Ricette Vegetariane e Vegane

San Carlo dal 1973

 

E’ incredibile come cercando di estraniarsi e immaginando di sedersi davanti a un tavolo i tasselli di questo puzzle sembrano formare un quadro che disegnato lo era già. E’ incredibile tanto quanto entrare in un ascensore e sentirsi dire che il 12 è un numero importante per il San Carlo, tanto che l’inaugurazione della  nuova formula avverrà proprio il prossimo 12 Settembre, che ho scoperto poi essere data di fondazione, avvenuta per l’appunto nel 1973.

(attualmente il San Carlo dal 1973 è collocato in un temporary store – sempre in Via Lagrange –  perché nella sede storica sta avvenendo una ristrutturazione e molti cambiamenti innovativi essendo sempre in continua evoluzione e ricerca. Ed è lì, all’interno del nuovo strepitoso temporary store che sono stata ritratta  -emozionata/imbarazzata a dir poco)

Prima le Pastiglie Leone, che sono le prime caramelle mangiate con il Nippotorinese. Poi tutto quello che è avvenuto legato alla Città Magica e alla Presentazione del Libro senza Libro e adesso: San Carlo. Il primo luogo dove ho creduto di poter entrare “quando sono diventata donna” (leggi: durante la fase del dimagrimento e post). Ma procediamo con calma.

San Carlo dal 1973 non ha certo bisogno di presentazioni nel territorio piemontese (ma anche nazionale eh), soprattutto da me. E’ pur vero però che chi non frequenta molto l’ambiente della moda e la Signora Italiana (Torino, sì. Mi piace sempre chiamarla così in quanto la rispecchia in toto) potrebbe non sapere che (in quel caso botte sulle manine):

Si tratta di un’istituzione. Nonostante Milano sia la Capitale della Moda si vocifera che le Signore milanesi si vestano a Torino; nonostante il mio amore smisurato nei confronti dell’ Augusta Taurinorum, c’è da dire che crederlo proprio non è difficile. Mi si perdonerà questo campanilismo atipico considerato che sicula sono, ma Milano non è riuscita a togliermi quell’idea “del nord” che stupidamente “uno del sud” ha (la conosco poco però e  riconosco il mio limite. Rimedierò). Al contrario Torino ha spazzato via tutti i luoghi comuni e le credenze e mi ha fatto capire che non solo il Po in alcune stagioni è anche molto più bello del mare ma che la nebbia, il tempo gelido e nove gradi una sera di maggio davanti a Palazzo Madama rappresentano un sogno e non un incubo.

Ho girato un po’ per Milano ed ad attrarmi è stato tutto e niente. Incuriosita forse dalla mobilità e freneticità; mai mi sono fermata per osservare l’eleganza e l’irrazionale sensazione che le lancette tocchino dei numeri inesistenti fermi nel tempo. Come al contrario avviene costantemente con la Signora.

A Torino tutto appare senza tempo  e ti ritrovi a voltarti per ammirarne l’essenza di questa eleganza eterea e avvolgente.

Ho parlato  delle “madame” torinesi che mi hanno affascinato e segnato, fino allo sfinimento. Di come possano sembrare disegnate da un illustratore francese come accade in Belleville. Ho mostrato foto di donne con cappello a falde larghe aggirarsi per Via Lagrange e abiti che in un altro contesto avrebbe rasentato il surreale ma che in quello concretizzavano un sogno, come se si fosse immersi nella prima scena di A Colazione da Tiffany mentre Audrey addenta il cornetto.

E il taxi giallo va via

(Perché non è tanto Torino a sembrarmi una Parigi piccola ma quanto Parigi a sembrarmi una Torino grande).

Solo che Audrey stavolta si ferma a sognare davanti alle vetrine del San Carlo. Dopo aver attraversato piazza Cln a passo non troppo svelto (perché il taxi si ferma lì, se proprio dobbiamo immaginare) e ammirato le Chiese gemelle e il Cavallo di Bronzo.

Al San Carlo ti fermi ad ammirare  non soltanto i  marchi di alt(issim)a Moda, che si possono trovare all’interno degli spazi incredibilmente immensi, ma quelli emergenti e innovativi. Non a caso tra la sicurezza di Prada e Givenchy etc ( e il Tubino di Audrey era proprio di Givenchy; del resto era la musa dello stilista francese) due anni fa mi ero innamorata del marchio Numero 10 che non conoscevo (santo cielo quanto era bella – e comoda soprattutto – quella borsa che ancora adopero nelle più disparate occasioni).

Chi mi segue anche solo da un po’ e conosce, seppur a tratti, il mio percorso sa che spigliata non sono. La perdita di ottanta chili non mi ha reso quello che non sarò mai: sicura. Non è difficile intuire quindi che con l’aggiunta di quelle decine di chili di grasso io lo fossi ancor meno di quanto meno lo sia adesso. Esistono diverse categorie di persone obese, molte delle quali (sappiate che vi amo) riescono a conciliare il proprio dilemma con raziocinio ed “equilibrio”. Per me essere obesa è sempre stato mortificazione del corpo e di se stessi. Ho sempre vestito di nero (per questo non riesco ancora a staccarmene nonostante prove su prove che mi piace definire “prove di coraggio estemporanee e limitate”) e molto incollata-accollata-mai smanicata (per questo non riesco ancora a concepire che sbottonarsi leggermente un po’ è umano soprattutto con 40 gradi all’ombra).

