Dove mangiare a Torino

Update 2019*durante il trasferimento del sito a un nuovo dominio sono andate perse molte immagini; che presto verranno reintegrate***

Che non sempre un locale con mobili color ghiaccio molto squadrati con vasi altissimi e rami secchi di legno illuminati da luci soffuse, è il meglio eh. Certo è che il minimalismo per buona parte seduce. Bastano due stampe in bianco e nero senza cornice, qualche sedia trasparente che sia di Kartell o no, e un dettaglio fluo o coloratissimo a farti pensare che il locale sia iperchic e ipervalido. A Torino ce n’è a bizzeffe di questo genere-tipo, ma non necessariamente la cucina segue l’estetica. Anzi. A ben guardare diversi locali accomunati da questo determinato arredamento hanno o più o meno le caratteristiche che in teoria dovrebbero rispecchiare.

Insomma la sto tirando per le lunghe giusto per dire che: caso per caso, sempre. E non tutto è oro quello che luccica (e non ci sono più le mezze stagioni pure). Una botteguccia con quattro sedie di legno rotte può in termini di appagamento darti davvero molto di più. Scopro che due più due fa quattro e non è certo una perla di saggezza; ma giusto per mettere le cose in chiaro sembra quasi opportuno ribadire quello che lapalissiano è. Quello che non lo è invece è il fattore ambiente-valore. Non sempre la botteguccia con quattro sedie è a buon mercato. La maggior parte delle volte è proprio così mentre altre volte proprio no.

Come in tutte le città non è difficile prendere una tranvata sui denti e un allegro calcio sugli stinchi ma confesso, senza alcun tipo di patriottismo, che a Torino è davvero difficile rimanere scontenti. Al massimo non entusiasti, va.

Stupisce quanto sia radicata l’abitudine di cenare molto presto (sì comincio le mie tediose considerazioni). Nel Nord Italia in generale è alquanto difficile se non addirittura impossibile pensare che sia normale mettersi a tavola non prima delle 21.30; eppure al Sud accade esattamente questo. Se durante le stagioni invernali le 21.oo indicativamente sono un buon compromesso è vero che d’estate la situazione se vogliamo peggiora. Si cena ancora più tardi, intorno alle 22.00 circa, e non è difficile organizzare vere e proprie spaghettate di mezzanotte (che non sono affatto leggende metropolitane).

 

 

E’ già bizzarro, per una persona meridionale come me, vedere abbassare le saracinesche alle 19.30 puntualissimi. E’ vero che gli uffici chiudono alle 17.30/18.00 e che quindi si ha tutto il tempo per rifornirsi nei supermercati (e come mi spiegavano gli indigeni del luogo *gghhghg* organizzarsi per tempo facendo la spesa il sabato) ma per chi è abituato alla chiusura intorno alle 21.00 che si prolunga alle 22.00 nei periodi estivi, ad avere tutti i centri commerciali aperti dalle 9.00 del mattino alle 22.00 pure la vigilia di Natale è pazzesco dover pensare che ci sia un limite anche per i ristoranti. Uhm. Mi spiego meglio o ci provo.

Non so nel resto d’Italia e vorrei che qualcuno mi documentasse a riguardo ma qui in Sicilia (si magna come disperati, sì) è già difficilissimo trovare un locale chiuso tra la mezzanotte e l’una e mezza di notte. Sarà che facciamo la movida perchè siamo degli sfaticati (segue sorrisone beffardo) ma lo spadellamento perenne si fa almeno fino alle tre.

