Ricette Vegetariane e Vegane

Hafa Cafè – Incontro indimenticabile

Dell’Hafa Cafè avevo parlato qui; ovvero quando il 14 Maggio molto timidamente e senza fare troppo rumore in rete (non scrivendolo su twitter – non scrivendolo su instagram – non scrivendolo su Google Plus e lasciandolo cadere molto in sordina su Facebook) avevo annunciato che sarei stata presente all’Hafa Domenica 19 Maggio per la presentazione del Libro senza Libro e che avrei avuto l’immenso piacere di poter condividere la chiusura dell’esperienza Salone del Libro senza Libro stando lì inebetita buttata su un cuscino marocchino ad assaggiare  il Cous Cous alla Norma insieme a chi. A chi voleva (leggi:volevo).  Quello stesso Cous Cous alla Norma che mi ero inventata di sana pianta sproloquiandone qui in formato timballo; reminiscenza di quel Cous Cous Festival a San Vito Lo Capo di qualche anno fa.

Prima che il Salone del Libro cominciasse e quindi:

Insomma (potrei continuare all’infinito) prima che il Salone del Libro cominciasse sono stata invitata dalla pazientissima e gentilissima Milly Paglieri, che con charme e aplomb mi ha rincorso nella mia totale svampitaggine tra email perse e telefonate ed sms (Milly Santa Subito! Ti farò una statua nel parcheggio di casa)  per sapere come avremmo dovuto agire la Domenica. Io le avrei sinceramente risposto che non ne avevo la minima idea e che il massimo che potevo fare era buttarmi su un cuscino e piangere. Abbracciare tutti e piangere. Milly, ottimista e solare come la cultura che promuove perché ribadisco l’Hafa non è soltanto un locale ma un concetto-una filosofia-arte allo stato puro, credo pensasse che io esasperassi un po’ il tutto ma poi essendo aggiornata tra pali e pronto soccorso e figure piagnucolanti al salone credo che la strada dell’incertezza abbia lasciato posto solo a quella della certezza.

Della Tragica certezza, aggiungerei.

Quella che si trovava davanti non era una che si dipingeva come una folle psicolabile. ERA in realtà DAVVERO una folle psicolabile. Deve essere stata, insomma, una settimana dura pure per Milly che dopo anni e anni di onorata carriera nella Signora Italiana e nella comunità Marocchina tutta, avrebbe buttato tutte le tajine all’aria (poetica questa immagine di tutte le tajine all’aria o sbaglio?) alla vista del Kaos neuronale di una sicula pazza che aveva l’ardire di mettere la ricotta salata nel Cous Cous.

Mi faccio coraggio. Uno dei primi sospironi e frase di auto incoraggiamento “va fatto” (che mi ripeterò lungo il cammino) e con Enrica e Nippo mi dirigo all’Hafa Cafè. Seguendo tra l’altro un itinerario stradale che rievoca i ricordi dello scorso anno; che non ho trascritto perché nessuno sapeva del libro. Per sottolineare insomma come ci si trovi in strade uguali ma in tempi diversi con avventure sempre nuove. Che non hanno mai fine e forse neanche inizio.

Dopo contatti puramente virtuali avrei avuto il piacere di conoscere l’Architetto Milly Paglieri e sarei stata lì a parlare di Cous Cous alla Norma con bravissime cuoche marocchine che certamente avrebbero voluto spaccarmi tajine d’acciaio sui denti dopo aver detto loro “oh io faccio il cous cous precotto della Barilla eh!” *silenzio in sala*.

