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Questo Post contiene 1342134234234234234234234234 immagini, 342342342342342342324342323423423 milioni di emozioni, 3423423423423423423434523442234 miliardi di storie e sogni. E un amore. Infinito. Il tuo computer potrebbe esplodere. Mai morte avrebbe più potuto valerne la pena (equannocevòcevò).
Non si può raccontare il 16 Maggio 2013 o per meglio dire si può ma in un’infinità tale di modi che tutti farebbero apparire lo stesso tempo un altro e altro ancora. Muovere le lancette in quell’iperuranio di idee che trovano finalmente sostanza, spessore e campo visivo reale o presunto diventa a tratti annichilente tanto l’emozione ti sconquassa. Ho la strana capacità di vivere tutto in differita. Nell’esatto momento in cui calpesto un luogo e vivo i momenti vengo sopraffatta dai colori e dalle forme che mi circondano. Fotografo ogni singolo dettaglio per dimenticarmene immediatamente ma so già che apparirà nitido a distanza di tempo. Se molto tempo, meglio ancora. Nell’esatto istante in cui premo sull’otturatore del mio occhio fotografico non riesco bene a comprendere neanche il colore dei capelli di chi ho davanti. Poi quando ritorno nel mio mondo di solitudine e campo visivo conosciuto quel colore non solo diventa vivido e preciso ma ne avverto anche le minime sfumature. Se mi avessero chiesto che scarpe indossasse Ombrella nei cinque giorni che il mio respiro ha assunto la sua stessa aria avrei risposto: plateau 12 tacco con Swarovski. Adesso posso disegnarle quelle scarpe da ginnastica. Anche le trame della gomma sotto. Adesso so che non erano decolleté. Ma in quel momento no. Lei indossava un abito colorato lungo con strascico e un boa di struzzo che ondeggiava sotto le mie pupille. Tutto colorato e piumacchioso. Per ipnotizzarmi con gli accecanti colori che la sua anima rimandava.
Per cominciare insomma quello che vorrebbe essere una sorta di resoconto, ma così non sarà . Il 16 Maggio 2013 lo racconterò ogni volta in maniera diversa. E più il tempo trascorrerà e più dettagli avrò. Saprò pure quante tasche ha lo zainetto di Max e quante trame esatte hanno le sfumature del blu degli occhi di Pani. Capirò anche esattamente che curva bellissima fa il sorriso di Francy e quanto grigio c’è negli occhi di Antonia che commossa parla di me in un modo che non merito.
Ho sempre chiamato Fermatempo quelle che mai hanno voluto essere solo delle fotografie, scatti e momenti. L’ho fatto con cognizione di causa e in rari momenti di lucidità proprio perché il comune termine foto non è stato mai adatto a quello che il mio occhio ha sempre voluto raccontare, rimandare ed evocare. Ed è stato proprio per questo che fermare il tempo è stato difficile e lo sarà . Ed è stato proprio per questo ancora che a tratti quando il tempo lo ha fermato qualcun altro ho sofferto.
Dal 16 Maggio 2013 ho imparato un baule di esperienze e di quelle scarpe di cui parlavo a pochi giorni dalla partenza ho aperto un calzaturificio. Una fabbrica. Enorme. Dove a confezionare calzature di ogni tipo e sorta ci sono i sogni e le speranze. Non solo mie ma di tanti.  E questi tanti non sono tra tutti ma tra quei pochi che ho avuto l’immenso onore di conoscere e abbracciare.
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(per tutte le email che ricevo entro giugno)
Ho sempre creduto fortemente di valere poco come persona. Ricordo l’ultimo tema fatto in  terza liceo quando preannunciavo con scioltezza alla mia professoressa di italiano che stavo ritirandomi per un anno. La scusa ufficiale era la terapia per combattere la bulimia e il fatidico anno sabbatico. Quella vera era che non volevo attraversare più il corridoio da obesa. Che non mi sentivo integrata nonostante i miei compagni fossero meno peggio di quello che potevano essere. Che non ero io. Che non lo sarei mai stata. Ma soprattutto chiudevo il tema dicendo che io nella vita non sarei mai riuscita a fare nulla perché conscia del fatto che mai ho creduto ( e avrei creduto) nelle mie capacità .
La vita mi ha dato torto. E me lo ha dato nell’esatto momento in cui ho capito di valere un viaggio. Una maglietta. Un abbraccio. Un pianto. Un bacio. Un incoraggiamento. Un tutto.