Mangiare fuori a Torino non è certamente difficile. La vastità di proposte (e sorprendentemente è difficile trovare luoghi non validi) è imbarazzante e spropositatamente ricca. Solo che per chi è diversamente torinese si fa un po’ fatica a capirne i meccanismi. Certo è che alle sei quando ancora un siculo sta digerendo la parmigiana di mammà, il torinese è già lì bello fresco a fare l’aperitivo post ufficio. Allo stesso modo mentre il siculo sta facendo scarpette nel sugo che inonda gli spaghetti, il torinese avrà aggiunto qualche stuzzichino nello stomaco e sta già organizzando la serata con amici magariungelatodagrom. Insomma quando il siculo sta sedendosi a tavola per strafogarsi con pastacarnecontornocannoloconlaricotta il torinese è già bello che zompettante in via roma-via po-via cernaia-via a caso per digerire aperitivo e stuzzichino tappabuchi per cena. Infine quando il siculo sta prendendo un po’ di citrosodina perchè le uova e la mortadella e quei 200 grammi di prosciutto per porzione della parmigiana gli danno un senso di acidità, il torinese è rincasato e sta dormendo sogni tranquilli.

Si pranza tra le 12.30 e le 13.30 e nessuno osi  superare le 20.00 per la cena. Vengo informata che da quando (finalmente-gigante) Torino è a tutti gli effetti una città turistica sta cercando di cambiare abitudini. Il fatto che le gelaterie chiudano a mezzanotte e all’una durante i week end è già segno di un’apertura mentale mica da ridere. All’una chiudono, all’una!

Calcolando che al sud all’una si sta ruttando l’aglio della spaghettata di mezzanotte, è normale che il gelataio chiuda non prima delle tre-quattro del mattino. E pensare che noi catanesi ci arrabbiamo del fatto che il sabato una delle gelaterie più famose rimane aperta solo fino alle quattro! (per poi riaprire alle sei per le granite, ma vabbè)

Da questo esempio potrebbe emergere che al meridione si lavora di più. Potrei insomma ribaltare le leggi fisiche su cui si basa la conoscenza dell’intera umanità. Oggi potrei dire insomma che la terra non è tonda. Non è quadrata. Ma è a forma di cono gelato o orecchie di coniglio. Ma non lo farò (grazie al cielo).

Emerge una maniacale organizzazione che, se ad alcuni non piace, a me entusiasma. Torino ha delle regole. Ti viene incontro d’accordo. Ma ha delle regole. Ed io voglio rispettarle tutte (leggi: strafogarmi di sorbetti prima di mezzanotte. Mangiarne chilate e poi dopo la mezzanotte andare alle Molinette con calma. Che le Molinette sono sempre aperte, già)

Quelle che seguono sono le (prime) dieci tappe obbligatorie qualora nel fortunato caso ti trovassi a Torino e non sapessi dove andare (ti prego non lasciarti allettare dalla proposta di cenare sul Ristocolor. E’ un tram storico che gira per le vie del centro e no. Magari dopo i dieci punti a seguire compi l’estremo gesto ma non prima. Non vivere Torino in maniera così turistica te ne prego!

 

La Torteria Olsen

in via Sant’Agostino 4B. Un locale picciuino picciuò in centro con delle vetrine belle da far paura. Alzate strapiene di torte salate e dolci; ma anche immense Sacher e clafoutis con i frutti di stagione. Torte ripiene di crema e frutta; frutta freschissima e bella da sembrare finta. Puoi strafogarti lì con un caffè o un tè o prenotarne una alta quanto te e portarla a casa. Potrai mangiarla con il tuo gatto in preda ad una depressione cosmica (santo cielo che quadretto triste) o con in compagnia sferrando colpi sugli stinchi per l’ultima fetta. Non sono esteticamente perfette come quelle che ultimamente primeggiano. Non sono torte monoporzioni con architetture complesse. Sono torte come una volta, santo cielo. Belle fettone di torte alte e rassicuranti che ti avvolgono nella loro bontà e ti fanno dire: grazie al cielo esiste la torteria Olsen.

