L’importanza di ” Se io fossi un angelo” l’ho scritta lo scorso anno qui e in altri fogli virtuali di questo baule straripante di ricordi.  L’importanza del suono e delle parole di Dalla che mi ha sempre invitato, come il mio papà del resto, a prendermi cura degli angeli. Perché sono milioni di milioni. Come concetto. Come idea. Appartiene con i suoi cappelli e la sua barba al mio iperuranio.
Avevo diciotto anni ed ero ferma ad un semaforo. Città di Catania. La mia macchina era un piccolo fuoristrada bianco. Avevo il tettuccio aperto e guardavo il cielo pensando che quella finestra fosse un regalo, l’ennesimo del mio papà , che mi permettesse di sognare e gustarmi i disegni delle nuvole. Non ricordo esattamente cosa sentissi alla radio ma al contrario ricordo precisamente i suoi occhi. Mi sono voltata e sulla sinistra c’era una macchina decapottabile sportiva color oro. No. Non sembrava oro. Era proprio una macchina color oro. Lui aveva un cappello, credo di cotone e non lana, coloratissimo e la barba. Io avevo dei fuseaux neri e una maglia nera. Niente cappelli ma nella borsa del cioccolato, e tanto dolore.
Lui mi ha guardato e ha sorriso. Poi è sfrecciato via. Lasciandomi un po’ così. Con il finestrino abbassato mentre qualcuno suonava il clacson  perché sì era già verde. Era il sorriso di “sì sono io”. Era il sorriso di Lucio Dalla. Non è  mai stato difficile vederlo qui avendo proprio una casa sotto le pendici dell’Etna ma a me è accaduto solo quella volta.
E’ stata la domenica Lucio Dalla. La domenica in un sedile posteriore mentre mamma si voltava e mi sorrideva.  E papà guidava. Si andava al mare. Si andava in montagna. Si andava in collina. Si andava ovunque e come sottofondo c’era lui. Che scrivesse ad un amico o che fumasse una marlboro era lì. Come era lì  per tutti i miei inizi dell’anno a dirmi che l’anno che verrà . Ho sempre finito e cominciato con lui. Ho sempre ascoltato seppur mai venerato, ma voluto bene sì. Non mi vergogno a dire che voluto bene, sì. Il suo garbo e  schiettezza, mentre  il 4 Marzo involontariamente gli ho sempre dedicato un pensiero; come se a fare il compleanno fosse un vecchio amico lontano che non senti da tempo ma che vorresti chiamare solo per dirgli “Auguri”.
Il primo incontro a Catania e l’ultimo a Torino in una bizzarra coincidenza. Non avevo dolori in borse ma sorrisi e mangiavo una granita. Non ero dentro una macchina protetta a guardare il cielo ma all’aperto in mezzo alla gente e con un un cucchiaino da affondare in un paradiso di cocco. Senza vergognarmene. Libera. E lui altrettanto. Libero con il suo amico De Gregori sopra un palco e dietro di lui il Palazzo Reale. Le prove del pomeriggio per il concerto imminente. Seduto al piano parlottava e rideva. Ed io con lui. E’ stato lì che per l’ennesima volta ho raccontato al Nippotorinese di ” quella volta della macchina color oro”.  La sua collanina e il suo frac argentato. Il suo balletto “attenti al lupo”. Il suo berretto e la camicia perennemente sbottonata. Atrocemente insopportabile ma a lui l’ho sempre perdonato.
” Balla sul cuore malato”. E io Lucio ho ballato sulla piazza sentendoti cantare. Non ero più ferma al rosso di un semaforo imprigionata.
Se io fossi un angelo è la canzone mia e del mio papà . Su questa poesia c’è l’insegnamento di tutto quello che ha voluto trasmettermi affidandosi alle parole di un grande paroliere e poeta. Ho capito quanto contasse per me ieri. Mischiando, come mai mi era successo la mia realtà al mito. L’ho capito quando ho  acceso le casse. Cantato con la mia orrenda voce. E pianto. Come si fa solo per un vecchio e caro amico a cui hai scritto una vita. Inconsapevolmente. Io so che gli angeli sono milioni di milioni e non li vedi nei cieli ma tra gli uomini. Sono i più poveri e più soli. Sì. Sono i più poveri e i più soli. Ed adesso che c’è Lucio potranno tutti fumarsi una marlboro; e confesso la fumerei pure io.
