Ricette Vegetariane e Vegane

Ti presento i miei ma prima ti porto nel mondo di Totoro

Lui ha un gatto e io un camper. Io ho una nonna convinta davvero di voler finire in un vaso sopra il camino di casa mia. Lui ha una dottoressa e un ingegnere per genitori ed io una bambina bizzarra e un eroe indisciplinato.

Lui era un bambino indisciplinato che organizzava scorribande in bicicletta tra le campagne astigiane ed io una bimba finta davanti al televisore che apprezzava le telenovela venezuelane. Topazio, in primis. Lui non ricorda il suo primo giorno di scuola mentre io ogni esatto secondo. Pure che le lettere ricamate sul mio asciugamano fossero sbagliate. Lui ha pochi ricordi mentre io faccio fatica a smistarli. Lui è cresciuto tra montagne e campagne immerso nel verde tra avventure di terra ed io a mollo andando giù e su dal mondo sommerso.

Lui è andato dalle suore e non ne ricorda una e io rimembro anche il nome della cuoca e che il giovedì ci fosse riso al forno con la salsa. Lui leggeva agatha christie mentre io ritagliavo i giochini di poochie. Lui giocava con i lego ragionando sul pezzo successivo mentre io li disegnavo e mettevo abitanti dentro dando loro vite e storie. Lui leggeva gialli e io scrivevo le mie prime righe “capelli” (una sottospecie di storia noir con un serial killer che tagliava i capelli. Avevo 8 anni).

Lui era su. Io ero giù.

Sono passati sette anni da quando ci siamo conosciuti e mentre per lui è stato automatico rivivere il mio passato per me nettamente il contrario. Vivere nel luogo che ha visto il tuo primo vagito fa necessariamente trapelare ricordi, sensazioni e considerazioni. Questo, escludendo certamente il carattere-indole-predisposizione, ha fatto sì che io non avessi alcun problema nel tirar fuori dal cilindro, oltre che conigli, il mio passato tutto. L’ho spesso rimproverato del fatto di non essere dettagliato come me. Che fosse assurdo non ricordare cosa servissero il giovedì al collegio della scuola o come fosse composta la fila di banchi all’asilo. Più volte mi sono stupita su quanto pazzesco fosse non ricordare “una giornata tipo” dalla mattina sino alla sera scandagliando minuto per minuto le lancette.

E’ stato difficile comprendere che i ricordi, le esperienze e le sensazioni sono un bagaglio riempito in maniera completamente diversa per ognuno di noi. Che la mente può registrare una sovrabbondanza di inutilità perchè magari si è in una condizione piuttosto che in un’altra. Pur non essendone sicura credo che l’abissale differenza tra me e lui, escludendo la predisposizione genetica, sia proprio nel fatto che lui avesse “una vita normale da bambino” mentre io l’esatto contrario. Nonostante per trenta anni mi sia disperatamente aggrappata alla sensazione che io davvero non volessi una sorella o un fratello, oggi potrei addirittura contraddirmi. La solitudine che è stata mia migliore amica per anni e che ho cercato e disperatamente voluto sempre, è stata ed è uno schermo per tutelarmi. Incosciamente è stato più facile costruirmi un mondo che non mi ferisse piuttosto che vivere in quello a disposizione. Il fatto che io abbia perseguito anche il secondo obiettivo e ne sia venuta fuori esattamente come sospettavo è un approfondimento che non mi va neanche più di trattare. Del resto le perdite di tempo vanno accantonate (meravigliosa razionalità).

In questi sette anni ho potuto raccogliere davvero pochissime notizie di lui e del suo passato. I picchi si sono raggiunti proprio durante i nostri soggiorni a Torino. Stupefacente è entrare alla Rinascente e sentirsi dire che “lì mangiavo tantissime caramelle il sabato pomeriggio” o mentre acquisti un vestitino con il trenta per cento di sconto in un negozio a te sconosciuto “beh ma Frav a Torino è famosissimo per le magliette. Guardare la fontana dei dodici mesi al Valentino e immaginarlo con la bici fare acrobazie con i suoi amici o saltare su e giù per la scacchiera gigante al Parco Ruffini e vederlo materializzare vicino al chioschetto del siciliano dopo una partita di calcetto, mi  fa infilare dentro il mio bagaglio di ricordi anche i suoi.