L’Hafa me lo ricordavo così. Ma non ero mai entrata dentro. Rimango estasiata dal negozio (che puoi vedere cliccando qui) che è proprio all’interno dei locali e se non compro tutto è semplicemente perché sono lì in un’altra veste e mi impongo di farlo con calma un’altra volta. Ci sono delle piccole tajine in vetrina. Teiere e cuscini. Suppellettili e articoli ricercati. Ci sono anche le tende nello stile che piace alla mia mamma. E poi ci sono dei piatti. Dei piatti con  i tipici decori marocchini. Di una bellezza disarmante. Ce ne sono anche alcuni in formato gigante appesi al muro in quella scala in fondo che intravedo. Quella che porta alle cucine. La stessa che a distanza di qualche giorno mi vedrà scendere con uno di quei piatti stracolmo di Cous Cous. Il viaggio di questi oggetti ha inizio nell’area di Marrakech. Lo avevo letto nel sito. Una volta al mese arrivano a Torino i pezzi più pregiati di questa incredibile produzione marocchina artigianale. Dalle teiere come detto sino ad arrivare ai vassoi e ai tessuti. Ci sono i tavoli in tadelkat e zellige e pure le lampade. Ci sono i contenitori e gli specchi con fregi orientali che tolgono il fiato. E‘ davvero un luogo che ti catapulta in un altro mondo. Pianeta, direi. E compare sempre quel tappeto. Quello di cui parlavo proprio nel momento dell’annuncio di quello che sarebbe stato. Un tappeto magico che si libra in volo nel cielo di Torino e ti fa viaggiare. Sognare.
Milly ci fa provare un tè alla menta che definire solo buono o meraviglioso è un’offesa. Nessun aggettivo può essere adatto. E ci fa assaggiare un’altra bevanda che mi conquisterà definitivamente. La bevanda che producono direttamente all’Hafa Cafè e che dovrebbero davvero imbottigliare per dare la possibilità a tutti di testarla. Sa di zenzero e limone. E io che ho sempre detestato fortemente lo zenzero mi trovo lì come se fossi stata catapultata, dopo un viaggio sul tappeto volante, a Marrakech. Tutto mi ricorda il mio brevissimo viaggio a  Tunisi, Marrakech e Sidi Bo Said. Ne sento anche l’odore. E mentre sorseggio Tè alla menta e bevanda allo zenzero e limone non posso fare a meno di pensare alla mia mamma, che in quell’occasione doveva ancora arrivare a Torino e guardare il Nippo che sorride lanciando la pallina a.

Al veicolatore di sogni. Di questo sogno. Ricordi quando all’inizio parlavo di me come se fossi Dorothy? E di quel Toto, cane di Dorothy, che in realtà in questa favola si chiama Baldo? Ecco. Ne parlavo qui.

Perché  è proprio così che questa Favola comincia e finisce. Perché quella che ho cercato velocemente (e purtroppo distrattamente perché i muratori non mi abbandonano come gli impegni e la roba tediosa della vita quotidiana) di raccontarti questa settimana attraverso diapositive, parole, didascalie, tweet e aggiornamenti è proprio una favola.

Confusa, frenetica, piena di flashblack e disturbante per quanto ricca, piena, zeppa di dettagli che il più delle volte sono fondamentali solo per chi c’era. Per me. Per chi sa.

Una magia nella città Magica. Una favola che fa iniziare e finire tutto. E io novella Dorothy con le mie scarpette rosse in compagnia di Baldo raccolgo tutte le mie forze e. Salgo su questo tappeto. Sorvolo Torino. La vivo. La sento. E incredibilmente vengo corrisposta. Anche Torino mi ha visto, sentito e vissuto ed è per questo che nonostante sapessi cosa mi legasse esattamente a lei, qui nasce il nostro amore. E’ proprio il Maggio 2013 negli anni che verranno a segnare la mia dichiarazione ufficiale d’amore a Torino. Alla sua Magia. Ai suoi incredibili abitanti. Che sono venuti apposta. Che volevano venire. Che ci sono stati con il cuore.

Deciso quello che avremmo offerto a chi sarebbe venuto, si decide pure di preparare una forma di invito. Era la prima volta che l’Hafa ospitava “una blogger” (anche se in cuor mio e so che è così ha ospitato semplicemente Iaia e la sua Fiaba) e soprattutto era la prima volta che ci si faceva un pranzo. Incredibilmente si fa un conteggio delle persone e. E scopro che non saremo soltanto io, Enrica, Milly, Baldo e il Nippo. Qualcuno pare che verrà (ma mica ci credo davvero davvero).

E si decide per pane arabo con salsette come antipasto. Tre tipi diversi di Cous Cous, uno dei quali il mio alla Norma. Dei dolcetti marocchini serviti con le paste di mandorla sicule. Tanto vino marocchino. Tanto delizioso tè alla menta e buonissimo bicchierozzo di zenzero e limone.

