Ricette Vegetariane e Vegane

Cey e Giuls . Lava e Ghiaccio. 10.10 p.m.

E poi ti viene voglia di usare il bilanciamento colore e virare un po’ sul rosa e glicine. Senza una ragione o un perchè. Del resto queste variazioni pur avendole sempre trovate insulse se fatte male, proprio come nel mio caso, risultano sognanti. E in questi biscottini si doveva giusto calcare un po’ la mano per provocare un collasso glicemico.  La settimana cuoriciosa sadica ai danni del Nippotorinese del resto è in pieno svolgimento (sforno tre  post al giorno. Si vede che ho arretrati? Si intuisce?) 

Lo stesso che è crollato alla  vista del “ti amo” che si sussegue tra piogge di cuori, abilmente lasciati sullo snack della cucina in queste freddissime (25 gradi in casa) mattine fatte di ritardi, urla e baci fugaci “ciaociaociao”.

Si è fermato e ridendo sotto i baffi che non ha è riuscito solo a dire “non stiamo esagerando un tantino adesso?”.

Sì. Credo proprio di sì.  E vorrò esagerare. Sempre. Comunque.

E’ strano avere impegni. Generalmente era sempre stato lui a fuggire e urlare ritardi mentre gli infilavo tre biscotti in bocca  e con il mio pigiamone di Snoopy vagavo con penne e fogli e ipad sotto le ascelle.

Come baguette a Paris.

E’ strano per me nonostante ormai un po’ di tempo sia passato. Da quando vi sono scadenze, impegni o qualsivoglia collaborazione pur ostinandomi a non usare il termine “lavoro” lo è. Ed è proprio in queste mattine che senza volerlo appaiono immagini di un passato che pur sembrando collocato ere fa, così lontano non è. E’ come fissare uno specchio di un parco giochi dove vedi esattamente il contrario. Lo specchio deformante. E la verità la sai solo tu.

Il 4 Maggio e il 4 Novembre che diventano tre volte quattro che guarda un po’ fa dodici, ti girano in testa e fissando l’Etna innevata con la lava calda che sgorga e zampilla: capisci.

Capisci che è una vita di eccessi quella che sei destinata a vivere.

Avevo paura. Moltissima paura dei muri alzati e dei cancelli sfondati. Di questa mia insana voglia di rosa, tenerezza e semplicità che frulla con l’anima nera strapiena di rosso, sangue e violenza.

Un disequilibrio che non ha spaventato solo me. 

Eppure bastano dei biscotti a cuore che odorano di normalità e parole. Mentre il ghiaccio resiste imperturbabile tra tutti quei fuochi che ieri illuminavano il cielo e le stelle. Lontanissime.

Eppure bastano a ricordarti di non avere mai paura. E di fidarti.

A me questo rosa, l’Etna che esplode e questi biscotti ricordano solo una cosa: Cecilia.

Che scrive questo.

Cecilia è un nome che arriva forse inaspettato in questo contesto ma così non è. La parola Cecilia non è arrivata sinora perchè non ho mai cercato le parole. Sono sempre state loro a cercare me. Come i miei personaggi, i disegni e le storie. Se fossi completamente impazzita, e manca giusto poco, mi definirei come quella meravigliosa ciarlatana di Rosemary Altea; alla quale va riconosciuta la forza di rimaner seria durante i suoi vergognosi teatrini che giocano su vite e ricordi con podi di dolori.

Come spiriti e alieni alla realtà le parole arrivano ed esplodono. Allo stesso modo organismi più complessi come Ary e tutta la famiglia e terza generazione di Phobialand. Nei miei racconti.

Stamattina guardando l’Etna ghiacciata con la lava mi sono ritrovata lì. Ho visto Cecilia scendere velocissimamente da una discesa di polvere di lava. Gridando. Pochi minuti prima eravamo abbracciate su un masso in mezzo ai Crateri Silvestri. Suppongo, senza rifletterci molto, che le parole su Cecilia siano arrivate adesso perchè la mia paura è lì. Pronta ad emergere sempre. Come la lava.

