E poi lentamente scarti un after eight e lo poggi . Su una tomba
Cominciamo subito con il dire che qui si avevano pochi dubbi a riguardo. Vince allo Sherbet, il festival internazionale di Gelato, Santo Musumeci!
A meno che un vuoto neuronale si fosse impossessato della Trinacria, non si poteva non premiare il Maestro Musumeci. Poche volte mi sono entusiasmata così per una qualsivoglia vittoria. Io che tifosa non sono e che generalmente in tutte le competizioni appaio diplomatica e disinteressata, caldeggiavo fortissimamente quest’ennesimo riconoscimento. Non essere lì per saltare su uno stand a caso e cominciare ad urlare di gioia, non mi impedirà l’anno prossimo di farlo. Purtroppo impegni inderogabili erano stati presi precedentemente.
Avevo già avuto modo di parlare ( link ) del gusto Pirandello del Maestro Musumeci. Meraviglia di mandorla con scorza di limone e croccante di mandorla che mi fa venire voglia di mollare qualsiasi cosa, infilarmi in macchina e correre velocissimamente in quel di Randazzo. La giuria popolare decreta il Pirandello miglior gelato 2011. Dopo la Sicilia a vincere le due gelaterie con Fiori d’arancio, pinoli e cannella dello spagnolo Gianni Piucco e il sorbetto al limone e basilico di Farida Haggiagi (che santa pizzetta avevo assaggiato lo stesso connubio approdando qualche mese fa in una gelateria a Palma di Majorca. Ottimo sì ma davvero nulla a che vedere con il Pirandello e L’Oro verde).
Chi mi legge da un po’ sa quanto io sia completamente estranea al campanilismo e quanto poco mi interessi pubblicizzare gusti-luoghi e prodotti. Non ricevendo nulla in cambio e non volendolo-bramandolo minimamente, posso asserire per quanto valga un mio giudizio che il caso di Santo Musumeci ha dell’incredibile. L’Italia intera, senza distinzione di regione, dovrebbe essere orgogliosa di avere in patria un’eccellenza di questo calibro.
Il Pirandello si aggiunge quindi all’innumerevole sfilza di riconoscimenti insieme alla lunga sfilza di tutti i miei amici dissipati in ogni angolo dello stivale che mi prega solo di una cosa: “Quando vengo andiamo a Randazzo, vero?”
Ed io forse potrei rinunciare davvero a portarvici? Insomma organizziamo dei pullman e partiamo. Che l’oro verde sia con noi !
Adesso devo calmarmi e proseguire con l’articolo di oggi, sì. E’ che parlando del Maestro Santo Musumeci e delle sue delizie si perde sempre un po’ il controllo (un po’ tanto).
Certo è che qui di roba fruttosa se ne è fatta. Diverse proposte di menù con la frutta (qui e qui) e sensazionali scoperte come il pollo ananas e maionese che ormai furoreggia in rete senza sosta. Plausi anche al pollo con le ciliegie e all’inaspettata bontà dell’insalata di Cleopatra con l’anguria.
E sì mi sa proprio che sarà la settimana dell’insalata. Non tanto per gettarvi/ci nella depressione più cupa e nera quanto perchè il tempo sta davvero cambiando e come ho ribadito più volte vorrei poter smistare un po’ di roba che risiede in archivio. Per le altre ennemila insalate che ho preparato quest’estate non resterà altro che risiedere nell’oblio di cartelle sconosciute sino a data da destinarsi (2098 suppongo).
Il fatto che a me l’ananas piacesse in versione salata (con limone e sale) già in tenera età doveva essere l’ennesima chiave di lettura che non ho saputo cogliere in tempo. Meglio tardi che mai, mi dico mentre ripenso al perchè di quest’ananas in versione salata.
La storia è tanto semplice quanto importante nella mia sfera affettiva. Ogni domenica quando avevo sei-sette-otto-nove-dieci-undici-dodici-tredici-quattordici-quindici anni io e la famiglia andavamo a pranzo con uno dei più grandi amici di mio papà. A sedici-diciasette-diciotto-diciannove-venti-etc non più perchè morì.
E’ stato il mio primo contatto con la morte. Nonostante avessi perso entrambi i nonni ben prima, la sofferenza in questo specifico caso è stata avvertita in maniera più cosciente, forte e delirante.
Ogni domenica andavamo in un ristorante. Si trovava esattamente ad Acireale e si chiamava “Il Barone”, suppongo perchè ospitato in un palazzo nobiliare non troppo distante dal centro città.
Era il suo ristorante preferito. Amava andare lì con mio papà. Dopo aver parcheggiato l’auto loro due a braccetto chiacchieravano mentre io e mamma stavamo dietro mano nella mano parlando dei giochi che avremmo fatto poi al rientro in casa. Amavo la domenica perchè avevo i miei genitori tutti per me al contrario del resto della settimana. Con il tempo questo smisurato amore per il settimo giorno si è trasformato in un odio viscerale che riesco a moltiplicare sorprendentemente ogni anno che passa.
Papà era quello un po’ burbero e distaccato, non troppo affettuoso. Al contrario del suo amico che era rumoroso, gesticolava come un matto e scoppiava in fragorosissime e rumorosissime risate. Sentirne ancora il suono mi mette più volte in difficoltà. Percepire quegli acuti come se fossi in quella strada è una sensazione che vorrei poter scrollarmi di dosso e al contempo non finisse mai.
Lui si girava controllando me e mamma e diceva “quante cose buone ci mangiamo oggi? “ e noi sorridendo annuivamo. Del resto io ero così rotondetta che mi sfregavo le manine all’idea di mettere in saccoccia qualche altro chiletto da coccolare come fosse un piccolo animale domestico. Mamma poteva comprarmi un ciuuaua, a ben pensarci (mi rifiuto di scrivere ciuuaua correttamente. E’ una questione di principio, la mia).
