Ricette Vegetariane e Vegane

Come sopravvivere in Sicilia (terza puntata): Le trattorie in Sicilia

Spesso si ha voglia di trascorrere una serata informale, senza troppi impegni mentali ma soprattutto casalinghi.  Un vestito comodo alla buona, un ambiente estraneo seppur familiare e non mondano; quella coccola di non dover sparecchiare e lavare i piatti senza spendere una fortuna. Le scelte ormai sono tante e forse troppe tra pub, bistrot, pizze volanti, street food, ristorantini vegani, fast food, slow food, piadinafaidatè, tre kebab al prezzo di uno, etnici, cambogiano, russo e srilankese (esisterà?) e altre tipologie a caso inventate talvolta sul momento.

Il concetto di trattoria sembra quasi ormai essere scomparso o finito verso il dirupo dell’oblio, ahimè. Il nome stesso, rustico e poco altisonante tra le varie terminologie a cui siamo ormai avvezzi in questo periodo, rievoca quasi un senso di pesantezza (che poi ci si spari in vena overdorse di Junk Food è un altro discorso). Che trattoria incosciamente rievochi un trattore?

Nell’era del glamour anche a basso costo dove tutti devono essere un po’ fashion victim e votati all’apparenza, la formula rustica della vecchia amica trattoria pare essere quella meno accettabile.

Non ci si accontenta più di uno spaghetto alla buona con salsa di pomodoro e un arrosto misto con patatine fritte poggiate su un tovagliolo di stoffa quadrettato, per rispettare i clichè, o su quello di carta arrotolato alla meno peggio dentro il bicchiere. Le travi al tetto sì saranno pure romantiche da due cuori e una capanna, ma queste luci ipergalattiche che si riflettono sull’alluminio e su elementi di illuminotecnica avanzatissima ipnotizzano. E allora via quei faretti con la lampadina a fungo (deformazione professionale la mia, già) e tripudio di cavi tesi e binari e proiettori a Led. 

Allora ci si lascia prendere più dall’ambiente piuttosto che  da quello che viene servito sul piatto. Un bel piattone di pasta viene sostituito da una tartare su un letto di qualcosa con chips che navigano su vellutate al sapore di qualcos’altro e altro ancora( e talvolta ci sono pure pop corn in queste vellutate eh. E devo riprenderlo questo discorso mi sa); perché in teoria sì l’ambiente dovrebbe in un certo qual modo rispecchiare anche il microcosmo che ti ritrovi sul piatto (nei miei li vedete i nani da giardino vero?)

Fatto sta che a me la trattoria piace. Poco mi cambia in termini di scelta perché come ho gravissimi problemi, a meno che non mi trovi in un ristorante vegetariano-vegano, di scelta nel locale glamour-chic-etno-frizzielazzi ce l’ho anche lì. In Sicilia la trattoria è un luogo di culto e un mondo a parte.

E io oggi dov’è che vi porto per il Tour “Te lo spiego io come sopravvivere in Sicilia?”. Già. Proprio in Trattoria. Ecco la terza puntata ordunque di questo manualetto in progress che aiuterà i forestieri a vivere nella mia terra ( è sorprendente tra l’altro come io riceva continuamente ringraziamenti per la mie idiozie. Chi è stato qui in Sicilia e mi ha inviato foto su Twitter di iris inzuppati in granite e arancini inzuppati ovunque, pure nel cappuccino, mi ha commosso e lusingato).

( prima puntatona sui pezzi della colazione la trovi qui ) 

(seconda puntatona, si fa per dire, sui pezzi di tavola calda la trovi qui .  Quel pezzo che su Style era finito in Home page lasciandomi felice assai, insomma sì)

Le trattorie in Sicilia. Svolgimento.  

Mettete un mocassino comodo, magari non scamosciato e un jeans con camicia e giacca come si faceva nei meravigliosi anni ottanta. Evitate quelli di colore bianco da abbinare al sopra pastello perché potrei schiaffeggiarvi;  al contrario di tutte le donne vi consentirò di indossare il calzino bianco a patto che sia lungo e che non si veda. Se lo usaste rosa si raggiungerebbe l’apice della mia stima. Un uomo, qualche sera fa, indossava un calzino rosa fluorescente a micro pois e gli ho giurato amore eterno. Ma non è questo il punto ( o forse sì?)