Catturo attimi che immagino facendolo diventare oleogrammi davanti a me. Ad una distanza davvero minima, suppongo tre metri non di più. Li elaboro e cancello se non mi convincono e poi lì infilo proprio dentro quel bagaglio che ha una forma indefinita. Mischiandoli ai miei e cercando parallelismi. Per questo mi occorrono date e mi arrabbio perchè non vengo accontentata. Mi piacerebbe tracciare un esatto percorso come fosse un binario che colpo di scena alla fine si incontra. La sua vita a sinistra e alla mia destra. Quando io facevo questo lui faceva quello.

Quando io disegnavo la mia prima collezione da stilista affermata all’età di nove anni, lui stava leggendo Assassinio sull’Orient Express. Quando per me era il periodo dei pop corn dentro il gelato, lui mangiava l’insalata con le zucchine. Quando io decidevo di non andare più all’università, lui si era già laureato.

Linee non troppo rette che viaggiano in un asse di tempo definito pronto a finire dentro un bagaglio di ricordi. A ben pensarci tutto tornaa tra partenze, arrivi e percorsi.

Tutto quello che è stato di questi sette anni insieme è finito esattamente il dieci luglio del duemilaeundici.

La stazione finale ci ha visto scendere con tutti i ricordi aggrovigliati alla meno peggio e finire dritti dritti allo Scannabue di Torino.

Chi è Scannabue?

Fonte: “Si circonda da libri e da animali esotici, ha 75 anni, una gamba di legno, la sinistra, il labbro inferiore ferito da una sciabolata. Porta il capo coperto d’un turbante, indossa una lunga zimarra foderata di pelliccia, un gran paio di mustacchi, una scimitarra sul fianco e passa il tempo ad arrestare la moltiplicazione degli scimmiotti castrandoli, e, i sopravvissuti, li battezza con nomi di poeti o prosatori moderni.

E’ un uomo che si ribella al sistema e ad un mondo che non gli rassomiglia e a cui lui, benché meno, si sogna di rassomigliare.”

Il Caffè Restaurant Scannabue si trova in largo Saluzzo nel quartiere che i piemontesi definiscono San Salvari, San Salvario; proprio vicino alla stazione Porta Nuova si è proprio al centro della città. C’è una calma a tratti bizzarra oltrepassando la piccola piazzetta adiacente ombreggiata da alberi che fanno da sfondo a terrazze di palazzi storici che è superfluo definire sublimi. Entrando è difficile non intuire sin da subito che sei finita davvero in un gran bel posto. Pensi ad un bistrot in chiave moderna dove servono vera cucina piemontese.

Con i suoi divani alla maniera del Chester neri strapieni di bottoncini. Puoi accomodarti lì e guardare fuori la sorprendente Torino che mai frenetica è e men che meno in questo caso. La carta dei vini è sorprendente e quando leggi che per  “i formaggi chiedi a noi” non puoi che abbozzare un sorriso; sarà poi lo stesso che ti accompagnerà per il resto della permanenza allo Scannabue di Torino.

Come si fa a non prendere i Tajarin con il pesto di pistacchio e i pomodorini? Tagliatelle con funghi porcini nostrani, gnocchi con crema di salsiccia e ricotta, tagliolini neri con cozze e vongole. La battuta di carne fassone, l’immancabile vitello tonnato e il tonno di coniglio.

Troviamo i genitori di lui già seduti mentre un’afa opprimente scompare con un leggero venticello. Mentre ci chiediamo se la temperatura fosse direttamente proporzionale al nostro stato di agitazione, avviene l’incontro. La mamma, bambina viziata e papà, eroe indisciplinato, si presentano. Tra strette di mano e baci tipicamente da approccio meridionale, contravvenendo ad ogni regola del sud  che pretende siano i genitori di lui ad andare nella dimora di lei, nel nostro pieno spirito ribelle avviene l’incontro. Siamo nel posto adatto mi dico. Come Scannabue anche noi non vogliamo rassomigliare al sistema e al mondo circostante. Non abbiamo la benchè minima intenzione di rassomigliarci.