C’era una grande scala, o almeno così mi ricordo perchè ero davvero molto piccola e quindi potrebbero essere tre scalini adesso; di quelle un po’ tondeggianti del novecento tipiche delle case signorili. Il ristorante era ospitato all’interno del palazzo e i tavoli tondi allestiti con grande cura. Candelabri d’argento e un’atmosfera un po’ austera.
Io che però all’epoca non conoscevo il termine austera la definivo più principesca. Non essendo una bambina principessa, confesso che mi dispiace un po’, la detestavo allegramente.
Perchè mentre l’entrata mi piaceva e pure parecchio, l’interno non mi entusiasmava e preferivo di gran lunga una trattoria tutta in legno rustica dove andavamo di solito d’inverno.
Non ricordo cosa mangiassimo esattamente ma per certo posso dire che vi era davvero del buon pesce e piatti ricercati. Aspettavo però la fine del pasto, io.
Con rivoli di bava alla bocca e occhi iniettati di sangue.
Veniva servita infatti, dopo una buonissima torta al cioccolato con cui impastavo le papille gustative, una porzione enorme di ananas. Non ero certo una bambina da ananas ma da panzerotto con la crema. Il futuro poi mi avrebbe riservato sorprendenti sorprese a riguardo ma no. All’epoca ero una bambina da panzerotto alla crema e vaschette di nutella dove nuotare liberamente.
Ma. L’ananas.
Era tagliato in maniera sublime. Un po’ come viene servito adesso anche nei bar e quindi nulla di entusiasmante ma all’epoca (che ho una certa età ed è inutile negarlo) era un taglio ricercato e innovativo. Le classiche fettine non allineate, per capirci. La particolarità però stava nel servirlo, se si voleva, con tanto succo di limone e pioggia di sale.
A Lui piaceva da pazzi e quando eravamo in casa (abitavamo nello stesso palazzo) non faceva altro che fare ananas con limone e sale. E alle cinque del pomeriggio prendere the con gli after eight. Cioccolatini che ancora adesso quando li vedo mi gettano nella paranoia più cupa e nera.
Basta agitarmi un after eight sotto il nasino per tramortirmi e stordirmi.
Lui riusciva a staccarsi dal lavoro, tornare in casa e prendere il the alle cinque. Una passione degli ultimi anni della sua vita che trovavo/vamo divertente. Papà ci diceva che eravamo proprio scemi e noi ridevamo. Papà non poteva interrompere il lavoro per una cosa talmente ridicola, lui sì.
Proprio perchè era il suo migliore amico e l’esatto contrario. Proprio perchè papà era muso e lui fragorosa risata. Proprio perchè papà timidissimo e lui spigliato e amico di tutti.
L’ultima volta che l’ho visto è stato proprio per l’ora del the. Ho mangiato un after eight e bevuto del the. Ho mangiato una caramella che si chiama kruvka, che significa mucca, e che viene dalla Polonia.
Un buonissimo gusto, che ricorda un po’ le mou ma imparagonabile per bontà.
Mi ha detto che avrebbe dovuto fare un controllo e che l’indomani sarebbe stato ricoverato in ospedale. Non mi preoccupai più di tanto.
Ho continuato a mangiare after eight mentre la cucina si popolava di altre persone. Noi due eravamo proprio uno di fronte all’altra, ostacolati da sedie troppo ingombranti in una piccola cucina. Individui seduti che inzuppavano biscotti nel the.
Mi sono alzata perchè avevo ormai sedici anni e dovevo uscire con le amiche e lui mi ha detto “dammi un bacio signorina! non è che adesso sei grande e non devi darmeli quando vai via!”.
Ho risposto “te lo do quando torni!”, ridendo.
Perchè a sedici anni si è stupide. Si ha fretta e non c’è tempo per i bacetti.
Non è più tornato. Era un tumore e dalla sala operatoria è uscito su di una barella di acciaio, morto.
Per questo ho imparato che c’è sempre tempo per un bacio. Sempre. E che è meglio non rimandarlo mai. Come ho imparato che l’ananas va mangiato esclusivamente con limone e sale. E che gli after eight vanno comprati solo per andare su una tomba e scartarne uno. Sorridere o perlomeno sforzarsi. E poggiarlo lì senza dire nulla.
Perchè possono passare dieci, venti o trenta anni e mangiare tutta l’ananas e limone e sale che vuoi, ma il peso di quel bacetto continuerà a gravare mentre nuoti in una piscina di carta che conteneva cioccolato e menta.
Ecco io quando ho preparato questa semplicissima insalata ho pensato a lui. A quanto gli sarebbe piaciuta. A quanti complimenti mi avrebbe fatto. A quante risate.
Poi il vortice della paranoia mi ha colto perchè nessuno ricorda se gli piacesse o no la rucola.
Per certi versi però non me ne preoccupo. Perchè sono sicura che in un modo o nell’altro sta ridendo di me e per me. E con me. E mangerebbe rucola ugualmente.
E allora anche io mi dico che in fondo un after eight un giorno non potrà che farmi bene.
Provate senza indugio l’insalata di rucola e ananas. Basta tagliare a tocchetti l’ananas e spruzzarlo generosamente con il sale. Adagiare il tutto su un letto di rucola e dare una bella giratina di olio extra vergine di oliva.
E se vi capita per favore, date un bacetto al vostro commensale. Fatelo anche un po’ per me.
Grazie.
Su Halloween food parte l’avventura e si può trovare seguendo questo link (clicca qui ) la ricetta delle uova ragnose!
Ad attendermi una giornata di scrittura fino alle 02.00 del mattino. Celapossofarcela (insani ottimismi)