Dovessi riuscire a  spiegare le sensazioni che precedono Giovedì 16 Maggio 2013 potrei impiegare più vite. Semplicisticamente potrei riassumere con: come se dovessi prendere un ascensore tappezzato di verde con tanti gatti dagli occhi azzurri che si trovano all’interno di un aereo che vola impazzito sopra Phobialand, il luogo dove tutti i miei incubi hanno vita, corpo e soprattutto anima. Per scoprire poi l’esatto contrario. Del tormento.Â
E’ stata la notte più difficile della mia vita. Ho dovuto fronteggiare il mostro che vuole uccidere il mio papà ormai a capo di tutti gli incubi che si affollano per fare male al mio cuore, alla mia testa e alla mia anima. Ho dovuto mettere da parte la  pelle flaccida che mi tormenta nella speranza che nessuno la vedesse a dispetto di tutti gli enormi sacrifici che ho fatto per non essere più obesa pur rimanendolo. Ho dovuto sudare, contorcermi, tranquillizzarmi, aizzarmi, schiaffeggiarmi, punirmi e idolatrarmi in un turbine contrastante di sensazioni pericolose e bellissime. Mi sono sentita inadeguata e al posto giusto ogni momento. Ho creduto di essere sbagliata e perfetta negli stessi istanti.
Questa è la maglietta che la Banda dei Picchiatelli ha indossato per me (non smetterò mai di piangere). In foto Max e la suddetta (con la fronte corrugata. Avete notato che sono più smorfiosa di Jim Carrey?)  che gli spiega come inquadrarle esattamente il braccio per farla sembrare giovane, magra e aitante. Sotto una tipica espressione di scrittrice seria e impegnata e una di Ingegnere multilingue professionale abbigliato in modo sobrio e serio con completo maghettoso (ci licenzieranno tuttiiiiiii ).
Max mi ha detto che non mi sono commossa vedendolo. Max è uno stupido, ho pensato con tutto l’amore che posso. E l’ho pensato leggendolo tra le vie di Torino mentre mangiavo una granita arancia e basilico. Uno stupido stupido, ripetevo battendo i piedini come una bambina a cui è stato negato il giocattolo. E mentre mi veniva voglia di arrabbiarmi come quella volta della campagna sponsorizzazione sui twitter awards e sognavo di battere i pugni sul suo petto al grido di tipicchiotipicchio. Mi sono commossa.
Quello che non sa Max è che per me era importante la serenità . Dei punti fermi. Fissi. Conosciuti. Eterni. E nel momento in cui era richiesto di indossare la maschera, poi rivelatasi assolutamente inutile, avevo assoluta necessità di incontrare sguardi che avevo già accolto tra pupille, anima e cuore. Ed è per questo che ho chiesto di Max di venire in albergo. Di infilarsi in un pullman e di correre velocissimamente con quel Caronte mobile verso la porta dei Sogni e Incubi dove c’era scritto erroneamente Salone del Libro  (chissà perché non si chiamava proprio Fiera dei Sogni e Incubi. Ma su questo quesito è meglio fermarsi poi perché le dita vanno troppo veloci e non posso fermarle). Quando l’ho visto lì sul divano con il suo sorriso e lo zainetto ho scorto quello che di più grande c’è in Max. L’essere Gigante e Bambino. Maestoso e piccolo. Logico e Sognatore. Razionale e completamente follemente immaginificamente Pazzo come piace a me.
Quello che a mio modo volevo dimostrare a Max, buttandomi addosso e abbracciandolo (ci mancava poco che gli saltassi sulle spalle come una quindicenne americana in un Campus ammerrigano), pacioccandolo e spupazzandolo era proprio il senso di. Famiglia. La realtà è che volevo dirgli matuseiscemo chetiseifattotutti stichilometriperme e piangere. Dire che non ce l’avrei mai fatta. Che ero grossa. Che ero brutta. Che avevo il neo visibile. Che.
Ma Max, che ha sempre ribadito il suo orgoglio nei miei confronti come fossi sua figlia (anche se a me piace più come fratello maggiore) aveva per me necessità assoluta di essere tranquillizzato. Proprio come ho fatto con papà . Proprio come ho fatto con mamma. Con Pier. Con la Bionda. Proprio indossando un po’ a forza quella maschera che credevo di dover indossare alla Presentazione dove è avvenuto esattamente il contrario.