La bellissima Marta (Grazie infinite. A tutte le ragazze: Federica, Emanuela, Marta e Willy e. E sbaglio sempre i nomi. Perdono) che versa il tè alla menta durante l’allestimento del banchetto ricco di dolci marocchini accompagnati da questo strambo e fantasioso connubio siculo pastomandorloso

L’interrogativo che mi sono posta durante il racconto di Giovedì (che se non hai letto puoi fare cliccando qui) è stato: e come faccio adesso a raccontarvi? Come faccio adesso a raccontarvi cosa si prova vedendo Chiari? Che viene con il Torre (non è il Signor Torre della Granita a Torino però eh)  e la sua Zelda. Io che me la ricordo ancora in una foto dentro la vasca. Con un template nero e rosa pieno di teschi fucsia. In tutta la sua bionditudine rock e kawaii. Io che me la ricordo al matrimonio. E mentre ci sono i lavori della loro nuova casa. C’è la vetrata. E quella mensola-comodino-camera da letto-vassoio-aggeggio meraviglioso. Che me la ricordo in Sicilia e io con il terrore di vederla e di non piacerle. Come faccio a raccontarvi di Chiari, io? Dell’emozione di veder materializzata Zelda, che amo come fosse davvero una nipote? Sentirla dire “…..etta”. Con la maglietta di Maghetta (habemus Video!), sentire il suo respiro perdendosi negli occhi che più azzurri non si può come il mare di Portopalo al mattino dire “…etta”.

  • “Chi è questa?” – Chiari toccando il volto di Maghetta sulla maglietta di Zelda
  • “….etta”

….Etta. Sento solo questo. Ricordo solo questo. Chiudo tutto e inizio tutto con Etta. Con una nuova vita che mi ricorda chi sono e cosa. Con i miei nuovi e vecchi amici che macinano chilometri. Venendo dal Veneto. Salendo dalla Liguria. Muovendosi dalla Lombardia. Infilandosi in macchina dall’Emilia per farsi quattrocento di chilometri in due e lasciando le altre mie due meravigliose nipotine a casa: Ginevra Sophie e Camilla. E Ilaria? Come faccio a raccontarti i discorsi silenziosi di Ilaria e la sua magia?

Il cous cous alla Norma io non l’ho assaggiato. Però ho girato la salsa di pachino girando la semola con un cucchiaio di legno e ho aggiunto le melanzane fritte. Melanzane che raccontano una storia nella storia. Che comincia al ristorante Costello in Piazza Solferino e che è unito ancora una volta alla Mamma di Francesca, la dolcissima Signora Filippi che mai smetterò di ringraziare. E alla stessa Milly in una notte di pioggia mentre Baldo ha paura e si rintana e accuccia in macchina.

Sono storie nelle storie. Fiabe nelle fiabe e intrecci nelle trecce di Estella a Vaie. E’ tutto infinitamente grigio come gli occhi di Antonia e sa tutto di risata di Cey. E’ l’abbraccio caldo e potente con Ilaria che mi fa sobbalzare e Marty che ti tiene a braccetto mentre sogno di tuffarmi e perdermi tra i capelli e le trame della sconfinata bellezza di Ilaria. E’ davvero il calore di tutto quello che è successo. E’ davvero tutto nel tragitto di quel tappeto magico che ci ha portati all’Hafa Cafè.

Non è stato un evento di una blogger con Cous Cous alla Norma. E’ stata una catalizzazione di amore e rispetto reciproco. Dove ognuno in egual parte ha sgranato singolarmente ogni granello di cous cous e dolore sfornando in assoluto il timballo dell’amicizia. Quello che ti fa stare stretto stretto aggrappato all’altro. Con un po’ di frittura per allietare ma equilibrando con la semplicità della salsa di pomodoro. Spruzzando ricotta salata introvabile e assaggiando ognuno una forchettata dell’altra. Arriva anche Irene con le sue due bambine che hanno scarpe lampeggianti come fossero scrigni magici. Si avvicina e mi dice che viene da Rivoli. Che le faceva piacere conoscermi. Che. E io sto lì ferma immobile a pensare a quale sorta di incantesimo magico che sa di ricetta abbia potuto generare tutto questo.