Per le donne un vestitino informale andrà più che bene o se proprio vogliamo farla benebenebene una tenuta sportiva sarà perfetta: pantalone con camicia (e foulardino nel caso proprio in cui non si resiste al tocco glam)  che fa “uscita serale ma sportiva”. Qualsiasi abbigliamento andrà bene ma dovrà rispettare un’unica regola: la possibilità di sbottonarsi i pantaloni avendo un capo sopra abbastanza coprente e di conseguenza non scegliere MAI un abito attillato. Pur non soffrendo di meteorismo o gonfiore addominale vi assicuro che in una Trattoria Sicula l’addome vi si gonfierà eccome. 

Sulla Trattoria Siciliana, in realtà,  si potrebbe disquisire fino a Natale 2098 ma credo pure 2981; avessi il tempo lo farei (ma devo organizzare le scarpe e infilarle in valigia. E come si fanno entrare 893 paia di scarpe in un trolley da 40 litri?BOH!) .  Innanzitutto occorre precisare che già di norma al Sud si paga meno e si mangia di più. Per filosofia di vita e default. Paragonare una “normale” trattoria alla formula sicula è un errore di valutazione madornale. Ripeto: Madornale.

Ma qual’è la regola per scegliere una buona trattoria considerato che in Sicilia su venti esercizi commerciali la bellezza di duecento offrono cibo? Se la proporzione matematica vi sembra strana siete in errore. Qui in Sicilia niente è come sembra. Noi siciliani saremmo capaci di infilare una rosticceria dentro una farmacia. Ci sono angoli dove si vende cibo pure nelle catene di abbigliamento. Teniamo moltissimo al cliente, noi. Se durante lo shopping un appetito improvviso ti fa collassare? Come puoi riuscire a sopravvivere senza un arancino di emergenza?

La regola suprema per scegliere una buona trattoria (e in effetti “un buon locale in generale”) è la: confusione.

Calma calma vi vedo confusi (e come potrebbe essere diversamente se a spiegare sono io?).

Prendiamo carta e penna e scriviamo, per favore che questo è un passaggio importante. Il Siciliano basa tutto sull’affluenza della gente in un locale seguito chiaramente dalla qualità dei prodotti. Vi sono delle vere e proprie “vie delle trattorie”. La più affollata è sicuramente la migliore o quella appena aperta e destinata alla solitudine e oblio. Quella accanto vuota scomparirà nel giro di pochi mesi. Perché vi è un riflusso continuo e persistente. Essendo la qualità davvero alta, tolti pochissimi casi in zone “particolari”, è un riciclo e un reinventarsi continuo. Una delle più famose trattorie di Catania offre la carne che ahimè (ahimè gigante) è molto in voga da queste parti: la carne di cavallo. Orrore e raccapriccio. Non mi dilungherò moltissimo su questa barbarie perché in effetti per me la differenza che intercorre tra un pollo-gatto-serpente-cane-cavallo è minima e se un giorno mai dovessi mangiare il vitello non vedo perché dovrei fare tante storie se in Cina mi offrissero una fritturina di cane con contorno di budella di gatto (sempre carne è). Fatto sta che qui a Catania quella di cavallo è la carne tipica per eccellenza; pullulano le trattorie sì ma non certamente rivolte a questa tipologia di carne bensì al *rullo di tamburelli siculi e maranzanu* pesce. Tadannnnnnnnnnn.

Ecco. Chi ha l’idea di un antipastino fresco con la fritturina di calamari, due vongolette, un’ostrichetta, una porzioncina minima di risottino di mare annaffiato da prosecchino e una grigliata mista con pezzotto di spada, due gamberoni tristi e un calamaro intero può pure andare a vergognarsi nell’angolino buio. Quello che per “l’italiano medio” nella trattoria di pesce è un bel pranzetto luculliano per un siculo è INDECOROSO e VERGOGNOSO.

Perché? Sempre carta e penna eh. Appuntiamo che è importante.

Non lanciatevi a proferire “antipasto abbondante” così come non vi venga mai in mente di dire a un siculo “abbondante per favore” in riferimento a una qualsivoglia porzione. Quello che per te è abbondante per il siculo è una micro-schifezza-piccoladataccagni, intesi?

Se l’antipasto ufficiale in una trattoria media sicula prevede ottantacinque portate di micro porzioni (secondo standard isolani micro porzioni, per il resto d’Italia: porzione per quattro persone affamate) nella variante “abbondante” potete pensare di far sposare vostra figlia e invitare pure la settima generazione. Un banchetto è quello che vi si parerà davanti.