Sfocata (grazie al cielo) la grande (scema) autrice alla quale viene consegnato il moleskine dove dovrà disegnare facendo una delle brutte figure più clamorose che la storia delle brutte figure clamorose ricordi. Al posto di Maghetta disegnerà una palla con due occhi. Al posto della Mole disegnerà “una pentola” (così disse saggiamente Estella).
Dentro il Taxi-Pullman la bionda cerca di fare foto dall’alto. Non riuscendoci tra l’altro perché la storia continuerà con orrende inquadrature dal basso tutte bocciate. ESSA rischiò il licenziamento. Anzi no. Venne proprio licenziata.
Sì perché l’intento era quello di indossarla lì. Di mantenere un certo decoro per tentare di razionalizzare anche solo un po’ e dedicarmi totalmente a chi aveva avuto la premura di condividere uno dei momenti più importanti della mia esistenza. Tuppete.
Caduta. Niente Maschera. Panico Assoluto. Nonhocapitonulla.
Mi sono ritrovata in un taxi-pullman con Max, la Bionda, Aluccio venuto per 24 ore, Mamma, Papà e. E me. E San Nippo da Torino.
Piove forte e i capelli perfettamente piastrati sono bagnati. Vaporosi. Stanno per diventare ricci. La maschera sta cadendo.
Mi commuovo in silenzio mentre Max e la Bionda si girano verso di me per incoraggiarmi. Il mascara non troppo waterproof (ma per quanto ho pianto neanche la vernice a presa rapida lo sarebbe stato) comincia a cedere. Il panda comincia a emergere. La maschera sta cadendo.
In un momento che so identificare proprio con un luogo, e quindi posso stabilire nell’entrata ufficiale al Lingotto, decido di gridare. Urlerò “fatemi scendere. adesso basta. finiamola”. Tirerò il portone del taxi-pullman e correrò via. Lasciandoli lì a dire “lo sapevo che scappava” – “sì me lo sentivo” – “ma era ovvio che non avrebbe retto”. Vengo strozzata dalla mia stessa voce e dalla mia stessa me. Sto in silenzio. Mi tengo la pancia che pende e la prego di scomparire. Solo per quella mattina. Solo per quelle ore.
Arriviamo.
Aprono il portello e il tassista mi dice di stare attenta alla pozzanghera. Incredibilmente non la prendo in pieno in perfetto stile iaioso. E’ lì il salone. Io ho il pass. Non so neanche cosa sia il pass dove puoi accedere a tutto e tutti. Io voglio il biglietto come gli altri. Voglio entrare in silenzio senza nessuno che mi dica “prego passi”. Voglio fare la fila. Voglio. Ed è per questo che non riesco a mostrare il pass ma silenziosamente faccio la fila. Con loro. Che mi incoraggiano e sorridono.
Il meraviglioso disegno che riuscirono a partorire le sapienti mani della grande (scema) autrice. Pernacchie in sottofondo (è già tanto che non abbia tirato una x). Non dimenticherò mai Estella che mi chiede “vuoi una matita?”. Avrei solo voluto risponderle “No Estella mia. Voglio che spingi sull’acceleratore e mi porti a Vaie a giocare con i tuoi gatti ADESSOTIPREGO”.
Incredibile come poi lo abbia disegnato con la penna di Francy. La stessa penna che racconta un’altra storia. Tra me e lei.
Il cuore mi scoppia perché Francy è lì. Esattamente dopo la barriera e fila. Mi aspetta tenendo la borsa stretta. Leggo nei suoi occhi la stessa paura che ho io. Vedo nel suo sguardo lo stesso mostro che conosco e che combatto. E incredibilmente invece di buttarmi a terra e piangere una forza improvvisa si impossessa di me. Max mi abbraccia forte. Ci facciamo una foto. Alzo le braccia e urlo “Fraaaanncccyyyy”. Lei timidamente fa lo stesso. E io non vedo l’ora di abbracciarla. Io che generalmente ho paura di tutto quello che sia contatto, mi ritrovo a voler abbracciare tutti. Pure il signore che stacca i biglietti. Pure quello che controlla i pass ma che non saprà mai che io ce l’ho ma faccio la fila lo stesso. La fila si accorcia. Francy si avvicina per questo. Perché lei non si muove. E aspetta il suo destino proprio come me. E’ quando la guardo negli occhi che vorrei solo afferrarle la mano e fuggire via. Verso un sorbetto extranoir che non importa se ci sia l’uovo o il latte. Verso le colline di Asti per raccontarmi di lei e raccontarle di me. E se non piango è perché. Voglio mostrarmi forte. Voglio tenerla salda questa maschera precaria che sta cominciando a cedere. Cominciamo il giro. Padiglione K. Mondadori. Electa. Gira di qua. Gira di là . Al telefono Enrica disperata che non può venirmi a prendere perché Iaccarino e baccalà mantecato mi precedono.