E mentre il mio papetto siculo fa i conti per la prima volta con il vitello tonnato mentre si parla di finanziera piemontese, ricordi di viaggio e deludicazioni riguardo “perchè si chiama tonno di coniglio?”, faccio quasi fatica a registrare tutto. Tutto quello che verrà messo dentro il mio bagaglio di ricordi ormai in comune con lui. Lo stesso che svuoterà poi nostro figlio, semmai lo vorrà.

Ci ricorderò per sempre chiusi nel bagno dello Scannabue. Mentre mi bagno i polsi come si fa per un aumento repentino della pressione, ti guardo fissare lo specchio e chiedermi “come stiamo andando?”.

“Suppongo benissimo. Si capiscono quando parlano. E’ già tanto, no?”

Ci saremmo capiti anche parlando creolo e aramaico. Nulla vi era intorno se non la consapevolezza che questo momento sarebbe dovuto arrivare. Il frullato di imbarazzo è svanito mentre si cercava di essere semplicemente quello che si è. Sorridendosi talvolta con quell’espressione che fa un po’ “èdifficileancheperme”.

Lo Scannabue, il palazzo di fronte e il muoversi delle foglie. Quel ragazzo seduto su una panchina che fissava e la risata della ragazza seduta dietro di me. Le mie ottime verdure grigliate preparate con cura per non farmi sentire in imbarazzo e il disquisire sull’origine della parola burnia. Mamma che fa la scarpetta nella salsa tonnata del vitello dicendo che “e mica la posso lasciare lì”, contravvenendo a qualsiasi forma di galateo.

Sentirsi a casa. Con la propria famiglia e rimanere stupiti che il tris di nocciola comprende una panna cotta esilarante servita con una mini cake delizioso. C’è pure la Tarte Tatin e la promessa di rifarla insieme alla Socia, mia cognata.

Scannabue , il dieci luglio e tutti i piatti che sono stati presentati li metto dentro il bagaglio dei ricordi per non farli uscire più. Alcuni li ho cucinati non appena sono rientrata a casa. Con la voglia subito di rivivere quel momento. Il gusto non è certamente all’altezza ma dico che ho tutta la vita per imparare e migliorarmi. E se l’immagine di noi allo Scannabue tra qualche anno, con un passeggino parcheggiato lì mentre un bimbo piange è quello che mi auguro di più, mi rimarrà per sempre la sensazione del tempo che si ferma.

E ti dà giusto il tempo di capire che.

Era esattamente così che doveva andare.

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Le ricette che presento oggi fanno parte delle pietanze scelte dai commensali della mia famiglia il dieci luglio, per l’appunto. I secondi piatti ad essere precisi. Per i primi ci sarà post apposito (santo cielo vogliamo non parlare fino allo sfinimento dei Tajarin con i pomodori secchi? ).

Il Tonno di Coniglio per ragionevolissime ragioni (oh. quello mai. Non ce la faccio proprio) è stato sostituito con del petto di pollo biologico morbidissimo e per nulla stopposo. Il pollo va cotto all’interno di una burnia immersa in acqua bollente con giusto qualche spezia che possa dargli sapore o come ho fatto io mettendo della salvia e della menta freschissima. Servito poi a tocchetti con della valeriana, un filo di olio extra vergine di oliva e sale. Il Vitello Tonnato non è poi così elaborato e la salsetta presa da un ricettario piemontese acquistato da Eataly è risultata davvero ottimo tanto da andare a ruba ed esser finita anche sui crostini caldi. Infine l’albese, altro non è che un carpaccio di vitello finissimo, servito con del castelmagno grattugiato sopra. Filo di olio e via. Davvero ricette semplicissime da realizzare e sfiziose dove occorre soltanto una cosa: acquistare buonissimi prodotti locali. E basta più.

Update su Project12. 

Su Kodomoland si è ripreso a spadellare perchè la pausa estiva è terminata mentre il progetto Cupcakeland & Muffiland parte ufficialmente. Fashion Eater  sembra avere finalmente delle basi. Garden Gnome inoltre ha delle parti interamente in costruzione e presto ci saranno sorprese e novità. Compresi dei giveaway per i più piccini e non solo. Oggi lavorerò su Rabbitland, Kokoroland per poi ramazzare al suolo con due decimi di vista.  Amen.

Il template del Gikitchen infine è in pieno restyling per questo autunno imminente e quindi qualcosa nelle prossime ore potrebbe non fuzionare (come sempre: cervello a parte).

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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