Ricetta per una Tribù Crudista:
Per la glassa al cioccolato: 60 ml (4 cucchiai abbondanti) di burro di cacao sciolto a bagnomaria, 35-40 grammi di cacao amaro in polvere, 40 grammi di dolcificante (succo di agave o sciroppo d’acero)
Per l’interno al cocco: 100 grammi di farina di cocco, 1 cucchiaio abbondante di olio di cocco liquido, 30 grammi di succo di agave (sciroppo d’acero o dolcificante che si preferisce)
Nel food processor metti metà di farina di cocco e rendila di una consistenza fine e umida con l’aiuto del burro di cacao sciolto precedentemente a bagnomaria. Aggiungi il dolcificante che hai scelto. Non avere paura e assaggia. Aggiungi quindi eventualmente altro dolcificante o semplicemente acqua (poca) fin quando il composto non sarà perfettamente amalgamato e compatto (la consistenza dovrà essere perfetta per creare delle palline o piccoli tronchetti, a secondo della forma che hai deciso di dare). Con le mani forma delle palline e poggia su carta da forno. Fai riposare in frigo per un’ora e nel frattempo prepara la glassa.
La glassa si prepara mischiando tutti gli ingredienti e allungando con acqua quanto basta a non renderla eccessivamente liquida. Il dolcificante dovrebbe bastare nelle dosi indicate ma procedi come all’interno (ricordandoti che dovrai mangiare anche quello) e regolati di conseguenza. Una furbata potrebbe essere quella di non eccedere proprio nella glassa visto che l’interno potrebbe risultare stucchevole e zuccherato di suo.
Una volta trascorso il tempo in frigo, passa le palline nella glassa e lascia ancora una volta in frigo fin quando pronte.
Piccoli consigli?
- Fai piccole dosi perché è davvero molto stucchevole. Se piace si potrà sempre fare il bis.
- La glassa non dolcificarla per niente e crea eventualmente un contrasto; risulterà piacevole. Se vuoi puoi aggiungere ulteriori scaglie di cocco sopra la glassa o per un tocco goloso in più anche della frutta secca sbriciolata. Le nocciole e le mandorle in pole position.
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Su cosa ci facevamo in un albergo io e Ombretta, insieme a Maghetta le pupille e l’Ombromino, magari ne parlo un’altra volta. Questo perché lei è ancora qui, proprio nel mio campo visivo. Fisicamente. Non soltanto con il cuore, la testa e i pensieri e i nostri mondi. Sta dormendo e io la guardo come una mamma apprensiva inclinando la testa per poi ritrovarmi a sorridere. Quanto sia struggente e talvolta lacerante, ma al contempo profondo e imparagonabile, amarsi a distanza lo sa chi ha un amore lontano. Di qualsiasi sfumatura questo amore sia. Ogni momento diventa fondamentale e lo si vive con la coscienza di doverlo, ma soprattutto volerlo, trattare al meglio delle proprie possibilità. Sono infiniti i momenti con Ombretta ma forse adesso ne ho da imprimere a fuoco ed è quello dell’abbraccio forte su una chaise longue che guarda l’acqua, sotto foglie che si muovono tra alberi silenziosi e una piccola porta interamente ricoperta di verde dove abbiamo visto passare un Ombromino. Insieme.
Io e Ombretta non avevamo avuto la reale opportunità di prenderci un tempo per noi lontano da tutti e tutto. La confidenza non si acquista con la quotidiana presenza ma con lo sfregamento delle anime. E le nostre paiono non solo appartenere alla stessa essenza. Ma a tratti plasmate. Siamo leggere come foglie e robuste come alberi. Vogliamo giocare da sole e forse anche un po’ con gli altri. Ma solo per il gusto di raccontarcelo.