 

 

 

Un tramezzino da Mulassano

 Sarà che l’hanno inventato lì, sarà che il signore alla casssa è talmente gentile che ti vien voglia di abbracciarlo, sarà che nonostante sia uno dei bar storici di Torino e ci siano tutte le Madame Torinesi (adorabili) non mette per nulla in imbarazzo e sarà pure che ci sono duetavolidue ma un tramezzino da Mulassano è tappa obbligatoria.  Dal 1925, data in cui hanno inventato il tramezzino farcendo due pezzi di pancarrè, è un inarrestabile percorso. Più di quaranta varietà di tramezzini messi in una teca come gioielli. Ripieni di aragosta, granchio, roastbeef freschissimo, salse ricercate e ingredienti di prima qualità. Un pezzo di storia italiano e tappa doverosa.

 

 

 

 

 

 

 Soup and go.

Si trova al quadrilatero. “Un mondo di cose buone dove farti sentire a tuo agio è la migliore specialità”. Esattamente in via San Dalmazzo 8A. Alla sezione menù del sito trovi addirittura le proposte settimanali. Molte parole si devono spendere su soup and go. Il logo minimalista (no glamour per nulla pero’. Ed è una nota positiva, santo cielo)  del cucchiaino verde e la sua vetrina all’angolo strapiena zeppa di verdure mi aveva già fatto provare un’estrema simpatia. Varcata la soglia mi ritrovo un piccolo cortile che dà accesso al locale. Ci sono tavolini, sedie e panche. Non necessariamente allineate in modo perfetto. Ci sono fiori e piante. Un telo ricopre il tutto come fosse l’ennesimo riparo che si sono premurati di installare per te. Per coccolarti davvero. Per farti davvero sentire a tuo agio. La gente mangia nello stesso tavolo chiedendoti “è libero?”. Nascono amicizie. Antipatie. Simpatie.  Soup and go è un mondo a parte. Ti preparano tante zuppe diverse, almeno tre per giorno e mai uguale l’indomani, con una varietà di verdure e cereali imbarazzanti. Te la servono dentro la burnia affinchè i sapori come le loro premure rimangano all’interno del barattolo che è cuore. Quando ti porgono la burnia è un po’ come quando mamma ti metteva il pranzetto nelle scatoline di alluminio tornate in voga sotto il nome di bento box perchè grazie al cielo ci pensano i giapponesi a farci rivivere gli anni ottanta. Un vegano (come me, a conti fatti) è libero da ogni imbarazzo.

 

Un vegetariano può mettere l’uovo nell’insalata di fagiolini, broccoli e piselli e un cliente comune può inzuppare crostini (gratis) croccanti messi a disposizioni nella sua zuppetta con gamberi e curry un giorno o con pezzettini di pollo. Ma non contenti ci sono pure delle zuppette etniche eh. Indiane soprattutto; speziate e succulente. Una ciotola abnorme di insalata costa cinque euro e mangiano due persone in maniera più che abbondante. Il rinforzo lo paghi un euro ma non è un rinforzino è una bella ciotolotta altrettanto capiente. Le sedie colorate l’una diversa dall’altra e tanti libri che puoi prendere e leggere. Ci sono giochi anche per i più piccini. Per intrattenerli mentre mangiano zuppette ma anche panne cotte e dolcetti in bicchierini. Sono tutti strepitosamente gentili e il ragazzo alla  cassa il secondo giorno ti tratta come fossi un cliente decennale. E’ adorabile tutto quello che circonda Soup and Go e chi ci lavora. E chi ci va. In particolar modo c’è l’ingegnere con lo yorkshire; che ti conquista e commuove facendoti chiudere gli occhi e immaginando la sua storia. A me è capitato proprio questo. Sperare che il suo amore lo aspettasse a casa. Sperare che non fosse rimasto solo con il suo fidato amico a quattrozampe e pranzasse lì affinchè qualcuno tenesse loro compagnia. Dalla drammaticità alla speranza. Ci siamo andati più di quattro volte e in un soggiorno di una settimana direi che è abbastanza indicativo. E per tre volte abbiamo incontrato proprio lui, l’ingegnere con lo yorkshire, un tenerissimo gentiluomo che fa passare le donzelle come me attraverso le porte facendo un inchino; che mette sulla sedia una tovaglietta per far salire il suo cane nel rispetto del prossimo. Che legge libri dal kindle sorseggiando caffè. Da soup and go ti viene voglia di immaginare la vita di tutti e di farne parte. C’è l’uomo giacca in cravatta, la donna friendly con chanel e la borsa alternativa con prodotti biodegradabili. Trovi tutto da Soup and go. L’amore per le cose buone e genuine, in primis.