Lo Stand Mondadori Electa era il più bello gne gne gne gne gne gne
Quando vedo lo stand mi si ferma il fiato. Ma non è per lo stand (anche, certo).  E’ perché riconosco Selena. Si gira. Mi guarda. L’abbraccio. E’ quello che ricordo. La spontaneità . La disperazione. Trovare tutto quell’amore a sorreggermi per non farmi cadere. Essere avvolta. Protetta. Rassicurata.
Come faccio a raccontarti quello che c’è tra me e Selena? tra me e Enrica? tra me e Francy? tra me e Max? tra me e Aluccio? Tra me e.
Me?
Come faccio a raccontarti cosa si prova nel momento in cui varchi la porta del sogno e lì ci sono tutte le persone che lo hanno permesso? Per ricordarti che non erano parole ma fatti. Per dimostrarti che non erano cuoricini 2.0 ma amore sincero. Come fai? Tu ci riusciresti? Io no. E mentre mi domandavo come tutto quello potesse essere vero ho visto degli occhi fissarmi. Venirmi incontro sicuri. Forti. E.
Ho sempre creduto di essere innamorata di Paolo. Delle sue parole. Delle sue storie. Dei suoi disegni. Del suo mondo. Della sua musica. Del suono della sua voce che non conoscevo. Del suono delle sue dita che non ho visto muoversi. Ed è stato Paolo a togliermi la maschera. A strapparmela di dosso e io inerme sono stata lì. Perché in fondo speravo che andasse via. Che tutte quelle pose plastiche. Luci giuste e perfezioni venissero cancellate in un sol colpo. Ho capito che fosse Paolo immediatamente. Non sapevo che sarebbe stato lì. La Bionda mi dice che lo aveva inserito nella lista. Quale lista? La sensazione di ri-conoscere qualcuno attraverso la propria anima non si può raccontare. Incontrare uno sguardo e capire esattamente cosa contiene o almeno una parte, è.  Irripetibile. Incontenibile. Incredibile.
Era proprio il più bello GNE GNE GNE GNE. E il più simpatico GNE GNE GNE GNE!
Ci sono delle sedie bianche. C’è Flo. La mia Flo. Che sta lì con il suo sorriso e dice ciao con quella voce che ho sempre trovato incredibilmente ipnotizzante come il canto di una sirena. E la mia sirena è lì. In tutte le vesti e nessuna. In tutta la sua grandezza con le trame di ricami che si annidano nel verde che non fa più paura, come anche l’azzurro degli occhi di Paolo. E Flo mi incoraggia strizzando un po’ i suoi occhi profondi. E c’è Paola. Che ho sognato di vedere per anni. Per decenni. Che ho immaginato milioni di volte tutte diverse e uguali. Ed è lì come se ci fosse sempre stata. Come se non fosse mai andata via. Dal mio cuore. Dai miei ricordi. Un punto fermo su cui ho girato e rigirato. Mi invitano a sistemare le ultime cose e io non so cosa sistemare. Mi presentano persone che non so chi siano. Arriva Charlie (Santa Daniela Monero, sì) con il suo cappellino pieno di pioggia. La sua collana rossa e le sue strisce bianche e nere. Bianco. Nero e Rosso. Tra Charlie e me c’è un silenzio d’amore. E la trovo incredibilmente bella mentre si presenta a Mamma e Papà . Parla di gommoni e giri in barca. Parla della Sicilia. Di me. Abbraccia mamma per una foto.
Come si fa a raccontare tutto questo? come faccio? a raccontare cosa è Charlie? Apre il trolley che straripa di pastiglie leone con maghetta disegnata e. E le vedo per la prima volta anche io. Le sistemiamo a torretta. Lei mi parla. Io vorrei solo abbracciarla. Guardo Francy. Vedo Kuroko. E’ Ombrella. Ombrella vicino a Pani. Selena con la macchina fotografica. E tutti hanno una maglietta.