Suppongo altresì che non riuscirò a debellarla e per certi versi non dovrò preoccuparmene.

Credevo che trascorrere del tempo con lei sarebbe stata una pioggia di cuori e amore. Un abbraccio infinito.

Il nostro incontro è stato esattamente quello che c’era oggi dalla finestra. Fuoco su ghiaccio e l’esatto contrario. E non perchè il sangue del nord e del sud come stupida tradizione vuole imponga un elemento freddo e uno caldo in questo contesto. Semplicemente perchè ancora una volta ho dovuto fronteggiare una situazione di diversità a cui non sono abituata. Un altro spaventoso limite che riesce a paralizzarmi pensieri e battiti cardici.

Il sorriso e la spontaneità di Cey, perchè non l’ho mai chiamata Cecilia, sin dal primo abbraccio quando teneva un fogliettino “Gara delle Olimpiadi dell’Antipatia” in aeroporto, mi hanno fatto esplodere e catapultato su un altro pianeta. Per tutti i giorni insieme si è annullato il mio essere Maghetta, Streghetta, Gikitchen. E’ esplosa la sensazione di essere nick restando nuda con tutti i miei mostri. Le mie rughe e il mio occhio stanco. I miei difetti evidenti e la gamba destra storta. E’ emerso tutto.

Il mio broncio involontario e quell’essere signorina gne gne gne. Che dà direttive precise. Impartisce ordini e non è poi quella dolce Alice smarrita; piuttosto un carro armato che sa bene cosa vuole e quando.

E mentre mi chiedevo se le piacessi, la risposta arrivava secca. No. Non le sto piacendo.

Me ne sono convinta mentre passavo la piastra alle quattro del mattino. Lo stesso mattino di quando lei arriva con la sua felpa gialla e i capelli sinceri. I suoi.

Ed io con i miei capelli finti lisci dietro uno snack con tanti cornetti al pistacchio e ricotta tagliati a metà, sto lì a guardarla sognando di essere come lei. Spontanea. Senza barriere.
Senza i miei dogmi, regole e pagine di galateo. Senza i miei vizi e comodità mentali.

Continuo a fissare quella felpa gialla. Che non mi spaventa. Come non mi avevano spaventato gli occhi azzurri di Giulia.

Butto giù un altro sorso di caffè mentre capisco informazioni semplicissime. Amo un uomo che ha gli occhi verdi e riesco a dire che è il colore più bello tra tutti nonostante mi terrorizzi. Una delle persone che amo di più possiede gli occhi azzurri più incredibilmente azzurri dell’universo e l’altra che è nel mio cuore indossa pure felpe gialle e non ha paura dei capelli scompigliati.

Ne butto giù un altro po’ e.

E allora tutto è più semplice del previsto? Esiste quindi una possibilità che io sia piaciuta davvero a Cey. Come esiste che si possa essere amiche? Del resto se verde-nippotorinese, azzurro-giulia, giallo-cey annullano le paure tutto può succedere no?

Non sono una buona amica e non ho mai avuto problemi a ribadirlo. Anzi mi piace proprio trovare del tempo per spiegarlo. Con motivazioni ed esempi.

Non lo faccio, insomma, in seguito a delusioni ma da molto tempo. Avevo nove anni o poco meno quando seria in volto a una tipetta bionda che frignava davanti al  mare spiegai con calma che non doveva aspettarmi ogni pomeriggio per giocare. Avevo una sfilata di moda in corso e dei modelli da disegnare. Mi piaceva stare con lei. Disegnarle le bamboline e ridere senza fare troppo rumore ma non potevo dedicare ogni pomeriggio a quello.

Ho deluso chiunque mi sia stato accanto per la mia smania di libertà e la voglia prepotente di dichiararmi autosufficiente anche quando apparentemente non lo ero. Grazie all’illusione però ho creduto che potesse esistere l’amicizia. Quella vera. Quella che non esiste,  dice una parte di me.