Un’ondata di cioccolato si sta abbattendo qui, e dopo la cheesecake chenonèunacheesecake con sciocolatculanttt ( ma perché ieri nessuno mi ha detto che la grafia giusta fosse questa?) di ieri è la volta di riesumare il Pain d’ èpices ma non nella versione classica bensì *rulloditamburi* al cioccolato. Ricetta velocissima e semplice più breve delirio sono stati pubblicati su Style e basta cliccare qui >>>
E questo giusto per rassicurare il popolo del web. La mia incessante attività di inondare  (con  idiozie in versione terabyte)  il web, continua inesorabile. E inarrestabile.
E gli appunti in cucina  di oggi? eccoli qui.
Dopo una ventata taoista sto mischiando questo frullato cioccolatoso preoccupante che no; non terminerà a breve. Basta mettersi il cuore in pace, inspirare-espirare e dire “celapossiamofarcela”.
Tra gli innumerevoli regali che mi sono stati donati da Cey e Fab, alcuni dei quali provenienti dal Giappone (uno su tutti la presina da cucina di Totoro. Roba che poteva pure venirmi un colpo per la felicità ), c’era questo pacchetto di conchigliotte al cacao. Il Nippotorinese già dallo scorso anno minacciava di non tradurmi più le ricette francesi se non avessi fatto saltare in padella con il burro un po’ di quei ravioloni al cioccolato tanto pubblicizzati da Rana.
Pur non essendo amante del cioccolato (a meno che non si tratti di cioccolato piemontese, Castagna, Gobino et similia) l’idea di questo primo dolce lo intrigava (sorprendentemente) parecchio. Per una serie di vicissitudini non siamo riusciti a scovare questa benedetta confezione limited edition. In compenso però tra le nostre amicizie abbiamo trovato un tipo che somiglia al signor Rana, per quanto possa valere. Ci accontentiamo di poco.
Ci ha pensato Cey a rimediare. La pasta al cacao, in seguito a ricerche sulla rete, mi convinceva pochissimo. Qualsiasi cosa trovassi e passasse al vaglio del pelato poliglotta veniva sistematicamente bocciata. Quando un giorno con acqua bollente e salata sul fuoco l’ho accolto al ritorno dell’ufficio sentenziando che.
Basta. Una semplicissima pasta al Cacao saltata con le nocciole piemontesi strabuonissime che avevamo in casa. Un omaggio al Piemonte in questo primo bizzarro se vogliamo, ma sicuramente composto da ingredienti di prima scelta e qualità . Ahem come so che sono buonissime quelle nocciole? uhm. Ne ho mangiati solo otto chili vvabbbbennnne?!!?
Non è troppo saporita ( mi dicono dalla regia) e non ha chissà quale sugo a irrorarla. Non è certamente una pasta grondante di sapori, avvolgente e casalinga. Rimane però un primo insolito e sfizioso con un distacco di gusto tra un ingrediente all’altro. Se per certi versi a me piace più l’idea dei sapori che si incontrano e amalgamano, qui questa comunione non è presente; rimane eppure un ottimo ricordo.
 La croccantezza delle nocciole con la morbidezza delle conchiglie, che aprendosi nel palato sprigionano il cacao non troppo invadente e quel burro di ottima qualità che si sforza di legare due consistenze appartenenti a mondi completamente diversi.
Un legante come panna e besciamella proprio no. Non si poteva sopportare a meno che non fosse stata opportunamente confezionata in casa. Rovinare il prezioso dono di Cey e queste nocciole, davvero eccelse, sarebbe stato un peccato mortale.
Ricetta Pasta al Cacao con Nocciole del Piemonte e Burro (Occelli, potrebbe essere un’idea perché è protagonista del piatto) : tosta le nocciole piemontesi in padella dopo averle tagliate grossolanamente. Mettile da parte. Fai bollire l’acqua, sala e butta giù la pasta al cacao. Attendi che arrivi a cottura e assaggia. Quando ti sembra al dente e quasi a cottura ultimata, scola e versala in una padella dove hai fatto scaldare una generosa noce di burro. Salta un po’ aiutandoti con il manico e aggiungi le nocciole fino ad amalgamare bene il tutto. Servi ben caldo.