Soup and go è diventata ispirazione per una graphic novel. E non mi era mai successo di correlare un luogo esistente ai miei pasticci.

(e si fa pure la differenziata!)

 

 Exki Natural Fresh and ready

Ce ne sono diversi a Torino ma non in tutta Italia e quindi è giusto approfittarne. Una sorta di fast food naturalista ma non per questo con prodotti poco goduriosi, anzi (Noom è un altro luogo simile consigliabilissimo eh). Per un cliente attento e intelligente che vuole proprio sapere cosa finirà nel suo stomaco. Zuppette fresche e gazpachi ma anche cous cous con verdure e gamberetti. Tanti cereali e tripudi di miglio con carne-pesce-verdure ma anche verdure grigliate e insalata con feta e tofu. Lo scorso anno troneggiava anche il seitan mentre quest’anno mi è capitato di vedere spezzatini e straccetti ma suppongo sia una poco fortuita coincidenza. Bicchierini di frutta ma anche yogurt di capra e non solo. Yogurt da bere e prodotti bio naturali da ingurgitare. Legumi! Tanti legumi da abbinare a preziosissime torte salate con ogni genere di ingrediente. Dal formaggio alla carota fino a passare alla carne. Non contenti di tutto questo un tripudio di alzate piene di torte dolci, carote-cioccolato e cheese cake, potrà essere meta per una chiusura di pasto degna di nota.

(e si fa pure la differenziata!)

Mac BUN!

anzi no M**Bun, prima che il signor Donald ci quereli (prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr. sì è una pernacchia).

Mega pernacchia gigante per il Signor Donald che fa schifezze e applausi a scena aperta a questi due ragazzi di Rivoli ai quali è venuta in mente un’idea semplicissima rivelatasi una genialata. Offrire un servizio fast food ma con roba slow food. Sì. Un concetto semplice, diretto e valido. Il genio assoluto. Rivoli possiede già un enorme edificio dove si possono gustare i meravigliosi prodotti ma adesso anche Torino ha questa fortuna  e in via Cernaia angolo corso Siccardi (proprio accanto al nuovo Grom, appena aperto, dove si può ben pensare di chiudere una magnifica serata all’insegna dello stragnam!) In piemontese Mac Bun sta per “soltanto buono” ma gli stolti d’oltreoceano non potevano di certo comprendere questo strabiliante sarcasmo e per questo motivo a causa persa si è dovuti optare per un occultamento. Quei due asterischi geniali quanto l’invenzione in sè sono una sonora pernacchia che non si ha difficoltà a sentire a chilometriechilometrididistanza.

Niente patatine surgelate in stick ma solo patate. Tonde. Circolari. Comeègiustochesiano. Croccanti e dorate. Quasi marroncine bruciate proprio perchè non artificiali. Patatine che ti fanno pensare a quelle che preparava nonna durante i pomeriggi quando eri piccolino. Panino, patate e bibita! E se vuoi pure le Mach Bale (che in piemontese significa “solo palle”) che sono delle polpette fatte con carne di altissima qualità.

E non si fa nemmeno la fila! ti danno un aggeggino che suonerà quando la tua prenotazione sarà pronta. Ti dirigerai al banco e tanti saluti. No dico ma ci rendiamo conto o no?

Mach bale!

