Con sommissima gioia e onore oggi è uscito il mio secondo articoletto su Vanity Fair. Per leggerlo basta cliccare qui >>
Seppur corra a destra e a manca per ringraziare dell’affetto, che spero fortemente di meritare, ecco. Grazie. Davvero grazie infinite per il sostegno. Trovo senza difficoltà continuamente parole per i miei deliri e stupidaggini ma non riesco a farlo per ringraziarvi degnamente.
Quando ero piccola durante un capodanno a Palma di Maiorca ho voluto che mamma mi comprasse un quaderno dove conservare le firme di tutti i presenti e i miei disegni che li ritraevano. Essendo una festa organizzata all’interno di un grande albergo, gli ospiti a quel cenone difatti provenivano da tutte le parti del mondo. Avevo otto anni e la diversità non mi ha mai spaventato, anzi al contrario attratto fortemente sino all’esasperazione. Forse per la smania di inventare storie e creare personaggi.
Affascinata, osservavo il signore scozzese con il kilt, la bimba giapponese con la quale trascorrevo molto tempo soltanto sorridendo e il piccoletto scuro bellissimo con i capelli riccissimi.
Come con quei disegni, ho cominciato a pubblicare su Instagram semplicemente la mia quotidianità. I miei pupazzetti e pezzi di fogli. I miei appunti, l’agenda e soprattutto i miei innumerevoli caffè con la smania di accoppiare il cucchiaino alla tazzina e mettere il portatovagliolo in pendant con la teiera. Anche durante una squallidissima pausa lavoro. In pochissimo tempo mi è stata concessa la grazia di finire con ogni singolo scatto su Popular, la raccolta delle foto più cliccate. Una fiducia smisurata che ho cercato di non tramutare in paura. Ogni giorno continuo a fare esattamente quello che facevo prima senza contare che più di cinquantamila contatti sono numeri astronomici e insperati.
Via Instagram ringrazio il mio amico di Tokyo che mi insegna nuove parole con gli ideogrammi, mi trovo a tradurre caratteri hindi che mi augurano il buongiorno, sono diventata amica di una thailandese che sogna di imparare l’italiano. Poi c’è l’amica bielorussa che comunica con me solo attraverso gli smile e le email che chiedono l’indirizzo reale per spedirti una cartolina. Una cartolina vera di quelle che odorano e sanno di reale.
Perché in fondo tutto lo è, reale.
Instagram è quella notte di capodanno in hotel, per me. Un quaderno aperto sul mondo dove mostrare i miei pasticci e conservare quelli degli altri. Dove mostrare angoli della mia realtà che non è necessariamente tutta rose e fiori come sembra. Dove ci sono anche tazzine rotte e scalfite senza alcun tovagliolo in coordinato. Dove ci sono paure e ansie.