Una maglietta grigia dove c’è scritto Groupies di Maghetta Streghetta. Voglio buttarmi per terra e piangere. Voglio inginocchiarmi soltanto e dire grazie. A questo punto cosa importa del libro senza libro? cosa importa di me? siete voi. Siete voi che siete importanti e dovete venire tutti dietro il bancone a parlare di.
Non io.
Per una donna il giorno più importante della propria vita è il matrimonio? la nascita di un figlio? sì?
E la presentazione di un libro senza libro con amici venuti da ogni dove che sfidano il tempo e lo spazio e lo fanno per non farti avere paura? Che giorno è? Chi può vivere questo giorno? Tanti? Pochi? Nessuno? Io?
Io.
Ed è quando fisso inebetita e mi muovo con il vestito sbagliato e le calze quasi smagliate che. Stanno per arrivare Antonio, Estella e Francesca. Conosco queste tre anime dal 2000/2002. Estella l’ho già potuta abbracciare. Antonia e Francesca no. Nessuna differenza e stesse emozioni e intensità ma. Come faccio a raccontarti cosa c’è con Estella? con Antonia? con Francesca?
Abbracciare Francesca, Antonia ed Estella getta gli ultimi stracci di maschera che erano rimasti appesi saldamente. Ed è il panico che si impossessa di me. Ma non è quel panico cattivo e brutto che mi risucchia e mi uccide. E’ un altro tipo. Che non conoscevo. Che si è presentato a me il 16 Maggio del 2013. Che ho conosciuto con voi. E forse per questo non ha fatto paura. Un’ondata di magia e felicità mi ha fatto esplodere in un paradiso dei sensi dove ho creduto che papà fosse guarito e noi fossimo finalmente lì. Nell’iperuranio della mia felicità . Quell’idea vicinissima che non credevo neanche mai di poter sfiorare. Ed è stato per questo che non sono riuscita a dire una parola.
Arriva Marina Paglieri, che mi ha dedicato la pagina su Repubblica. Arriva Enrica, che amo come fosse mia madre-mia sorella-mia tutto. Arriva Charlie. Arrivi tu. Che stai leggendo.
Di quei momenti ricordo ogni istante. Ricordo la Bionda fissarmi con la sua cravatta che al mattino le ho stretto al collo con papà non sapendo che nodo fare. E che mi è stata accanto avendo a sua volta paura delle mie paure. Addossandole un gravissimo peso incontenibile. Selena mi sorride. Tiene salda una macchina fotografica e io non ho paura. Un volto che non conosco ma che mi sembra di conoscere. Un volto che. Una signora bellissima con i capelli bianchi che non si è presentata ma che avrei voluto. Una ragazza in fondo. La Dottoressa Suocera, la mia Piola e Sirpe che avevo conosciuto in un’occasione spiacevole due anni fa e che.
E’ tutto mischiato. Confuso. E sono tutti lì. Per me.
L’impaginato del Libro “Le fumettoricette di Maghetta Streghetta e il Calendario Matto” che sarà in tutte le librerie (purtroppo per l’umanità ) da Settembre. Eh sì. E’ stato posticipato. Non appena avrò data certa la comunicherò così che ognuno possa organizzarsi per emigrare all’estero.
Per vedere l’impaginato del mio libro che non c’è. Per vedere me che credevo di non esserci. Per.
Francesca è seduta a sinistra per terra. Mi guarda piangere e con gli occhi mi incoraggia. E lo fanno tutti. Ma io non ci sono più. Volteggio nell’iperuranio della felicità e non riesco a dire nulla se non grazie. Non riesco a pensare a nulla se non perché sto meritando tutto questo. Mamma e Papà in fondo. Mi fissano. Mi fissano tutti. E io.
Non ho più pancia. faccia. neo. occhi. Io non sono più io. Sono Maghetta.
Io che bevo una limonata sorridente il giorno prima del grande evento. Dagli occhi si potrebbe dedurre un abuso di alcool. E invece. Incredibilmente: mai toccato un goccio (difficile crederlo ma).
Divento un fumetto e un etto di fumo. Divento paura e sogno. Si materializza quello che ho sempre nascosto ed esposto. L’amore più grande della mia vita è lì in piedi che mi fissa. Che mi cerca. Accanto a lui la Bionda che mi sussurra nella sua lingua: stai andando benissimo.
Cerco di nascondermi dietro una tenda che contiene una piccola macchina del caffè. Non riesco a dire nulla di sensato se non una frase scarsa. Mi passano fazzolettini. Mi ripigliano dallo stanzino. Mi abbasso. Mi alzo. Mi.