(Al M** Bun si parla solo in Piemontese; fortuna che ho il prontuario.  Ciapa lì e porta a cà sta chiaramente per “acchiappa e porta a a casa”. “Parlapà” è la tessera sconto e sta per “Ma davvero?!” e “Menù Masnà” per i piccini )

(fa‘ che t‘ n’abie!) 

(e si fa pure la differenziata!)

 

 Le vitel étonné 

in via San Francesco da Paola. Un localino non troppo grande ma non ci giurerei perchè vi è anche posto in un’altra sala che non ho visto, a dir la verità. Adorabile e con dei piatti della tradizione piemontese leggermente rivisitati composti in presentazioni davvero degne di nota. L’immancabile vitello tonnato preparato egregiamente, la faraona con le patate e delle tagliate di fassone davvero pazzesche. Il colore della carne è talmente rosso e fresco e senza grassi che quando mi passa accanto mi fa porre il sorprendente quesito: e se per stasera non fossi vegetariana?

Il servizio è ottimo e veloce. I prezzi onesti e i primi strepitosi. Ci sono i maltagliati con tre tipi di carne diversa ma anche altre alternative valide. Una buona cantina senza dubbio alcuno e le ragazze che servono ai tavoli simpaticissime e pronte a consigliarti. Davvero imperdibile.

 Oltre alla focacceria ligure

proprio di fronte palazzo Madama ormai storica vi è anche un’altra Focacceria in via Sant’Agostino. Insomma proprio vicino alla Torteria Olsen (che via magica è?). C’è da sentirsi male con i pezzettoni di focaccia colmi di cipolla.

Non parlando poi di quella con le zucchine. Focaccia bianca caldissima ma anche con pomodoro e verdure. Non contenti pero’ fanno pure quelle un po’ piu’ elaborate e ti consigliano di aspettare la farinata appena sfornata “sa. questa è un po’ più fredda”. E mentre tu vorresti solo girare il bancone e dirle che le vuoi bene, a quella signora gentilissima che vuole superarsi ancora e ancora, ti giri intorno e credi che sia un posto schifosamente adorabile. Con i suoi tavolini e sedie antiche un po’ incise e logore e qualche lampada qua e là. Sembra facile ma non lo è. E’ difficilissimo trovare un posto nella Focacceria di via Sant’Agostino. E’ piena zeppa sempre e bisogna spintonarsi vi chiederete voi? Giammai. Perchè pare che a Torino siano tutti davvero imbarazzantemente cordiali sotto questo punto di vista. Vi ritroverete quindi al tavolo con uno che in pochi secondi non sara’ piu’ uno sconosciuto. A mangiar focaccia e ridere.

 Mangiare da Eataly

è un’impresa titanica. Certo che è bello mangiarvici per carità ma rimane comunque un miracolo. Non si puo’ prenotare (un po’ come da Gennaro Esposito santo cielo) e le difficoltà aumentano vorticosamente, se ci aggiungiamo il fatto che è diventata chiaramente meta e tappa obbligata di tutti i turisti diventa praticamente impossibile realizzare il sogno e dire “oh. ho mangiato da eataly”.

Ci pensa quindi la Granda in mezzo al  pane a darti un assaggino-ino-ino. Una sorta di Mac Bun (senza offesa) in formato Eataly. Ad attrarre ancor di più ci pensa il corner di Montersino con i suoi tiramisù e prelibatezze. Stesso paradigma del suddetto colosso di Rivoli. Un fast food con prodotti slow food. Un menù ricco e variegato con panino-patatine e bibita o vino in calice. C’è anche la frutta e qualche verdurina per gli sventurati come me e le patatine sono buone e antiche (ma c’è chi giurerebbe esonotanti che quelle circolari rivoliane si scordino più difficilmente).

(Ho svaligiato Eataly ma è un altro discorso. Occorre informare che vendono i tovaglioli del Nano da Giardino. Giusto per essere chiari a che livello stiamo) 

 

E il  kebab da Sindbad?

