Ricette Vegetariane e Vegane

Zuppa di Miso con Wakame, Tofu e Gamberi

Sarò sintetica perlomeno sull’addio. Ho una reazione allergica al viso e sono attualmente un ibrido tra una zampogna che ha mangiato tacchini ripieni e la Santanchè. Se non dovessi superare la notte: vi ho amato. Proseguite senza di me, miei eroi. E senza crogiolarvi sul fatto che una zampogna non può mangiare tacchini ripieni, suvvia. Elasticità.

Si ultimano le pulizie mentali e con queste si da ordine ai progetti passati. Phobialand, ovvero la landa delle fobie, dove ognuno dei personaggi è costretto a vivere  con le proprie paure continua tra fogli, deliri e disegni prettamente fatti a matita; adesso però che con la tavoletta ho smesso di litigare. ….Puntini di sospensione e raccapriccio perchè la conseguenza è : doppio lavoro. Sushiland è un progetto talmente vecchio che chi mi segue (riformulo: chi ha la sfortuna di seguirmi. Senza un perchè tra l’altro)  da tantissimi anni (Sasetti in primis) ben conosce. L’idea erano dei fumetti sushiosi e fin qui nulla di originale anzi piuttosto sullo stupido andante. Fermo restando che nella magica Nipponia ci sono dei manga sushiosi degni di nota e belli da far spavento. Dicevo. Nulla di originale; Non che il seguito lo sia ma cerco di procedere con calma al fine di risultare sintetica senza farvi subire costantemente queste maledette risate dalla regia alla parola “sintetica”.

Sul  vecchio blog Oni l’onigiri era un po’ un tipetto pasticcione che insegnava qualche volta degli ideogrammi giapponesi alla mia ridicola effigie traslata in pixel:  Maghetta Streghetta. Si è poi montato la testa nel corso degli anni e in vena imprenditoriale ha dichiarato senza timore di voler possedere uno spazio proprio e di assumersene tutte le responsabilità. Buon per lui mi sono detta. Un pensiero in meno. Progetto chiaramente fallito (Oni si è innamorato di un Mini Roll ma non è questa la sede per far del pettegolezzo). Sushiland al contrario adesso esiste e ha assunto come quasi tutto quello che ho in mente contorni inquietanti e al limite del profetico se si procedesse a  ritroso (sì proprio come Ebi che è un Gamberetto). Insieme a Phobialand, Sushiland sarà il progetto che ultimerò durante l’arco del 2011 (qualora dovessi farcela a superare l’allergia). Entro il 2012 (12-12-2012 alle 12)  la mia triade ambientata nelle Lande (la terza qual’è? Sono ancora in viaggio e non ha nome: Land X) deve (deve lampeggiante) finire. Finire con tutti i contorni, storie e vite per partire definitivamente. Lasciandomi essere abitante di me stessa.

Più volte ho rivolto incosciamente una domanda “ma tu? cosa mangeresti come ultimo pasto?”. Lo faccio da tantissimi anni. Da che ne ho memoria. Risiede forse il germe di tutto e di me e dell’insana perversione del cibo in ogni sua forma. Riflessione del mio essere e di quello che sono stata e sono. Per questo motivo quando ho letto Estasi culinarie che non era certo epico mi sono entusiasmata come se lo fosse. Perchè la ricerca costante di rispondere all’interrogativo ” cosa mangerei per l’ultimo pasto? ” racchiude una sorta di profondità di quello che si è. Si è nella risposta quel tutto o quel niente o quell’ibrido che abbiamo rincorso o semplicemente il risulato perchè ci si è arresi. O magari vinto. Per dire che io l’ultima cena l’ho fatta e forse un giorno (senza forse ma non è questo il tempo) si capirà giusto qualcosina in  più su questa mia affermazione; ma io davvero l’ultimo mio pasto l’ho fatto. E ho scelto il Sushi.

Per un semplice motivo. A me il Sushi ricorda Pier. Che ha un nome sì,  e non solo più Sick o il Nippotorinese. Mi ricorda la grandezza di Pier. Nella sua totale linearità, pragmaticità, bellezza ed eternità. A me ricorda l’amore. Quello che ci ha messo lui per amare una diversità come me. Per sobbarcarsi malattia e strazio rinunciando a una vita fatta di sushi fresco in Giappone. Scegliendo di trasferirsi in una città piccola quanto piazza CLN a Torino dove scorazzava tra musei e mostre. Una città dove il sushi è una cosa di plastica da asporto in un ristorantino figo però. Con un logo fashion. Roba raccapricciante, insomma. A me ricorda il sacrificio il sushi. Aver studiato una vita per vedere realizzato il proprio sogno, averlo tra le mani e possederlo  e rinunciarci per amore. Non più Giappone. Non più estero. Non più discussioni ai terminal. non più traduzioni, lezioni o confrontarsi con il mondo. La carriera. La fantomatica carriera ai vertici. Ma qui. Con me. A Phobialand. Nella landa delle fobie. Della rinuncia e dell’ossessione.