La semola già preparata e pronta per trasformarsi in perfetto stile siculo.

Ci sono poeti e scrittori marocchini Paura di far andare via Francy senza averle dato quello che mi trascino, oltre che il cuore e parole per lei. Eccitazione nel vedere Cey che ho lasciato nel vento fortissimo dell’Etna e con la quale vorrei chiudermi in bagno e odiare tutti e tutto perché lei sa perché. Felicità di ritrovare Selena e quell’abbraccio che mi ha tenuto salda ai miei sogni il giovedì. La sorpresa di lei che ti sorride e sapevi non sarebbe venuta ma è lì. Non poteva mancare. E proprio dalle chiacchiere nasce tutto quello che più di incredibile c’è: il caos. Il delirio. Tutti i granelli di questo Cous Cous che tentano di riunirsi nonostante la loro natura sia stare lontani. 

Perché io nella foto che ci vede insieme. Quella solo delle Donne, vedo solo un timballo umano. Tenuto da quanto di più forte c’è.

L’esperienza dell’Hafa confesso è la più difficile da raccontare. Per questa tenuta per ultima. Emotivamente non riesco. Perché è come allenarsi a volare e poi spiccare il volo improvvisamente e fluttuare convulsamente.

E’ un luogo magico che sa di pistacchio, coriandolo e zenzero. E’ esattamente lo stesso luogo dove ritornerò fino a che avrò fiato in corpo quando vorrò ricordarmi cosa è l’amicizia. Quella vera senza pretese. Quella fiaba che non mi raccontavo più perché qualcuno mi aveva cambiato il libro e il finale.

Non c’era più e vissero felici e contenti. C’era sempre sangue, strazio, menzogna, bugia e morte. Qualcuno tradiva sempre. Qualcuno moriva sempre. Qualcuno ti aveva mentito sempre.

E invece all’Hafa un timballo (incredibilmente senza timballo perché poi si è optato per servirlo in maniera tradizionale) mi ha ricordato che stando vicini si vince se gli ingredienti sono semplici, sinceri e naturali.

Questa piccola illustrazione l’ho fatta qualche giorno prima dell’evento Hafa con un tablet di fortuna nella hall dell’albergo (bei momenti tecnologicamente avanzati). L’idea era quella di ritrarre Baldo con Maghetta. Milly Paglieri (devo farci delle magliette con “I love Milly” e “I love Baldo”) è stata così dolce e premurosa da fare addirittura una stampa con questa illustrazione dove ha trascritto la ricetta del mio Cous Cous. Una sorpresa davvero incredibile di cui non sarò mai grata abbastanza!

Milly è davvero una Donna eccezionale!

Si taglia il pane e si sistema nei cestini che verranno offerti come antipasto insieme alle salsette

Un tripudio pazzesco di Dolci Marocchini. Non ho potuto purtroppo segnare tutti i nomi. Mi sarebbe davvero piaciuto molto saperli per rifarli con calma e inserirli nell’archivio del Blog. L’emozione come sempre ha giocato brutti scherzi e solo un millesimo di quello che avrei voluto è stato fatto. Con calma indagherò al fine di saperne di più.

Mi riservo di parlare un po’ di più su queste melanzane fritte. Perché proprio per quel caleidoscopio di racconti su racconti e fiabe trasversali ne narrano di altre e ancora altre. Grazie infinite a Enrica e alla Signora Filippi che mi hanno concesso di non sentirmi estranea.

E che hanno la casa piena di odore di melanzane fritte ancora adesso a distanza di settimane per COLPA MIA.

Sono stati serviti tre tipi di Cous Cous. Uno al modo di Marrakech e uno al modo di Casablanca. L’altro al modo di Maghetta *segue risata isterica della comunità marocchina. Ognuna di noi tre, Aicha-Iaia e la Signora adorabile di cui non so correttamente scrivere il nome (perdono! indago e aggiungo in forma corretta), racconta gli ingredienti della sua ricetta.