E per la prima volta in vita mia non so disegnare Maghetta (del resto ero Maghetta. Dovevo disegnare Iaia). Mi danno una penna e non so disegnare Maghetta. Non so disegnare la Mole. Non so dire nulla se non.
Come faccio a raccontarti cosa si prova ad essere amata così?
Come faccio a raccontarti oggi cosa si prova a sentirsi accolta in famiglia? Quando la famiglia è composta da grandissimi professionisti, amici, cuore e. No. Non si può raccontare. Si può solo piangere come allora. Come adesso.
Al Golden Palace, dove ho alloggiato, c’erano delle fontane con Sirene dorate. Buon segno.
Si può solo annegare tra mari di felicità e bruciori di mascara non troppo waterproof. E in quel nero che è spazzato via dalla purezza del trasparente lacrimale nuotano sirene. Nuotano cuori. Nuotate voi. Capaci di sconfiggere tutto quello che di nero c’è.
Portando il bianco e la trasparenza dell’amore.
E i tratti rossi che non sanno più di sangue ma di passione. La stessa che mai smetterà di inondare tutto quello che faccio e farò.
Non ho mai avuto paura di scrivere qualcosa. Mai. Da che ho memoria. A scuola. Qui. Solo quando ho scritto del libro ho temuto di non farcela. Credendo che fosse la prova più dura. Ma. Anche questa volta non.
Io e il Nippotorinese prima di essere chiusi dentro un bar. Dovrò raccontare anche questa mi sa.
Potrei riscrivere questo 16 Maggio 2013 milioni di volte e lo farò quando l’esigenza mi assalirà . Per quei dettagli che mai vorrò perdere e che rimarranno saldi e fermi nell’idea della felicità che mi avete regalato. Sa tutto di una musica. Sa di … and Alone di Hisaishi. Ma sola no. Non lo sono stata.
Non lo sono. E mai nessun grazie. Mai nessun disegno. Foto. Libro. Sms. Mail. Commento. Qualsiasi cosa potrà mai esprimere la mia immensa gratitudine per il gesto. Per l’amore. Per gli sguardi. Per gli abbracci. Anche di quelli che non sono potuti venire ma che ho visto lì.
Seduti. Davanti a me.
Ho abbracciato fortissimo anche te. te. e te. E mai vorrei pensassi che non ti ho visto.
E’ stata la presentazione del Libro senza Libro. Seguiranno delle vere presentazioni. Seguiranno delle vere “interviste”. Seguiranno dei veri. ma.
Per me la mia unica e vera presentazione del libro sarà questa senza libro. Tra finzione e realtà . Tra yin e yang.
Grazie. Grazie infinite.
Grazie a Clio per la foto con Charlie che ho trovato sull’Account Instagram di Lisa (che confusione santocielo. Vi adoro!).
- Grazie a Enrica Melossi che ormai non credo sia molto un segreto: amo visceralmente ed è la mia sirena.
- Grazie a Daniela Monero, la mia Charlie. Che mi porta a mangiare il tofu nel bambù. Mi fa ridere come una stupida. Mi fa sentire amica.
- Grazie a Caterina Giavotto perché è semplicemente un pugno di felicità a stomaco vuoto. L’adoro.
- Grazie a Mita Gironda perché quando mi ha detto “non ti dico niente” vedendomi tutta incerottata ho capito che fosse un’amica. Di quelle di cui puoi fidarti. Sempre.
- Grazie a Tiziana Mascia che non è mai riuscita a trovarmi ma il mio cuore l’ha trovata.
- Grazie a Valentina Lindon di cui parlerò nell’incontro che è avvenuto Sabato alla Pinacoteca; per la sua infinita gentilezza.
- Grazie a Tutttttttttttttttttttttta la Mondadori Electa (vertici alti compresi che sono stati annichiliti dalla presenza inquietante di una Sicula piagnucolante e che si stanno chiedendo in quanto tempo falliranno. Cheilcielomiaiuti) e alle adorabili ragazze del Marketing.
- Grazie a Max che è uno stupido con lo zainetto. Una persona cattiva *puntando l’indice contro. Che non vedo l’ora di abbracciare ancora più forte sulla Funiculare di Roma.
- Grazie a Paolo per avermi guardato come mi ha guardato.
- Grazie a Francesca per aver mollato pazienti, camice ed aver volato dalla Sardegna come una super eroina. E per avermi fatto capire semplicemente: cosa significa essere amiche. In qualunque contesto. Situazione. Tempo e Luogo.