Per un’obesa come me quindi era difficilissimo pensare di poter solo guardare abiti alla moda come anche gli accessori. La mia mortificazione del corpo infatti non avveniva soltanto punendomi e autoinfliggendomi la pena di indossare roba orribile-nera-poco appariscente al fine di scomparire e non essere presente nella realtà che mi circondava, ma addirittura costringendomi a non desiderare cose che reputavo “esclusivamente rivolte a magre”.

Che poteva essere anche una semplice e stupida Balenciaga City.

  • questa foto meravigliosa l’hanno realizzata le meraviglie del Team San Carlo per il loro account Instagram (clicca qui)

Se Pastiglie Leone sono state, insieme ai Cri Cri (dolcetto tipico piemontese che ho inserito anche nel Kit di Sopravvivenza al Salone del Libro; che presto pubblicherò), il ricordo zuccheroso dell’infanzia del Nippotorinese che in un sol colpo mi ha raccontato la sua storia, anche questo tassello si aggiunge con mia incredibile sorpresa; definendo un consolidamento e un punto di rottura e inizio.

Quando sono entrata per la prima volta al San Carlo non avevo ancora tolto tutti i miei ottanta chili. Nonostante nessuno mai mi abbia detto “Non ci sono misure per lei” (tolta la commessa di Stefanel una volta mentre guardavo una gonna per la mia migliore amica. Poveretta aveva creduto che la guardassi per me e con acidità estrema ha sentenziato che “non può entrarti quella” facendomi piangere due o credo tre mesi di seguito) ero comunque molto spaventata.

Occorre fare una doverosa premessa al fine di non risultare completamente fuori dal mondo. Ben comprendo che la sicurezza del denaro o di una disponibilità economica possano in certi soggetti far acquistare sicurezza ma non è questo il caso. Nonostante io non abbia mai avuto problemi di tal tipo, non sono riuscita a trasformarlo in un punto di forza. E devo dire che nonostante io non sia mai orgogliosa di me questo è uno dei pochi tributi che in maniera del tutto random mi faccio. Perché papà mi ha insegnato che non è quello che hai. Ma è quello che sei. E che non occorre avere tanto denaro per contare qualcosa e sentirsi orgogliosi di sé.

Quello che ho trovato al San Carlo non è stata solo gentilezza e premura; proprio perché non ho mai rappresentato una figura “standard” di luoghi comuni relativi a un determinato ambiente sono stata “trattata” alla pari. E questo non è da tutti.

Per quanto si possa disquisire su questo fino all’infinito, voglio essere presuntuosa fino alla fine e dire che sì. Ho ragione. Il fisico conta quanto gli status symbol. Una presentazione fatta con corpo perfetto- Chanel, capello cotonato, sicurezza e trucco da copertina  è indiscutibilmente diverso da fuseaux, obesità ( sintomo della non cura del corpo , chicchesenedica) , scarpe da ginnastica, capello legato con molletta d’ordinanza e trucco schifosissimo.

Io ero la seconda sì. E al San Carlo non ha fatto la differenza. Per questo, ai tempi giurai  amore. Eterno.

Ed è per questo  che negli anni sono sempre tornata felice come nel paese delle Meraviglie al San Carlo. Moda e status symbol a parte pure per acquisti incredibilmente nanosi. Ti ricordi il  Nano Allegro?  (ne ho parlato qui in un momento molto particolare della mia vita).

San Carlo dal 1973  ha rappresentato, e lo fa tuttora,  quel confine labile che c’è tra il gioco della ( e per la)  moda  e il sogno di vedere girare carillon a Natale ipnotizzati da luci intermittenti. Un frullato di arte, divertimento e sogno. La coerenza di riuscire  a prendersi  gioco di sé non valicando mai i confini della superficialità. Con ancore di certezze e di gusto.

Ho imparato in seguito al mio dimagrimento, alla frequentazione di certi ambienti che credevo di non poter frequentare e alla scoperta di nuovi mondi che.

Che l’apparenza inganna.

Ho trascorso Trenta (e più) lunghissimi anni credendo che fosse tutto. Basando la mia vita su questa ricerca dell’ essere perfetta. Incosciamente per gli altri e mai per me stessa.

 E sono  stata puntualmente smentita. Perché al contrario ho Trovato  accoglienza e sorrisi. Nani e Carillon. In luoghi che mai avrei creduto.

Succede che su Instagram poco prima della partenza per il Salone del Libro  vengo in contatto con questo nick sancarlodal1973. Gentilissimo si complimenta con me per le foto. Io rispondo. E.

E solo dopo un po’ capisco che quel “nick” fosse quel. San. Carlo. Dal.1973. Quel.

Non mi vergogno assolutamente a dire che la commozione è stata tanta. Sempre per quel puzzle che si sta ricomponendo.  Per quella magia nella magia che si è creata.