Il sociologo algerino Khaled Fouad Allam (il suo nuovo libro “Avere 20 anni a Tunisi e al Cairo”) che ho avuto il piacere di conoscere mi ha parlato addirittura di un Cous Cous mangiato a New York con Mango e Parmigiano. Credo che volesse dirmi “c’è chi fa peggio di te”. O esattamente il contrario (ipotesi più plausibile ma perché essere pessimisti?). Sta di fatto che in programma c’è assolutamente questo “fantasioso” Cous Cous Newyorkese al sapore di Mango e Parmigiano (tanto se lo mangia il Nippotorinese!).

E’ la volta del racconto di Aicha. Io già sono con le mani tra i capelli perché a breve toccherà a me. Davanti a me un altro  famoso scrittore marocchino (non ricordo il nome. Che il cielo mi aiuti!)  presente anche al Salone del Libro (diciamo che la pressione era a trecento). Poco distante grazie al cielo la mia Cey con Fab, Ombrella e Paola.

Il Nippo nello specchio che tenta di inquadrarmi meglio di quanto abbia fatto la bionda mentre io esaurita fisso il vuoto chiedendomi “emocheglidicoaquesti?”. Sono sempre pensieri molto professionali e aulici i miei.

(La bionda è stata bravissima. Il 19 Maggio è poi un giorno molto speciale per noi due. Che sa di violino e venezia. Direi di non buttarla troppo sul sarcasmo almeno in questa data)

La strepitosa Milly Paglieri che corre in nostro aiuto parlando ai gentili ospiti.

(io per fare bella figura, o almeno meno-peggio-di-quello-che-ho-fatto, ho deciso di imparare due frasi di circostanza in arabo da sfoggiare nelle più disparate e disperate occasioni)

(sbaglio o io: fisso sempre il vuoto, agito le mani e rifletto sull’universo con sguardo da lemure, sempre?)

E io prendo la parola dicendo roba incomprensibile che non capisco neanche io mentre mi tormenta il dilemma “basteranno le melanzane?”. Incredibilmente riesco a non piangere ed anche se male tre frasi riesco a dirle tormentandomi le mani in preda a un attacco isterico.

(ho detto pure che noi siciliani stiamo con la Ricotta Salata e il Pomodoro di Pachino in valigia. E sono astemia. Pensa un po’ se bevessi)

Io che fisso il Nippo e la Bionda con un piatto di Cous Cous in mano dimostrando al mondo intero la mia totale incapacità nell’impiattare e servire in mezzo a tanta gente. In pratica ho centrato il piatto una volta su venti. E’ una buona percentuale vero?

(se vi state chiedendo: ma come eri vestita? Sappiate che nell’emozione del mattino ho messo tutto quello che di più sporco e insulso avevo. L’outfit programmato era solare, vestitinofrufru svolazzante nontroppocolorato ma. Ma poi vabbè)

Io che continuo a parlare di non so cosa (suppongo di Nani da Giardino) mentre Enrica e Milly mi fissano chiedendosi “ma come è possibile che questa sia totalmente incomprensibile?”.

Il Cous Cous alla Norma è servito!

Purtroppo non ho avuto il tempo di fotografare tutti i locali. Milly, neanche a dirlo gentilissima e disponibilissima, ha addirittura messo a nostra disposizione una fotografa professionista (senza parole per la gentilezza di questa meraviglia!). C’è stato un momento però, mentre allestivano il banchetto dei dolci fuori, che sono rimasta sola. Saranno stati dodici secondi al massimo. I piatti erano vuoti. Tutti erano fuori. E in quella luce e in quel silenzio improvviso anche se per pochissimo tempo ho afferrato il mio occhio portatile e via. Ho fatto questi pochissimi scatti. In modalità automatica, senza guardare nulla e. Senza dosare le luci e. Per avere questo ricordo visivo di me e del mio Hafa Cafè.

La Ricotta Siciliana esportata da Catania e messa in valigia da Mamma Nanda che ha attraversato il cielo italiano per portarla frescafrescafresca. Insomma per mantenere viva l’immagine che il Siculo non si fida affatto dei prodotti reperibili al Nord e deve attraversare la nazione con quelli a lui noti. Bei momenti.

Il Timballo dell’amicizia. Eccolo (io sono al vertice e fungo da Ricotta Salata? Ha una sua logica. Essendo io intollerante al latte. E a me stessa).

