Ricette Vegetariane e Vegane

L’okonomiyaki

Trentotto di febbre e non accenna a scendere ma non demordo. Piuttosto mordo. Mi trastullo sul divano leggendo una bellissima biografia di Escher (alterno a Travaglio, sintomo che non sono in me perchè tutto potevo aspettarmi tranne che letture politiche) per poi buttarmi sulla poltrona in cerca di nuove applicazioni apple che possano facilitarmi ancor di più la vita e organizzazioni generali. Una vecchia nerd-geek-multitasking febbricitante  che non riesce a interagire al momento nel social web causa delirio neuronale che a tempo perso svuota plafond mensile sull’Apple Store e Itunes.

Così voglio morire. Con dignità informatica in un turbine di (s)connessione logica.

Mi sentirei quindi  di condividere come ultimo testamento, oltre che aNote anche  MagiNotePad. Sticky Notes mi aveva quasi conquistato lo ammetto ma poi è arrivato BugMe con la possibilità di disegnarci pure sopra ed è è finito questo amore intenso seppur breve . Non saprei, infine, se sia il delirio della temperatura a farmene apprezzare la grafica (bruttina) ma l’utilità te la fa quasi dimenticare. Il fatto è che senza post it virtuali io non riesco a far più nulla. Se avessi dovuto continuare con la carta gli abitanti della foresta amazzonica, rettili, mammiferi e Agalychnis callidryas avrebbero dovuto trasferirsi qui in casa. Vista l’enorme quantità di teiere, conigli, uova di pasqua, tazzine e meravigliosi doni che giungono avrei giusto qualche problemino a collocarli. Si dà il via quindi a foglietti colorati virtuali. Non sarà certo la fine del moleskine che conservo per dar l’impressione di essere “una donna profonda in viaggio che necessita di appuntare chissà quali strabilianti idee “( riassumibili in : 1. ricordarsi di cucinare il nano da giardino 2.ricordarsi i conigli in lavatrice ).

L’arrivo in casa della Apple tv, praticamente l’ultima roba che mancava per idolatrare StivGiobs, decreta poi la fine (e sì. Il primo film acquistato è Julie and Julia. Sarà difficile propinarlo all’intellettuale ma suppongo di aver tutto il tempo necessario per vederlo da sola visto l’andazzo).

Potrei riposare invece di vaneggiare, certo. Però essendomi letteralmente trascinata verso il fisso, dove risiedono tutte le foto e disegni, con l’intenzione di distrarmi un po’ nonostante somigli più ad un’ameba che ad un essere umano ticchetto lentamente e intontita. Riformulo. Un’ameba con corportamenti da bradipo e sguardo allucinato da lemure. Pallore ai massimi storici. Mamma e papà, preoccupati in trasferta,  oggi litigavano perchè entrambi sostenevano fortemente  due tesi affascinanti seppur contrastanti: “E’ più bianca di quando ha avuto l’otite due settimane fa “ “No. E’ più bianca di quella volta che ha avuto l’intossicazione per aver mangiato troppo ananas” “No ti sbagli. E’ più bianca di quella volta che ha cenato con tre chili di granita ai gelsi”.

Una certezza regna sovrana: Febbre o non febbre io apporto comunque la mia inutilità sul web. Stoica, impavida ed eroica. Perchè qui tra Tour Pasquale e 456 articoli non pubblicati forse sarei un attimino indietro.

Questa settimana dovevano esserci per l’appunto tanti angolini del “ma lo sapevate che”, la tediosa pseudorubrica redatta da me e il nano da giardino psicotico. Il puntatone sull’Okonomiyaki sarebbe stato di certo il mio preferito. Un bel polpettone deliriaco di novemila paragrafi. Tra ricordi, Licia, Marrabbio e quanto fosse ridicola la versione italiana. Era previsto pure un videopost per l’Okonomiyaki con me vestita simil Marrabbio giusto per esagerare.

E invece. Sinteticità e tre frasi buttate a caso. Che sia giusto augurarsi febbre tutto l’anno per la prolissa Iaia? (che poi mi pare che io sia prolissa anche oggi, ma vabbè. Contraddire una poveretta febbricitante parrebbe cosa assai meschina)

Avrei voluto condividere qualche quesito intellettualmente stimolante del tipo: Anche voi fissavate il vuoto chiedendovi perchè Licia nella sigla iniziale portasse con scioltezza un’acconciatura biondo platino? o ancora: Anche voi avete pensato ad una possibile correlazione genetica tra la parrucca di Andrea, nella squallida versione italiana, con quella di Moira Orfei?

Ma sto per cadere a terra gridando “Polpettaaaaaaaaaaaaaa” con voce Giulianesca a causa di un mal di testa feroce e temperatura in aumento (anche voi dite polpetta in maniera giulianesca, vero?) e la mezzoretta concessami prima di ributtarmi a lettuccio è praticamente scaduta. La mia autorità al momento è stata annientata da una tipa che mi somiglia. La stessa che continua a dire “potrei aggiornarlo io il blog”

Insomma se domani dovesse comparire un articolo dove si narrano le gesta di una bimba con i capelli ricci che voleva stare dentro le pentole e con i piedi a mollo sappiate che sì. E’ mia mamma. In genere quando racconta di me parte sempre da lì. L’okonomiyaki da me preparato è una semplicissima base con tocchetti di maiale. Il Nippotorinese non poteva di certo non gradire l’accoppiamento nipponico per eccellenza maiale-cavolo (tra l’altro molto ricorrente in questo periodo) . Li ho serviti con dei Noodles semplicissimi, una commercialissima Sapporo fresca e via. Come fare felice il pelato in tre minuti.