Ma cosa si mangia come antipasto in una trattoria siciliana? Uff. Niente di che. Figuriamoci. Di base è chiaro che un pezzotto di parmigiana e una bella ciotolina di caponata non ve la toglie nessuno. Poco importa che nella parmigiana ci sia il prosciutto e l’uovo che cozzano un po’ con i bianchetti fritti e marinati nel limone. Da che mondo è mondo la caponata e la parmigiana s’hannadamangià (colpo di napoletano).

Parmigiana, caponata e insalata di mare. L’insalatina di mare è immancabile come l’insalata di riso. La prima prevede tutti gli abitanti conosciuti e non del mar Mediterraneo mentre la seconda include wurstel, vegetali, tonno e otto tonnellate di maionese giusto per mantenersi leggeri. E’ riso, mica pasta! Bisogna ricordare che per un siculo, soprattutto se catanese, mangiare un’insalatona di riso dà assolutamente diritto a una porzione abbondante di pasta. Perché? semplice.

Perché nell’immaginario comune l’insalata di riso è leggera. E’ una sciocchezza che occorre solo per aprire una piccola voragine nello stomaco e darci sotto con le vere pietanze. Un apri pasto. Uno stuzzichino.

Ricordo che all’epoca in cui facevo parte anche io della fazione “abbuffati selvaggiamente e mangia pure i piedi del tavolino dopo averli arrotolati nella porchetta” avevo questa immagine di leggerezza quando affondavo cucchiaiate di insalata di riso con la maionese. Del resto era riso e verdurine. Sì d’accordo c’erano solo tre barattoli di maionese ma contando che erano solo vegetali e riso che importanza avrebbe avuto se a seguire c’erano otto tranci di pizze, due primi abbondanti, un secondo e contorno, dolcetto e cannoli con un po’ di cassata e paste di mandorle?

Oh non vorremo mica morire da fame, eh.

L’antipasto della trattoria sicula quindi può tranquillamente sfamare un intero villaggio turistico all’ora di punta quando tutti tornano dalla piscina con canotti gonfiabili, bimbi con i braccioli di topolino e signore con il tatuaggio trasferello indelebile con i glitter che tanto si porta quest’anno. Parmigiana, cozze gratinate, primo sale con cipolletta annegato nell’olio extra vergine d’oliva, tripudio di pizzettine e assaggi di arancini. Un po’ di immancabili olive “cunsate” ovvero condite sino ad arrivare a pezzotti di salumi e fettine (fettine eh) spesse otto metri di salame, salame di cinghiale dei nebrodi, frittelline di finocchio selvatico e calamari fritti. Sì i calamari fritti. La classica fritturina di calamari che voi nella penisola prendete come secondo piatto qui nella stessa medesima quantità (se non leggermente aumentata di qualche chilo) fa parte del corredo: ANTIPASTO.

Non bisognerà stupirsi quindi di tutta questa esagerata generosità delle trattorie sicule. Sappiate che è lo standard minimo di sopravvivenza. Se avrete l’opportunità di visitare il locale con un siculo avrete difficoltà a rifiutare le patatine fritte come contorno del secondo piatto. Quando arriverà un vassoio  di due metri largo settanta centimetri con un sarago di tre chili, una tribù di calamari e centosettantasette chili di gamberoni imperiali. Perché dopo ci saranno la zuppetta di cozze di Messina giusto per gradire e un po’ di telline che non fanno mai male e sono leggere.

Dopo un’antipastino leggero e due varietà di primo che a volte cozzano terribilmente (tipo pasta alla Norma. Che la ricotta salata col gamberone a chi possiede un minimo di regolarità intestinale potrebbe far male) con la tipologia del secondo, è normale che si chiuda con qualche frutto di mare. Lo dice la parola stessa. Frutto di mare.

Un po’ di ananas per stare leggeri dove vi verrà rifilata una palla di gelato che lo vogliate o no. Perché è un po’ come chiedere fragoline. Ecco in Sicilia se chiedi le fragoline, in abbinato e di default c’è una palla (del peso complessivo di 700 grammi) di gelato alla vaniglia o al limone.

Se dopo l’esperienza “alla buona” nella trattoria sicula vi verrà chiesto “seltz al limone?” tenetevi pronti.

Il siculo è convinto che il seltz al limone faccia digerire e che da quel momento si possa ricominciare. E decidere dove andare per cena.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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