Ed eccociiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! Si ringraziano i fotografi disseminati in ogni dove che hanno concesso questo fenomeno “occhio-dappertutto-sguardo-sincronizzato”. Essendo nella modalità “scatto a raffica” non si è ben capito chi-cosa guardare. E allora sorrisi e perplessità con virate del capo a 180 gradi. Il delirio (Mari non sfoggia la sciarpa verde ma ha gli stessi stivali).

Questa foto è meravigliosa perché mostra come i due passanti sulla destra siano completamente ignari di quello che si sta consumando nel Quadrilatero di Torino.

Prove Tecniche di foto di Gruppo. Baldo tenta di guadagnarsi la scena. Io guardo e indico qualcosa ma nessuno mi ascolta (come è giusto che sia). Cey con la sua Tajine in borsa progetta Cous Cous. Selena cerca di interagire con Baldo mentre Ilaria, Chiari si tengono strette perché hanno paura. Ellli e Mari che sfoggia all’improvviso una sciarpa verde (ti amo!) cercano di portarmi via Marti perché spaventate e Francy è lì fingendo di non aver rovinato la sua carriera di avvocato. Ombrella in polposiscion dice a Baldo che tutto a breve finirà (bugiarda!).

 Zelda mangia biscotti. Io tento di piangere poco durante lo struggente addio con Paola. La Bionda è sempre in mezzo e ha la faccia di chi si lamenta e non fa niente (la sua, insomma) ed Enrica mette a favore di camera la meravigliosa Maglietta Streghetta Perdincibacco.

Zelda che è ancora piccola per esprimersi a parole (nonostante io sia trentacinque volte più grande di lei comunque a parole non riesco a esprimermi quindi potrei partire da un’assioma errato) si è fatta capire (e molto bene) indicandomi più volte il cerotto e sbellicandosi dalle risate.

(questa foto verrà stampata, ingrandita e appiccata su tutti i muri di casa)

San Zelda da Verona che sopporta la vecchia attempata zia Sicula di nero vestita (ma avevo il colletto bianco eh! sono dettagli colorati) con gobba incorporata decide di provare le meraviglie delle dolcezze marocchine accompagnando il tutto con acqua fresca.

(in realtà indicava la mamma e il papà supplicandomi con lo sguardo di metterla giù. Ma si sa. Sono un essere orrendo e la tenevo ben salda a me cercando di farle dire “…..etta”)

Bianca sorridente perché sta salutandomi e correndo velocissimamente via verso il treno che la porterà finalmente lontana da me, considerato che: in meno di 24 ore è finita al Pronto Soccorso. E’ stata traghettata tra secchiate d’acqua in Val di Susa per poi essere infine lanciata su cuscini marocchini e costretta a vedere cous cous con glutine ovunque. Max direbbe che sono una cattiva persona agitandomi il dito contro. Non avendo Max qui lo faccio da sola agitando l’indice e annuendo.

Perdonami Bianca. Non sapevo quello che facevo. E se lo sapevo non lo capivo comunque. Ti amo. Stop.

Notare la felicità di Bianca che finalmente si è liberata di me

Zelda riesce a liberarsi dalle grinfie dell’attempata Sicula preparatrice di Cous Cous alla Norma. Il Torre e la Pimpa finalmente riuniti si dirigono velocissimamente verso bellissimamammaChiari che con passeggino era pronta a infilare la sua famiglia dentro e volare veeeeeeeelocissimamente verso il Veneto.

 

 

