Dovevo già essere tornata in patria avvolta da un mantello di gianduiott e osannata tra petali di gianduja e bicerin estivi nei bagagli trasportati da piccoli toret che non elargivano acqua fresca ma cioccolato fondente Torino extra bitter all’ottanta per cento. Colei che navigò per mesi e viaggiò in treni senza aria condizionata sino a raggiungere la capitale dotata poi di ferrovie veloci che l’avrebbero portata al Nord, dove la gente è sconvolgentemente accogliente. Qui di freddo c’è solo il freezer dell’albergo dove non puoi impostare la temperatura e ti ritrovi, contando che fuori ci sono quindici gradi, con allegre congestioni notturne quando in preda alla sete più nera sgargarozzi frizzante (e non ho più l’età per farlo) perché allo Sfashion Cafè hai fatto abuso di verdure grigliate leggermente salate (colpa mia eh. Non avevo capito che i buchi della saliera erano quindici e larghi 3 cm e non due larghi 2 mm. Sto dando i numeri o sbaglio?). Insomma per dire che mi manca terribilmente la mia mamma. E vorrei gettarmi per terra e frignare. E mi manca terribilmente il mio papà. E vorrei gettarmi per terra e frignare. Ma visto che siccome so cominciare i periodi sintattici con “ma visto che siccome” e sono una persona adulta che riesce a salire pure su un montacarichi (ebbene sì) mi butterò per terra e frignerò solo qualche minuto per rimettermi subito in piedi e proseguire questo viaggio che per una serie di eventi si sta prolungando. Non per fare la misteriosa. Tedierò l’universo anche alieno al mio ritorno con dettagli che non interessano neanche ai miei parenti più stretti (fortuna che ne ho pochi) ma fermarsi è davvero difficile. E manca quindi anche l’opportunità di scrivere e soprattutto disegnare. Unici tasti dolenti. Posso in qualche modo sopperire all’assenza della tavoletta grafica usando come sempre l’ipad e qualche appunto veloce su moleskine e aggeggi elettronici riesco a reperirlo ma il flusso di idee visive quando è inarrestabile e cerchi di fermarlo. Triste, ecco. L’unica tristezza, oltre a quella primaria di non avere i miei genitori accanto e il loro odore, è solo questa.
Perché Torino è casa. La sua assenza è violenta quando sono a Catania e non viceversa. La cosa buffa è che me ne dispiaccio. Il fatto di non sentire l’assenza visiva del vulcano e il nero. Tutto questo bianco, candore, perfezione e allineamento di strade dopo un caotico inverno tra polveri e disordine e pioggia di cenere di lava, rappresenta il distacco in teoria da tutto e tutti.
Non vivo più Torino da turista. Certo non la vivo come vorrei ma rispetto agli scorsi anni è diverso. Ho stretto qualche amicizia. Ho avuto l’onore di conoscere una sirena dai capelli rossi che sento di amare per affinità di anima. Ho pianto in un camerino e mi sono ritrovata a parlare di dolori e gioie tra un paio di scarponcini e due vestitini. Ho rivisto l’ingegnere, il suo kindle e il suo yorkshire e non vedo l’ora di disegnarlo e raccontarlo. Ho conosciuto chi avevo percepito come amica solo attraverso delle email e dei contatti e si è rivelata molto di più. Ho davvero vissuto (e sto vivendo) Torino in una maniera totalmente anomala paragonata alle precedenti.
Resterò sotto la Mole ancora un altro po’ cercando di trattenere alcune ansie e dolori come quelle poche assenze che mi fanno star male per godermi davvero a pieno quello che mi ero ripromessa. Ecco perché se ho trovato una grande conferma in questo viaggio è quella di non avere mai più dubbi su una cosa: che il volere è davvero potere e che bisogna assolutamente e in qualsiasi modo perseguire obiettivi e sogni. Per quanto sia qualunquistica come affermazione, ai limiti del ridicolo direi, nasconde un fondamento di verità tale da portarti ad avere una crisi mistica se solo si riesce a focalizzare per bene. La ricetta di oggi, che avevo se non sbaglio servito a pochissimi giorni dalla partenza, è un’insalata di riso thailandese con cruditè di verdure (zucchine, carote e peperoni) insaporite da foglie di menta e servita con le note croccante delle mandorle. La particolarità di questa insalatina velocissima era l’esasperazione dello zenzero. Il riso infatti doveva essere cotto mettendo la radice di zenzero all’interno dell’acqua bollente e salata che avrebbe accolto il cereale in questione. Una pioggia di spezie (quelle che si preferiscono) era poi la chiusura prima di servire.
Niente di assurdamente complicato. Anzi. E’ solo far cuocere il riso con la radice di zenzero e usare come contorno verdure crude (che poi ritorniamo sull’aspetto salutare come sempre) e mandorle per la croccantezza.
Questa insalatina speziata thailandese è una versione vegetariana/vegana che può anche essere servita come primo piatto ma rimane perfetta per accompagnare un buon pesciotto. Magari soltanto leggermente scottato.
(e mi perdonate se non sono precisaprecisaprecisa con le indicazioni vero? Lasciare il moleskine a casa dove prendo appunti in cucina con dosi precise e blablabla, è stata una furbata degna di me)
(sono disperata e senza unghie. Questo per dire che da “strega cattiva di Biancaneve con unghie lunghe e affilate di rosso laccate” sono “Cenerentola esaurita con unghie corte e spezzate nere di polvere”. Questo perché furbamente ho usato uno smalto NERO *si schiaffeggia* terribile, che doveva essere vernice, e che in nessun modo l’acetone riesce a portar via. Fortuna che è inverno qui e posso mettere i guanti di pelliccia)
(e mi mancate tanto. Vi leggo sempre e uff. E sempre cerco di rispondere ma poi. Insomma recupererò sperando di farmi perdonare in qualche modo. I miei grazie per la compagnia, le parole e l’affetto non basteranno mai. Mai amici miei)