Anche se alimentarmente (termine coniato numero 23094234234) non conduco una vita vegana come ribadisco fino allo sfinimento perché si è creata una tale confusione che non vi è giorno dove non mi si dica “ma perché il latte no? ma perché hai la borsa di pelle se sei vegana? ma perché se”.
Ma perché. E perché non sono vegana ma conduco dal punto di vista alimentare una vita vegana. C’è un certo fastidio nell’usare questo termine per quanto mi riguarda. Apprezzo e ammiro moltissimo chi si è votato a una vita di restrizioni non solo alimentari ed energicamente combatte per degli ideali sacrosanti per i propri punti di vista. E’ difficile però spiegare, se mi viene richiesto naturalmente perché altrimenti non starei a tediare l’universo circa la mia psicopatia culinaria, che a dirla tutta definirmi vegetariana proprio corretto non è. Il vegetariano si nutre naturalmente di uova, latte e formaggi; al contrario di me che per diverse ragioni ormai da anni non ne faccio uso. I formaggi proprio per un’avversione fisica. Pesavo 140 chili e sarebbe facile immaginarmi davanti a tonnellate di pane e formaggio ma la realtà è che l’unico elemento formaggesco capace di conquistarmi è stato e rimarrà tra i cassetti della memoria per sempre: la mozzarella ( che adesso non mangerei neanche sotto tortura, inciso). Quella proprio commerciale, orrenda. Mica quella lattosa di bufala eh. Quella nella busta a scadenza decennale. Tutta salute, sì.
Con le uova il rapporto è sempre stato controverso e l’ho psicanalizzato a lungo seguendo il mio master in psicologia da supermercato con specializzazione banco frigo e del pulcino liquefatto qualcosa è rimasto qui e qui. Poi il moto di coscienza e l’improvvisa rivelazione che non volevo essere un’assassina di pulcini liquefatti e via: niente più uova in nessuno contesto; le restrizioni non sono tardate ad arrivare ma non più con fatica riesco. A partire dalla “privazione” dei diversi gelati, mia perversione culinaria; è diventata un’impresa ardua, nonostante a prescindere abbia sempre prediletto i gusti alla frutta (che grazie al cielo non lo possiedono nella composizione), privarsene (la crema come una volta di Grom*fa ciao ciao con la manina*). Il latte infine come un fulmine a ciel sereno mi ha regalato un’intolleranza gravissima e da lì ormai la decisione, da anni, di non cibarmi di alcuna proteina animale. Amen.
(così posso linkare queste quattro righe in croce quando la fatidica domanda “ma non eri vegana ? perché hai la borsa di pelle?” arriverà)
A mamma piace farmi una domanda. Come tutte le genitrici ha il chiaro intento di destabilizzare quelle tre certezze che faticosamente ti sei costruita, basate sul nulla assoluto tra l’altro, e di portarti a fare quello che faticosamente cerchi di evitare: ragionare. La domanda è: quando un giorno deciderai di avere un bambino cosa pensi di voler mangiare se non mangi carne, pesce, latte, uova, riso, pasta, olio, zucchero e pane?
Uff. Bella domanda lo riconosco. In realtà sogno e spero di poter in qualche modo convincermi che il carboidrato non sia il male assoluto e che non mi porterà dopo averne mangiato 50 grammi a pesare l’indomani mattina nuovamente 140 chili. Perché per quanto assurdo possa sembrare, questa affermazione nella sua semplice e irrazionale idiozia rappresenta il punto cardine non solo del mio, ma del problema in generale che affligge chi come me deve fronteggiare i disturbi alimentari. Una chiara e totale avversione verso i carboidrati. Certo è che se puoi cibarti delle proteine e quindi letteralmente ucciderti di petto di pollo, carne e pesce tutto pare essere più semplice. Non che sia facile; non lo sosterrei neanche sotto abuso di allucinogeni ma più semplice sì.
Con le orecchiette di Titti che ho elaborato in una versione tradizionale con broccoli e alici (clicca qui per la ricetta) e con un pesto semplicissimo di broccoli ho fatto un esempio a mamma di quello che vorrei imparare a mangiare. Il seitan pur dovendolo (termine volutamente orrendo ma veriterio) mangiare ogni santo giorno non fa parte della mia quotidianità perché è inutile negarlo a secondo dei periodi, stress e motivazioni personali vivo momenti di “sola anguria”, “solo frutta”, “solo frullato”, ” solo dolore”.
Nei miei sogni più complicati e rosei in realtà vorrei riuscire a mangiare questo. Nonostante non impazzisca per la pasta e abbia prediletto sempre il riso. Un piatto di orecchiette con ragù di seitan, zucchine e menta; proprio perché quella pasta contiene l’ingrediente, l’unico che può aiutarti, ovvero l’amicizia. Con il seitan, che a prescindere dalla mia malattia mi piace proprio come gusto. Con le zucchine, che sono le verdure preferite da me e dal Nippotorinese in assoluto. E la menta. Perversione erbosa che mi piace non poco soprattutto in questo periodo dove la infilo pure nei frullati in assenza di altro.
Lascio quindi questa ricetta nella speranza che tu riesca a mangiarla prima di me. Tu che sei esattamente nello stesso posto dove sono io.
Magari potresti dirmi che non è così difficile e potremmo mangiarla insieme. Allora sì.
Ci sono diversi modi di preparare il ragù il seitan. Confesso di non sognare quello con il soffritto di olio con carote, sedano e cipolla dove far saltare il seitan con le zucchine e magari lo zenzero. Come se il seitan fosse carne vera insomma e la preparazione seguisse il copione che non ha certo bisogno di essere spiegato da me. A me basterebbe del seitan cotto a vapore o arrostito. Con delle zucchine arrostite magari lasciate macerare un po’ nel succo di limone, in modo da non adoperare l’olio, e menta. Tanta menta come una ventata di aria fredda in questo buio un po’ caldo.
Ecco mamma. Io avrei intenzione di mangiare questo se un giorno mai dovessi decidere di avere un bambino. Quindi se a tavola un giorno mi siedo con un piatto in mano così e ti sorrido.
Sai cosa sto per dirti.