Per dar prova che le mie conoscenze lingustiche procedono a gonfie vele e che le lezioni di Giapponese pure,  comincio una serie di strafalcioni, ok?

Yaki è una componente ricorrente nelle ricette giapponesi proprio perchè il suo significato  rappresenta un tipo di cottura; esattamente “alla piastra”.
Il resto “okonomi” invece, sta per “cucina ciò che ti pare”;  O almeno è quello che si avvicina di più. Letteralmente quindi l’okonomiyaki sta un pò per “cucina quello che vuoi alla piastra”. Partendo infatti  da un impasto base con la presenza di uova, farina, latte, brodo dashi (ichibandashi) e cavolo si otterranno queste “frittatone” che potranno poi essere condite a piacere. Nonostante non abbia niente di lievitato l’okonomiyaki è definita la pizza giapponese proprio perchè si può metter su quello che si preferisce; passando dalla carne al pesce indistintamente(una sorta di paella! L’okonomiyaki è TUTTO. E’ il riassunto di Tutto. Pure della Moussaka)  Molto usata è la pancetta, ma anche i gamberi, il polpo, manzo, maiale e pollo. Mi verrebbe quasi da dire Ornitorinco ma non lo dirò. Un bel pezzo di anatra glassata però sì. Quello voglio dirlo.

Questa via di mezzo tra “una frittata e una pizza” per consistenza e sviluppo nonostante le molteplici preparazioni può essere distinta in due modi soltanto. Esistono difatti due stili di cucina per la realizzazione dell’okonomiyaki. Hiroshima Fu  e Kansai Fu  un modo per dire “alla Hiroshima” o “alla Kansai” .
Hiroshima Fu è la preparazione più complessa e necessita del teppan (piastra giapponese). L’okonomiyaki somiglierà ad un enorme crèpe o pancake che dir si voglia (circolare) e sopra verranno adagiati tutti gli ingredienti scelti. Abilmente con delle palette verrà girata fino a formare una sorta di effetto sandwich. Questa tecnica particolarmente complessa (impossibile)  oltre a richiedere la presenza della piastra giapponese  implica una capacità non indifferente. Insomma lasciamo stare “alla Hiroshima”, santapizzetta!(ma io un giorno avrò la cucina con il teppan. Si metta a verbale)
Al contrario il metodo Kansai è alla portata di tutti (eqqquativolevo!) ed è quello usato un po’ sempre in tutte le latitudine estranee al Giappone. Il metodo Kansai infatti non necessita del teppan ma semplicemente di una padella. Basterà preparare la pastella base e condirla come si è detto a piacere (oh non dimentichiamoci le uova eh! pure fritte sopra. Con il metodo Hiroshima sarebbe meglio ma ci si può sempre accontentare)

Sull’okonomiyaki, prima di servire, va messa una salsa apposita “la salsa okonomiyaki” per l’appunto ( c’è chi preferisce qualche goccia di salsa di  soia ma Ça va sans dire. Ci si può mettere davvero di tutto) e della maionese irrorata da scaglie di katsuobushi (tonno essiccato in scaglie di difficile reperibilità. Solo una volta siamo riusciti a beccarlo qui, mentre a Torino si trova senza particolari difficoltà).
La salsa okomiyaki è composta prevalentemente da frutta ( ho la ricetta e  devo farla già da un po’) e per i puristi è davvero indispensabile. Il sapore unico di questa enorme pizza non pizza frittellosa che continuo a chiamare: Polpetta. Credo proprio come tutti i  bimbi della mia età.

Polpetta.

Un gatto arancione di nome Giuliano vicino un telefono rosa, voglioso con occhi a cuoricini tipici delle espressioni kawaii che brama la sua”polpettttaaaaaaa”. Certo è che la traslazione linguistica doveva cadere in qualcosa di semplice e in effetti non riesco ad immaginare niente di meglio che polpetta.
L’okonomiyaki è protagonista indiscusso di molti cartoni niponici amatissimi anche qui in Occidente e non soltanto di “Ai shite Knight” al secolo  “Kiss me Licia”(Marrabbio infatti era proprietario di un ristorante proprio di okonomiyaki) ma anche di Ranma,  dove Ukyo  Kuonji esperta di questo piatto porta sempre con sè la paletta, indispensabile per la preparazione .

Da piccola, giá aiulorofobica e vegetariana inside, ero ugualmente attratta da questa fantomatica polpetta proprio perchè visivamente la ricordo tutto fuorchè come una polpetta. Colorata, divertente, enorme e fantasiosa. Credo proprio che si possa propinare ai bimbi girandoci un po’ intorno e raccontandogli di Giuliano. Io ne farò una versione vegana per appagare questo desiderio, ecco. Nel contempo ne preparerò a bizzeffe perchè rimane una ricetta facilissima, veloce, particolare e che qui in casa viene apprezzata anche dal siculo papetto che tutto è tranne che tradizionalista in fatto di cibo.

 Insomma occorre anche un pizzico di fortuna. Mi fosse capitato lo stereotipo (e neanche tanto) dell’uomo siculo che a mezzogiorno vuole ” a pasta co sugo!” e un papà tradizionalista che “non mangio queste schifezze ma solo la norma con la ricotta siciliana”  beh. Sarebbe stato particolarmente difficile cimentarmi ma. Che poi abbia un Nippotorinese, un pazzo che vuole fare il bungee jumping ed è nella sessantina e una matta che vuole aggiornare il blog e richiede “risotto al mandarino” è un’altra storia.

L’angolo del cuore. Un angolo di 360 gradi però.

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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