Ingredienti
- 300 grammi di farina
- 1 cucchiaino e mezzo di lievito in polvere
- 150 grammi di zucchero di canna
- 80 grammi di ciliegie essiccate
- 90 grammi di pistacchi sgusciati e tritati
Raccogli la farina con il lievito e lo zucchero all’interno della planetaria. Aggiungi le uova fino a quando l’impasto non diventi un tutt’uno. Se non hai la planetaria niente paura. Puoi lavorare chiaramente tutto a mano impastando per bene e infarinandoti eventualmente le mani. Aggiungi infine i pistacchi e le ciliegie e continua a lavorare con la planetaria o con le mani. Una volta ottenuto un impasto omogeneo infarina per bene la superficie e ricava dei rotolini. Puoi decidere tu chiaramente la grandezza, altrimenti orientati con una sezione di sei centimetri circa come ho fatto io. Poggiali su carta da forno o su teglia imburrata e fai cuocere massimo 25 minuti a 180 già caldo. Saranno sicuramente ben dorati per allora e quindi toglili dal forno e lasciali riposare per 10 minuti affinché rassodino un po’. Tagliali quindi a fette abbastanza alte di un centimetro e mezzo e rimettili nuovamente sulla teglia per farli cuocere almeno altri dieci minuti. Fai raffreddare come sempre prima di servire.
Ero lì su twitter e ho cominciato a costruire case con finestre di luce e buio e pareti di biscotti non eccessivamente sbriciolabili. Non sono di molte parole in questo periodo e non necessariamente per l’umanità questa pare essere una brutta notizia. Tutt’altro, no? Sarà che ne spendo troppe per cose noiosissime e altre di insolita bellezza ma è uno di quei periodi, che raramente mi capitano, in cui ho la necessità di esprimermi più con immagini che a parole. I cantuccini sono biscotti apparentemente duri e solidi, di quelli che gli anziani con la dentiera per capirci porgono la mano in avanti e dicono no grazie. Poi qualora fossero impavidi e li provassero troverebbero una tenerezza e friabilità commoventi. Palazzi alti, forti  e apparentemente coraggiosi pronti a sgretolarsi a un piccolo e delicato morsicino.
Mi sento anche io così, sapete? Come una che deve essere un cantuccino. Di sostanza, compatta e dura. Mai come adesso le responsabilità e quello che mi viene richiesto mi hanno incollato sulla faccia e sul cuore un’immagine talmente distante da quello che sono, capace di distrarre pure me. Non vorrei tornare più una bimba con le spalle coperte, ma di certo vorrei dimostrare a papà che nonostante dentro sia una ganache molle pronta a squagliarsi immediatamente riesco a essere uno stramaledetto cantuccino. E non contenta riesco a costruirmi intorno corazze, finestre, tetti e camini.
E’ l’ennesimo periodo di metamorfosi. Lo sento. Arriva così. Senza bussare. Entra e irrompe.
In questi ultimi sei anni ho dovuto essere uno, nessuno e centomila. Abitare in corpi a me estranei, fermo restando che mai uno lo sia stato: mio. Assecondare il destino, fermo restando che non abbia mai creduto esistesse. Combattere contro i mostri paurosi e le paure che al solo pensiero mi facevano vomitare verde. Eppure nonostante tutto continuo a impilare cantuccini e improvvisarmi muratore della mia anima.
E’ quella sensazione di cuore in gola. Quando la testa gira e i capelli si attorcigliano nel vento e chiudono occhi e bocca. Perlomeno ho smesso di mettere gli ugg e sono ritornata ai tacchi, segno di riconosciuta  e rivoluta femminilità . E’ il trasformismo di diventare biscotto e donna con scarpe da grandi e rossetto rosso. E’ un continuo carnevale di dolore. Conto i giorni al 15 Maggio. Mi dico che troverò motivi per sorridere ed essere degna e unica erede dell’anima che fa ancora ricordare meraviglie a chiunque incontri, ma la verità è che.
La depressione, seppur termine amato-gettonato-idolatrato, è uno di quegli incontri già fatti. Di quelli che ti fanno esclamare con non troppo stupore: Toh chi si rivede. E riecheggia “sei troppo sensibile, amore mio di papà ”. Me lo dicevi sempre quando in un angolino disegnavo e piangevo. Perché non mi sentivo capita dalle amiche. Perché dicevo che io non mi sarei mai comportata così. Perché nella vita non avrei mai concluso nulla, considerando che qualunque cosa di me fosse ovviamente sbagliata.
L’evoluzione della depressione esiste, però. Ti rendi conto che alcuni passaggi fossero errati ma sorprendentemente ne trovi altri. Cambia adesso, al contrario di tutte le altre volte, che non mi pongo un limite costringendomi a ragionare per assiomi che poi si scoprono non essere tali. Cambia che se devo fare una mansarda abusiva non sto lì a cincischiare su piani regolatori, approvazioni e inquinamento ambientale visivo. Riesco a concepire solo concetti semplici quali: ti piace una mansarda di ciliegie e pistacchi rinforzati sulla testa? Sì. No. Avanti.
E non mi preoccupa più nulla. Ci sono stata tanto tempo ma ce l’ho fatta. E’ davvero questa la mia vita. Un continuo trasformarsi, evolversi e mai vestire le stesse maschere.
Come papà sono libera. Sono acqua e lava. Sono cantuccino e ganache. Sono uno, nessuno e centomila ma non importa. Perché ogni volta che tento di ritrovarmi mi perdo ulteriormente. E da ogni perdita non ottengo mai sconfitte ma solo nuovi traguardi.
Cosa sto dicendo? Provateli.
Sono buoni questi cantuccini.