  • Grazie a Enrica Melossi perché in ogni ringraziamento della mia vita ci sarai. Per essere quella che sei: Infinita.
  • Grazie a Marina Paglieri, giornalista di Repubblica (ma più: Adorabile Anima Amica) che nonostante mi abbia visto piangere per quaranta minuti di fila giovedì non riuscendo a farmi dire una parola (anzi una l’ho detta: pioggia di cuoricini), mi ha reso immensamente felice con la sua presenza (che il succo d’ananas sia con noi!).
  • Grazie a Milly Paglieri (è la sorella di Marina. Colpo di scena come nei migliori film ad alto tasso di suspense) ha fatto sì che tutto questo fosse possibile tra magia e favola. Non sarò mai grata abbastanza.
  • Grazie a Piola per non vergognarsi troppo di avermi come cognata. E alla Dottoressa suocera che si è ritrovata in famiglia una pazza. Resista!
  • E Grazie a Tutti i Gentilissimi Ospiti di Milly Paglieri che hanno sopportato una PazzaSiciliana che ha infangato l’onore del Cous Cous Marocchino ( non lo faccio piùùùùù!!!)
  • Grazie ad Aicha e all’adorabile Cuoca (scoverò il nome giusto mi perdoni!) per avermi accolto nella loro cucina tra tradizione e ricordi.
  • Grazie a tutti i ragazzi dell’Hafa Café perché sono stata assolutamente inqualificabile e inutile al contrario di voi che avete lavorato per una Sicula pazza con cerotto in testa.
  • Grazie alla Bionda perché ce l’ha messa tutta e lo so. Essere mia amica è difficile. E so pure questo.
  • Grazie a Cri perché tra le trame del pane carasau ci sarà il nostro libro.
  • Grazie a Ale perché con i suoi pensieri cambia la mia vita.
  • Grazie a Cecilia perché posso essere sempre l’altra me stessa con lei. E posso esserlo con pochissime persone. E Grazie a Fab perché nonostante ci sia poco tempo e poco ricordo tra di noi è come se l’infinità di un’amicizia ci travolgesse. Non è facile ritrovarsi in macchina dopo tanti silenzi e limonare duro tra chiacchiere sopraffine e cosce (e questa è giusto che la capiamo solo noi).
  • Grazie a Chiari e al Torre  che hanno dimostrato al mondo che creature come Zelda esistono davvero. E che la famiglia rock’n roll spudoratamente meravigliosa non è solo una chimera.
  • Grazie ancora e ancora e ancora e ancora e ancora e Paola. Che è ancora e ancora. Nel senso di certezza e di tempo imperturbabile e ripetibile nell’eternità.
  • Grazie ad Antonia per avermi regalato dei momenti struggenti che mai dimenticherò. Come la bellezza dei suoi occhi. E per la sua amicizia che non è importante: di più. E grazie a Bolina perché so che c’era pure lui.
  • Grazie a Estella per essere luce. Sempre. Grazie a Bruno per avermi salutato tre volte come piace a noi siculi.
  • Grazie a Ilaria per avermi ricordato che nei suoi occhi c’è Miyazaki.
  • Grazie a Bianca per aver vissuto con me.
  • Grazie a Marty per avermi preso a braccetto e tenuta in un tragitto di stanchezza e felicità. Come sempre.
  • Grazie a Selena e ai suoi abbracci protettivi. Dove tutto il mio amore nei suoi confronti è (ri)cominciato.
  • Grazie a Valentina perché l’amicizia sconfigge ogni male e a Cesco che è riuscito a riprendermi dall’alto come piace a me dimostrando di essere in grado di fotografare al meglio attempate signore sicule rugose.
  • Grazie a Ellli per avere tante elle come tutte quelle contenute nella sua bellllllllllllezza.
  • Grazie a Mari che si è cambiata mille volte (non lo sapevo) ma tutte e mille e anche di più era meravigliosa.
  • Grazie a Francy per essermi semplicemente amica. Per fidarsi di me.
  • Grazie a Irene che ha infilato i suoi amori in macchina e ha creduto in me.
  • Grazie a Ombrella perché anche per te i ringraziamenti non smetteranno mai.
  • Grazie a chi è semplicemente passato come Silvia e Pixi. Le splendide ragazze del San Carlo. La coppia che non si è avvicinata (mi è dispiaciuto tantissimo! perdonatemi! scrivetemi in email così vi spedisco le scatolette delle Pastiglie santocielo).  Grazie alla ragazzabionda che mi ha fatto ciaociao con la manina e poi è fuggita via.
  • Grazie a te che volevi esserci e non sei potuto venire. voluto venire. o ti sei vergognato di venire. Puoi rimediare la prossima volta. Se ce l’ho fatta io, ricorda, tu ce la puoi fare almeno tre volte.

E grazie davvero a tutti quelli che ho visto. Anche solo per una frazione di secondo. Che ho dimenticato (è difficile santocouscous! HO UN’ETA’!). Ma non nel mio cuore.

E grazie a te Baldo. Che mi hai condotto sopra questo tappeto volante.

A presto Hafa Cafè, amico mio.

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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