L’unico punto di forza che mi riconosco da sempre è questo meraviglioso cinismo che mi appartiene e non combatte ma convive pacificamente con un lato sognatore e infantile. Per questo motivo quando Cey mi ha guardato con i suoi occhioni bellissimi da  bambina che al contrario di me crede nell’amicizia, ho rivissuto in pochi attimi alcuni momenti.

Ho ricordato la mia prima migliore amica. Loredana. Il suo numero di telefono era 338919. La mia prima telefonata. Sino ad arrivare ad Agata. Il suo numero di telefono non lo ricordo ma il suo ultimo messaggio prima di morire, sì.

Non sono una buona amica perchè non sono abituata ad avere a che fare con oggetti animati davvero. I miei amici di sempre li animo io. Muovo pupazzetti e marionette che nascono e crescono secondo mie precise direttive. Si trasformano, si evolvono e spariscono in cassetti.

Sotto la tenda che mi costruiva mamma invitandomi a inventare mondi stavo ferma lì certe volte. Sperando di poter aprire la porta di casa e scendere giù. Dove gli altri bambini giocavano nel cortile. Che non fosse così pericoloso per me girare in bici, nascondermi e contare uno due tre quattro a chi vedo vedo.

La colpa non è di nessuno se non sono una buona amica. E’ solo un dato di fatto che cosciamente ribadisco. Eppure di gente che ha voluto contraddirmi in vita mia ne ho avuta davvero tanta. E adesso che la mia ragione è solo mia e che sono tutti pupazzetti buttati in aria al grido di “non vi sopporto più”, vedo il finale che mi ero prefissata.

Ho ragione. Non sono una buona amica. E la questione di principio e la ragione, lasciando perdere i dolori, per me sono di fondamentale importanza. Perchè oltre a non essere una buona amica sono supponente e arrogante. Sono antipaticamente perfezionista e nevrotica. Sono abituata a ricevere e avere il meglio. A lamentarmi per qualsiasi cosa fin quando tutto non è esattamente come ho stabilito. Non importa quante persone dovranno essere coinvolte ma dovrà andare esattamente come dico io. Perchè quello che dico io nella tenda, che mamma mi costruiva per inventare mondi il pomeriggio, è legge.

E forse non sono una buona amica perchè ancora vivo sotto la tenda. Da sola.

E perchè so che non sono questa ma ho deciso di esserlo.

Quando sono arrivata in aeroporto attraversando la strada in una preoccupante calma apparente all’aeroporto di Catania, dove generalmente si lanciano auto in aria e avvengono sparatorie di bacetti al figliol prodigo tornato dall’algido nord, ripetevo solo “non le piacerò. Non sono maghetta streghetta, io”.

Il “ma lei lo sa” di Pier non era sufficiente. E non lo è stato fino alla fine. Perchè in cinque giorni insieme a Cey la domanda che mi ha assillato è stata “cosa avrebbe fatto maghetta streghetta?”.

Avrebbe saltellato. Sorriso. Mandato bacetti. Senza rendermi conto che io davvero saltello. Sorrido. Mando bacetti. Ma non con le sembianze di un fumetto. E questa carne e sangue che penzolano dolori talvolta sono troppo pesanti senza una gomma pronta a cancellare tratti.

Io di Cey non dimenticherò la sua corsa velocissima giù per i Crateri Silvestri mentre il vento fortissimo mi spaccava le labbra. Lo stesso ricordo e suono che riemerge in una mattina dove ci sono biscotti a cuori. Gli stessi che vorrei preparare per lei e per Fab. Per una colazione di nuovo insieme.

Dove questa volta io potrei tormentarmi meno.

Non dimenticherò quando su un masso abbracciate ho sentito il nostro cuore affaticato per la salita battere fortissimo. Chiedermi se davvero fossi lì. Con Cey. Dopo cinque anni di un “ti voglio bene” che odorava troppo di virtuale. Dopo cinque anni passati a sapere ogni cosa delle rispettive vite senza sapere nulla.