Domenica 19 all’Hafa Cafè ( a breve il resoconto con le millemila foto) mi sono vista arrivare un’ondata di bellezza infinita. Anna, siciliana trasferitasi a Torino che lavora al San Carlo, mi ha dato il grande piacere di condividere questa esperienza indimenticabile tra Cous Cous e incontri presentandomi con mio enorme stupore le sue colleghe ed Elena, figlia della Signora Siviero (ovviamente io che sono rimbambita ho capito tutto con una differita di qualche giorno). Anna mi dice che mi segue da tanto con sua sorella. Anna mi dice che.

A me viene solo da piangere. Abbracciarla forte e dirle “santocielomaperchémileggi?!perchéseicosìbellaegiovane?! smettilasubitodirovinartilegiornate!”.

Vengo invitata al San Carlo per ritirare un regalo (è doveroso specificare che tutto il gentilissimo Team voleva farmelo recapitare a casa ma si sa: sono testarda e insopportabile e ci mancava pure che arrecassi questo disturbo!) e nonostante io sia completamente estranea a questo tipo di interazione comprendo che.

Che è un pensiero da parte di amici. Ed è proprio per questo che accetto. Con immensa lusinga.

In realtà non si trattava affatto di un semplice regalo ma di una cassetta traboccante di meraviglie che confermavano quell’impressione. Era assolutamente un preziosissimo pensiero di amici. Che ti conoscono e sanno.  Gomme, quaderni, tazze, gadget, zuccherini a forma di cuore, adesivi, oggettini insettosi adorabilmente kawaii e tech al tempo stesso, giapponeserie e.

E affetto sincero e vero. Che non credevo di meritare, come sempre.

Arrivata al San Carlo dal 1973 nel Temporary store che purtroppo non ho potuto vedere nell’interezza  perché troppo imbarazzata ed emozionata (ma conto di rimediare al più presto andando magari travestita da Sailor Moon per non farmi riconoscere. Che travestimento sobrio è Sailor Moon?) sono stata avvertita che:

“Mia mamma ti vorrebbe vedere” ( silenzio in sala. TU TU TU TU TU TU – rumore della mia tachicardia). Detto da Elena che ti annichilisce per la sua bellezza e gentilezza.

Io che avevo difficoltà già a deambulare e cercare di mantenere un contegno davanti a Elena, Anna e tutte le meraviglie che mi fissavano pensando sicuramente “ah. è questa quella pazza che disegna pupazzetti? in foto sembra giovane ma in realtà è un’attempata signora pelosa sicula” ho avuto una qual certa difficoltà a concepire che la Signora Giorgina Siviero volesse vedermi. Perché la Signora Giorgina Siviero, proprietaria del San Carlo dal 1973 è l’istituzione nell’istituzione (basta cercare su Google per capirne la grandezza). 

“Un Concept si elabora a tavolino, si pensa, si scrive e poi si struttura in un progetto. Live è invece qualcosa di spontaneo: significa cogliere spunti dalla quotidianità, sperimentarli e proporli. Perseguendo l’idea, sempre, prima del business.” (tratto da una delle innumerevoli interviste online – clicca qui se vuoi leggerla)

Quello che è accaduto durante l’incontro lo custodirò gelosamente e lo conserverò per me e per i miei ricordi.

Quello che posso tentare però di riassumere è che davanti a me è apparsa non soltanto un’icona di stile, moda e ricerca ma semplicemente :

una mamma.

Che ha capito esattamente cosa provassi e sentissi. E che mi ha avvolto una sciarpa intorno al collo dandomi un po’ di quel colore che mancava. Cercando di farmi sentire sicura di me. Facendomi sentire a casa dove credevo solo di essere ospite.

Ci sono cose che si dicono solo con lo sguardo. Discussioni silenziose, a tratti dolorose, che vengono codificate attraverso racconti e trame di camicie ricamante che vengono dall’India.

Andare al San Carlo dal 1973 con questa altra veste, perché è da quando sono a Torino che come un camaleonte divento altro e altro ancora rimanendo però sempre la stessa, mi ha insegnato che forse è vero.

Nulla è per caso.

Grazie infinitamente alla Signora Siviero (che ama la Caponatina e il gusto un po’ agrodolce. La cucinerò con la sciarpa meravigliosa di Fulvio Luparia, di cui ho avuto anche il grande piacere di conoscere l’adorabile figlia!). Grazie infinitamente a Elena, che ha sopportato la mia svampitaggine ed emozione incontenibile. Grazie infinitamente ad Anna ed ai suoi meravigliosi occhi che mi hanno fatto sentire piccola piccola e grande grande come le onde della nostra terra.

E che spero di riabbracciare presto.

E Carlo? Il Fashion Bugger in alto (altro che Fashion blogger, tzè)? Io credo proprio che su questi schermi (soprattutto su Instagram) se ne sentirà parecchio parlare. E’arrivato il momento per essere davvero seri con la divulgazione dello stile.

Quello vero.

Quello del San Carlo dal 1973

Il Sito di San Carlo dal 1973 

customercare@sancarlo1973.it

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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