- Grazie a Paola per essere quel punto indelebile che mai andrà via.
- Grazie a Estella per essere una Stella. E luce.
- Grazie a Antonia per aver afferrato il microfono e detto qualcosa di sensato al mio posto ma soprattutto per la sua incredibile bellezza che mi ha spiazzato cuore e anima.
- Grazie a Flo per esserci stata anche tutte le volte che non ci sono stata io. Come fanno le amiche secolari.
- Grazie a Selena per avermi stretto a sé. Fortissimo. Come avevo bisogno (e grazie al suo pazientissimo fidanzato e all’adorabile amica!)
- Grazie a Francy per non aver avuto paura ed essersi fidata di lei. Perché è fidandoti di te, cucciola, che vincerai.
- Grazie a Ombrella per essere semplicemente quello che è. Un’ombrella che ti salva dalla pioggia. dalla tristezza. dalla noia. dall’abitudine.
- Grazie a Lisa che. Che santocielo mi ha emozionato. E che. SONO RIPETITIVAAAAAAAAAAAAAAA. Grazie Lisa. Graziesantocielo.
- Grazie a Francesca Martinengo e Clio che. Grazie. Grazie. Grazie.
- Grazie all’adorabile ragazza che perdonerà (ti prego. Scusa) la mia svampitaggine nel non ricordarne il nome . Che mi ha detto “ti leggo ma non commento mai”. E che vorrei riuscire a contattare per parlarle (ti va di mandarmi una mail? non ridere! rispondo! santapizzetta!).
- Grazie alla Signora che ha parlato con mia mamma. Che non ho avuto il piacere di potere abbracciare e. Che lo vorrei.
- Grazie a quella coppia adorabile che ho visto in lontananza e che. Non si è avvicinata (e aspetto pure voi in email).
- Grazie a tutti quelli che poi in cerchio si sono uniti domandosi “ma questa scema chi è? ” (la risposta è appunto: una scema).
- Grazie al simpaticissimo Iaccarino che invece di chiamare la polizia e il reparto di igiene mentale ha teso la mano e ha detto “piacere!”.
La prima sera a Piazza San Carlo. Ero ancora convinta di potercela fare.
GRAZIE.
A tutti quelli che mi hanno salutato. Non mi hanno salutato. A tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti tutti. Pure al poliziotto che mi ha detto “ehi” facendomi sentire una ragazza carina (voleva dirmi “ehi sei scappata da un manicomio?”, ma mi piace immaginare pensando che fosse un “ehi non ti arresto anche se sei completamente pazza”). E.
Ho dimenticato qualcuno? Ah sì.
Grazie a quella Bionda che mi fa arrabbiare costantemente. E il perché lo so. Lei no. E non lo saprà neanche questa volta.
Grazie al Nippotorinese per aver deciso di abbandonare la strada della vita “normale” e percorrere quella dell’assurdo con me.
Grazie a Nanda e Turi per aver deciso di tenermi come figlia nonostante sia così.
Prima di essere chiusa dentro un bar bevevo Virgin Bloody Mary. Che è come dire: bevevo succo di pomodoro senza niente per provocarmi un’acidità funesta (e messaggiavo disperata con la mia Cri e Ale).
Mi sono concessa diverse cose e una di queste è stata sempre la colazione a letto. Volevo vivere così. Come quelle autrici maledette che vivono nelle camere d’albergo. Poi il Nippotorinese mi ha spiegato che era tutto leggermente diverso e ho taciuto.
Preparando il Kit di Sopravvivenza dato in dotazione il 16 Maggio 2013. Ho messo troppi pochi fazzolettini. Si è pianto molto di più.
Vi amo. Tutti. Sietecompletamentepazzi.
Sul monitor dello stand c’era la mia faccia. La copertina provvisoria. Una bionda di passaggio che non conosco. E una che non voleva essere fotografata e. E aiuto.
La grande (scema) autrice che firma il piano di autocontrollo semplificato (non ho ancora capito cosa fosse ma per Enrica firmerei anche la condanna all’inferno).
Con Marina Paglieri e Charlie durante quella che doveva essere un’intervista a me e invece è stata. Una fiaba. Grazie ancora infinite alla pazienza della strepitosa Marina Paglieri e a Charlie. Che è stata la mia voce.
La Bionda che mi fa scoprire il Ginseng. E non mi dice che potevano esserci proteine del latte. Poi dice che la licenzio senza giusta causa, tzè.
