Ricette Vegetariane e Vegane

Cheesecake con barrette al caramello e Pennywise

Per una teglia di 24 centimetri

Per la base: 350 grammi di frollini al cioccolato, 150 grammi di burro fuso

Per il ripieno: 400 grammi di latte condensato, 250 grammi di mascarpone, 200 ml di panna, 200 grammi di formaggio fresco spalmabile, 2 uova grandi, 5 barrette di Lion

Riduci in polvere i biscotti; sia con il mixer che chiusi in un sacchetto e colpiti da un mattarello poco importa. Fai fondere il burro nel microonde o nel pentolino senza raggiungere la cottura. Versa in un recipiente la polvere di biscotti e mischiala al burro fuso. Metti il composto come base nella tortiera imburrata e con il dorso del cucchiaio pressa per bene rendendo omogeneo tutto e risalendo lungo i bordi in modo che questa cheesecake risulti con le pareti laterali (coreografiche e pronte a raccogliere ancor meglio il delizioso ripieno).

Lavora il formaggio con il mascarpone, il latte condensato e la panna. Aggiungi le uova una alla volta fino a ottenere un composto liscio. Unisci tre barrette (che hai scelto di adoperare) dopo averle spezzettate in tutto il composto in modo da risultare omogenee su tutta la superficie della torta. Versa il ripieno sulla base e inforna a 170 già caldo per 10 minuti. Tira fuori la cheesecake e aggiungi le restanti barrette spezzettate in quella leggera pellicola da cottura che si è formata in superficie. Inforna adesso nuovamente per 45 minuti finché la cheesecake non si sia completamente solidificata. Quando la sforni non preoccuparti se all’apparenza risulta essere ancora molto molle. Deve necessariamente solidificare. Devi farla raffreddare completamente senza muoverla troppo e poi metterla in frigo almeno quattro ore prima di toglierla dalla teglia a cerniera.

I Lion, nella mia vita da bambina, mi piacevano tantissimo, forse più dei Mars, anche se i Bounty non è che fossero da meno. Uhm. Ardua la scelta ma in fondo: devo proprio farla? Solo che i Lion (come i Mars, ok dai non posso scegliere. Ma tra Biancorì e Ciocorì preferivo il primo, ecco l’ho detto) li vedo ancora nel banchetto della bidella insieme al panino con formaggio a trecentocinquanta lire e misto con la mortadella a cinquecento lire. Perché nella scuola privata dove andavo c’era proprio una sorta di spaccio con tante caramelle, panini e schifezze varie. Il Nippotorinese ogni volta a questo mio ricordo inorridisce per via della possibilità di far scegliere a un bimbo come alimentarsi durante la ricreazione; condannando soprattutto la scelta di prodotti insulsi e commerciali. Sarà che sono diventata antipatica quanto (e più) di lui ma a ben pensarci adesso trovo anche io assurda la cosa. Fatto sta che non vorrei tanto focalizzarmi su ciò che si diventa ma su quello che si è vissuto, si è e disgraziatamente, per certi versi, si dimentica. Nulla togliendo al fatto che l’evoluzione resta di per sé anche una via di salvezza. Pennywise, il mostro del palloncino e il racconto di It che non è soltanto un libro fatto di angoscia e di terrori infantili semplici come quelli di un naso rosso che può essere un clown. King racconta qualcosa di ben più profondo a ben guardare e scava verso radici importanti sociologicamente e psicologicamente. Fermandosi alla storia, che può apparentemente apparire banale, si sminuisce la visione complessa in sé. Mi ha sempre colpito questo suo analizzare, come molti scrittori del resto, il tempo attraverso i mostri infantili che ritornano. La figura del clown Pennywise e dei luoghi dimenticati/ritrovati/forzatamente rimossi esalta in maniera netta quello che succede a noi adulti. Quello che mettiamo da parte, ma solo in cassetti facilmente apribili, e che ci sforziamo di non voler vedere più. Nascondendo il tutto con la sopravvalutata razionalità.

Ritornare nei luoghi da dove si viene è un passaggio onirico a tratti devastante. Per chi “diventa adulto”, intendo. Per chi “resta bambino” ogni pozza, fossa, tombino nasconde segreti. Se corro dietro alle lancette ricordo di essere seduta tra due statue di leoni. Erano quelli che portavano al boschetto di Padre Giuliano, la scuola in cui andavo. Nel boschetto si vociferava ci fossero i mostri la notte e che succedessero cose brutte. Era pericoloso anche andarci durante la ricreazione. Soprattutto le bambine dovevano stare ben attente. Ero praticamente l’unica (nonostante tentassi di trascinare la mia piccola migliore amica di un tempo) ad attraversarlo estasiata nella speranza di vedere questo mostro. C’erano delle scale, un campo da tennis e un agrumeto. C’era la mia voglia di disegnare quel bosco di notte. E di vederlo. Tra quegli alberi poi ci sono cresciuta e ho inventato storie. Ho girato un horror con la telecamera di mio papà quando allora la telecamera era una roba grande sette chili e ho ambientato anche scene del mio primo piccolo romanzo dal nome Capelli.

Per me è quotidiano andare a esplorare quello che sono stata e che in fondo sono rimasta. Ho sempre paura di chi non ha paura di essere diventato grande, o per meglio dire, di essersi dimenticato del potere che ha la mente quando si è bambini. Penso spesso a quando sarò mamma e al fatto di non poter mai mentire al mio piccolino semmai mi dicesse che ha visto un mostro sotto al letto. Perché io quel mostro continuo a vederlo. Sentirlo. Soprattutto quando mi alzo di notte e poi ritorno a letto. Mi piego poco poco per vedere sotto. E non mi vergogno a dire che molte volte glielo dico proprio.

Lo so che sei lì.

Come è rimasto lì Pennywise. A tormentarmi e volermi offrire un palloncino. Come questo sia diventato simbolo della morte più angosciante che la vita mi ha mostrato. Come quei mille palloncini che sono volati in cielo nell’ultimo addio a mio papà mentre gridavo tra il silenzio delle persone che guardavano me e mamma “Ciao Turi”. Io lo voglio sempre un palloncino Pennywise. Perché credo fermamente che il confine tra il sogno e il mostro è un posto dove bisogna stare in equilibrio per vivere. Soprattutto i ricordi. Perché checchèsenedica il mio futuro è quello.

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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