Quando ho scelto e sceglierò quando morirò definitivamente (stasera? ok la smetto) il mio ultimo pasto io dirò: Sushi. Lo avrei detto in qualunque circostanza. Sushi. Sempre e solo Sushi. Che corrisponde anche all’ultimo pasto che avrebbe voluto fare lei. Peccato che le sia stato detto che era meglio di no durante la Chemioterapia. Che poi sarebbe morta ugualmente è un altro discorso. Ed è anche per te Ag. Ci strafogeremo di Sushi ridendo di batteri, te lo prometto. Ti griderò ” vecchia! sei una vecchia!” mentre ti batterò con il mio trecentesimo pezzo di nigiri vegetariano. Vecchia. Ti griderò vecchia come quando due settimane  prima di morire ti ho driblato sulle scale e ti ho detto ” oh. Sono più in forma di te. Sei proprio una vecchia”.  E tu ridevi. Ridevi dicendomi ” sì. Patata. Sono vecchia”. Che poi proprio adesso scrivendo mi sono ricordata che un giorno mi hai detto ” Oh Patata sai che anche il mio nome è formato da dodici lettere e sono nata il 12 Giugno? E Giugno è sei e sei per due fa dodici e se non avesse fatto dodici avrei moltiplicato e sottratto qualsiasi cosa pur di farti contenta”. Mi chiedo, mentre rido e piango davanti al monitor,  quanto io ti avessi seriamente rincoglionito fino alla fine con la mia fissa per il dodici e  i pinguini del madagascar. Senti un po’ che ho pensato perchè dentro ci stai anche tu. D’accordo Vecchia?

Sushiland è un ristorante in un centro commerciale  Seikatu (che significa vita) che si trova esattamente tra Phobialand che sta sotto  ( non è l’inferno ) e quella Landa che non ha ancora un nome ( sì proprio il mio terzo viaggio ancora in corso). Novella Dante, che il cielo mi perdoni per questo sarcasmo spinto,  mi accingo alla mia triade. Si ha la possibilità di decidere ( non importa se si finirà a phobialand per sempre  o nella terza landa)  un ultimo pasto. Da questo centro commerciale ci si deve assolutamente passare. E’ composto solo ed esclusivamente da ristoranti (niente Centro Vetrine ed Ettore Ferri ci siamo?). Di qualsiasi tipo. Regionale da tutte le parti del mondo, cinese, italiano, russo, ubzeko. Tutti. Ci sono tutti i ristoranti e se ne può decidere uno. Per l’ultimo viaggio culinario. Il proprietario si chiama Keti (avarizia). Il piccolo assistente Kooman (superbia), la cassiera Namakemono (accidia), il lavapiatti Koo (Gola), La prima cameriera Senbo (Invidia), La seconda cameriera Ikari (ira) e Yoku (Lussuria) insieme a tutti i pezzetti di sushi che si avrà modo di conoscere pian piano. Ognuno con le proprie caratteristiche.

Mi piace riempirvi ( e riempire alla Vecchia) la testa ma è lunedì mattina santo cielo. Il cliente del giorno farà il suo ultimo pasto con i sette peccati capitali nel formato che ha scelto. Al piano di sotto ci sarà sicuramente un Toro Seduto lavapiatti che prepara buonissime pietanze dei vecchi Indiani D’america o Mr Chin che arrotola involtini primavera saltando prosciutto di maiale per il riso alla cantonese ma no. Io non li vedrò mai questi ristoranti.

Io ho scelto il Sushi. Sono entrata a Sushiland e so esattamente dove sono finita. Nell’Amore. Per lui e per me stessa. E per quel Noi che produrrà solo una cosa. Qualcuno a cui raccontare la nostra incredibile vita. Perchè se lui ha studiato una vita per viaggiare il mondo  ed è arenato qui ed io una vita a dimenticare troppi mondi restati dentro e adesso esplosi c’è solo una grande verità:

viaggiamo insieme. E il resto è il nulla. A noi importa questo e questo abbiamo e avremo. Perchè si può anche nutrire l’anima solo di ideali e sogni. Si possono realizzare o no. Ma non è questo che importa. E’ averci creduto. Sempre e comunque.

Spero davvero possa piacervi Sushiland perchè sarà presente con dei piccoli esperimenti qui proprio come Phobialand. E sono emozionata, sì. Posso dirlo? ( ed anche angosciata per l’allergia da brava ipocondriaca. BASTA! devo finirla! tanto non supererò la notte. Un po’ di razionalità, santo cielo).

Adesso però vi tocca la domanda di rito e non potrete sottrarvi (fingo di essere minacciosa ma la verità è che davvero mi piacerebbe conoscere la vostra risposta prendendo magari spunto per delle storie. Inserire voi sarebbe . Un altro sogno? beh sì):

Ma tu? Sì tu. Cosa mangeresti per l’ultimo pasto?

Nonostante qui ci sia una passione per Tamanegi no misoshiru ultimamente, ovvero la zuppa di miso con cipolle anche questa versione con la wakame va che è una meraviglia. A me piaciucchia ma non troppo la zuppa di miso lo ammetto ma ho una pervesione nota ai più per ogni sorta di alga. L’alga wakame è in assoluto poi la mia prediletta e al biologico il simpatico repartista quando mi vede sorridendo dice ” ok rifaccio l’ordine per la wakame”. Ben sa che rimarrà sprovvisto proprio quello scaffale lì. Lascio quindi la versione della Zuppa di Miso con Tofu, Wakame e Gamberi: 800 ml di brodo Nibandashi, 150 grammi di Tofu, 10 grammi di alga wakame secca, 60 grammi di miso e 100 grammi di gamberetti freschi lessati in acqua bollente

Mettere l’alga wakame in ammollo nell’acqua per circa dieci minuti. Scolarla e tagliarla a pezzetti. Sciogliere in una ciotolina il miso con 2 cucchiai di brodo nibandashi. Tagliare il tofu a cubetti di 2-3 cm. Portare a ebollizione il brodo in una pentola per poi proseguire a fiamma media. Aggiungere il tofu a cubetti. Lasciare cuocere per un minuto e poi aggiungere il miso sciolto e l’alga wakame. Spegnere il fuoco appena il brodo arriva a bollore e servire in quattro tazze caldissimo e fumante.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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