Dopo la presentazione. Dopo aver preso la Metro insieme. Dopo. Ci siamo chiusi in un castello di vetro con bicerin giganti e caffè per ricordarci solo una cosa: cosa significa essere amici.
Con Estella, Francesca e Antonia in un magico momento adolescenziale.
A Piazza San Carlo a fare 3124234234234234234 foto con 23423423423443 dispositivi diversi.
Foto Estratte dai Vari Telefonini
(graziegraziegraziegraziegrazieatutti)
(non ho una foto da sola con Paolo. Non ho una foto da sola con Selena. Non ho una foto da sola con Fiorella. Non ho una foto sola con Ombrella e con Francy. E. Se non le trovo neanche in quelle dell’Hafa Cafè a schifiu finisce *siculinità mode on*. E’ colpa della Bionda! Era troppo impegnata a sgargarozzare bicerin e autoritrarsi in foto adolescenziali dentro l’ascensore dopo aver abusato del Rossetto Chanel. E’ sempre colpa TUA!)
La Bionda si fa le foto in ascensore invece di sistemarmi i capelli. La Bionda si fa le foto in bagno invece di tenermi le scarpe. La bionda si diverte con la MIA Paola invece di rifarmi il trucco. Io disperata con il Pass Espositore che non ho capito: dove mi trovo – chi sono – e dove sono i miei nani da giardino.
Charlie e Mamma (in pendant a strisce come impone la moda 2013) sorridenti davanti allo schermo che fotografa la copertina del mio Libro e io già in fase pianto-isterismo-aiutodovesono triste e sconsolata che mi tengo il braccio per tremori vari ed eventuali. Io visibilmente schizofrenica in compagnia della Bionda, Ombrella e Paola (viamosantocielosietepazze).
Paola in tutta la sua immensa beltà tocca il Mignolino di Cristoforo Colombo porta fortuna (e gliene occorrerà molta) e io in tutta la mia scemenza con il tablet che fotografo Palazzo Madama (era il mio sogno fare la fesseria di fotografare con il tablet). In una geniale interpretazione Estella, Antonia, Francesca, Paola, il Nippo e la Bionda creano un cerchio fotografico che ci vede fotografarci a vicenda (ma come faccio a spiegare come abbiamo fatto se rido come una pazza mentre piango? AIUTO!).
Io al bar dopo essermi drogata con il caffè vicino ai miei due amori Antonia ed Estella. Io (in versione Panda) mentre abbraccio Franciullamiabellissima (ancora più bellissima di quanto sapevo già fosse bellissima) in un fiume di lacrime ed emozioni.
Io e Paola (gnoccadapauracolcapellocortoailoviu) ci copriamo con la borsa per creare le luci giuste a La Granda dove amano i faretti sparati nelle pupille che riescono ad accecarti e infastidirti tutta la serata. Con nasi luminosi e occhiai pronunciate ci accingiamo alla nostra prima notte insieme (finita con un’ubriaca piangente a San Salvario. Roba che ci devo fare un post. O forse tre).
Io e quellostupidostupidodi Max (ma se sto a frignà pure qua!*con tono siculo-romano)
Tutti i Racconti. Che non sono miei. Ma sono miei. Vi amo
- Dal Vangelo secondo Max
- Dal Vangelo secondo Paola
- Dal Vangelo secondo Kuroko
- Dal Vangelo secondo Mari
- Dal Vangelo secondo Francy
- Dal Vangelo secondo Lisa
- Dal Vangelo Biondo
(mi aiutate segnalandomi i link qualora avessi COMESEMPRE dimenticato o sbagliato? Sovecchia)
(se hai foto dove sono venuta male non temere. Passamele che le metto in earlybird instagram e tutto sembrerà migliore. La mia mail è info@maghettastreghetta.it chettelodicoaffà ?)
Seguiranno i due mega puntatoni sull’incontro mancato causa “sbattutasulpalo” – Pinacoteca- Hafa Cafè per chiudere questo Tour-Turin (che se lo dici velocemente ti si accartoccia la lingua). Emozioni trascritte varie ed eventuali seguiranno invece fino al 2098.
E la cosa incredibile è che dopo 5.000 parole io non abbia raccontato neanche il dodici per cento di quello che è davvero accaduto.
Non si può raccontare il 16 Maggio 2013. Occorrono dodici vite.
Grazie infinite l’ho detto? Mi sa di no.