E mica possiamo snobbarlo! Anzi. Uno dei kebab più apprezzati nella città di Torino è proprio in questo locale che offre non solo specialità marocchine ma anche egiziane. Ad aiutarci nella scelta tante foto raffiguranti i piatti e sono davvero tanti. La prima sala che ci accoglie è piastrellata nel tipico stile arabo dove si compongono le diverse tipologie di kebab. Un odore di spezie pervade l’ambiente e una teca angolare traborda di dolciumi davvero buonissimi e freschi. L’Halva è omnipresente (e qui vi è una ricetta nel caso interessasse) come la cortesia. I padroni di casa difatti solo gentilissimi e pronti a chiarirti qualsiasi dubbio. Nella città ci sono davvero tantissimi posti dove mangiare un buon kebab ma sarà che ormai da quattordici anni non conosce sfortuna, sarà che è diventato ormai un istituzione ma a una prelibatezza speziata da Sindbad proprio non si può rinunciare.

 

Torino è piena di ristoranti etnici e regionali

 Di qualsiasi cosa tu abbia voglia non vi è problema alcuno perchè sarai accontentato. Senza difficoltà troverai pane per i tuoi denti ma anche pizze, focacce, crauti, involtini primavera, wakame, sushi, kebab, cupcake, chutney, smoothie, e un imbarazzante eccetera che fa girare la testa. E se dispiace essere arrivati al punto dieci senza aver nominato neanche la Deutsche Vita, localino 100% tedesco dove si sfornano breztel buonissimi magistralmente abbinati a crauti e wurstel (mi sa che dobbiamo riparlarne per bene) non si puo’ non nominare il top per quanto riguarda il cibo nipponico. Avendoli provati praticamente tutti e avendo a disposizione un critico come il Nippotorinese si puo’ sostenere senza dubbio alcuno che il Wasabi (in corso Ferrucci) batte tutti. Tradizionale con il tatami, piccolo e accogliente con i suoi piatti tradizionali offre il meglio. Il sushi è confezionato ad arte e il pesce è freschissimo. Il sashimi tagliato talmente finemente che si fa fatica a non pensare che ci sia lo zampino di un mago. L’arte nel disporre i diversi ingredienti crea una sorta di timore nell’affondare la bacchetta. Entri in un quadro di colori e freschezza che difficilmente dimentichi quando ti ritroverai davanti a quello che vorrebbe essere un ristorante giapponese ma non sarà mai IL.

 

Il Wasabi

è il ristorante giapponese per eccellenza. Seppur un attimino più costoso, ti ripaga e appaga e diventa meta di tradizione (ahem sì. festeggiamoimesiversarianniversari e qualsiasicosacinventiamopurdiandarci).

Che poi ho giusto detto i primi dieci luoghi dove andare a mangiare a Torino ma occorrerebbero molti più punti perchè davvero la gentilezza della proprietaria della Deutsche Vita merita un punto tutto suo. Quasi quanto la bontà dei cetriolini sottaceto aromatizzati all’aceto balsamico e miele confezionati in Germania. Le salsine che gentilmente mi sono state spiegate passo passo e tutto il merchandising adorabile di questo angolo dove Delikatessen e cordialità abbattono qualsivoglia barriera e luogo comune. Calore e gentilezza in questo angolo meraviglioso di Germania che pullula di piatti davvero succulenti. L’odore che pervade la via ti fa girare la testa mentre passeggi con il tuo vasetto  di cetriolini sottaceto aromatizzati all’aceto e miele e li mangi.

Senza vergognarti.

Perchè sì a Torino puoi fare pure questo e ricordarlo sperando al più presto di poterlo rifare.

E girare verso la via in cerca di una gelateria. Ecco mi sa proprio che urge la lista delle gelaterie.

Bene. Pulisco la tastiera dai rivoli di bava che l’hanno sommersa e torno.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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