Come non dimenticherò l’orrendo turducken, trasformatosi poi in una creatura inquietante. Le gambe mi si sono paralizzate. La guardavo imbottire di Cointreau la pelle del pollo. E mentre io cucivo un animale sventrato ho capito che era un po’ come ricucire il mio cuore. Da ferite e dolori. Mentre lei imbottiva con del pangrattato di ricordi felici giusto per darmi qualche iniezione di felicità.

Sale sul mio camion a rimorchio di difetti Cey, per star seduta comodamente lì. Mi osserva riportandomi a una realtà che non conosco se non per sentito dire e  mi rassicura con un abbraccio dicendomi che sto andando benissimo mentre io al contrario mi ripeto che no. Non sto andando per niente bene.

Di Cey mi hanno colpito gli occhi, che avrei voluto fotografare a lungo se solo fosse riuscita a restare ferma un po’. Si muove come mia mamma. Appena l’obiettivo è addosso alle sue pupille, vira lo sguardo e freneticamente sbatte le palpebre. Come fosse la funzione pulse di un robot da cucina.

Sono sempre stata bravissima a fare l’albero di Natale. A sistemare cromaticamente gli addobbi e fare studi approfonditi sulla sistemazione parallela delle palline ma con Cey no. Non sono riuscita a capire nulla di quello che stavo facendo. E’ riuscita a rompere qualsiasi equilibrio e nei miei silenzi preoccupati vi era un’altra  domanda, oltre “a cosa avrebbe fatto maghetta streghetta” che mi attanagliava e tormentava:

e se fossi una buona amica per lei?

E poi in aeroporto tira fuori una bottiglia di succo di pera. E quando abbasso lo sguardo lei non capisce. Che io ho solo voglia di piangere un po’ e raccontarle quello che non sono riuscita a dire. Che io a quella domanda mi sono risposta sempre solo:

no.

Non sarei una buona amica per lei. E’ inutile quindi anche solo provarci?

La risposta è uguale.

No. Non è inutile provarci.

Per me è stato immensamente difficile e lo continuerà ad essere. Perchè se ho una certezza è che Cey merita una buona amica. Proprio come lei .

Ti voglio bene Cey. Sei nel mio cuore nero. Non sotto forma di biscotto che si sbriciolerà ma di ferro saldo. Che rimarrà.

E io per te ci provo.

Lascio la ricetta dei biscotti cuoriciosi senza latte. Che si conservano benissimo in una scatola di latte e che quindi possono essere preparati con netto anticipo.

La ricetta dei Biscotti cuoriciosi senza latte è questa:

Ingredienti per 30 biscotti circa: 200 grammi di farina OO, 130 grammi di farina di riso, 120 grammi di zucchero integrale di canna, 60 grammi di olio extra vergine di oliva, 2 uova, 1/2 bustina di lievito per dolci, 1 baccello di vaniglia o cannella se si preferisce (altrimenti se non piace la vaniglia o la cannella aromatizzare con la scorza di un limone grattugiato non trattato biologico oppure con le essenze al mandarino classiche)

In un robot da cucina, se lo possiedi, versa tutti gli ingredienti fino a quando ottieni una pallottola. Falla riposare in frigo avvolta da pellicola trasparente per almeno 30 minuti prima di lavorarla. Se non possiedi un robot da cucina lavora tutti gli ingredienti come fosse una frolla normale anche se non vi è la presenza del burro e quando ottieni un impasto omogeneo avvolgi per bene nella pellicola e appunto come detto precedentemente fai riposare per 30 minuti almeno in frigo.

Infarina quindi il piano di lavoro e il mattarello e ricava tanti biscottini a cuore. Fai cuocere a 180 per 15-18 minuti fin quando saranno dorati. Il tempo di cottura dipenderà chiaramente dall’altezza e grandezza dei biscotti. Regolati quindi tu basandoti su colore e consistenza.

Quando appaiono dorati sfornali e una volta raffreddati se vuoi decorali con il cioccolato fondente.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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