Ricette Vegetariane e Vegane

American Horror Story: Muffin al Cioccolato con Violetta per Violet

Muffin al Cioccolato con la Violetta (prima stagione)

per la violetta ho adoperato i fondant di Pastiglie Leone, che sono dolcezze morbide e zuccherose di altissima confetteria (buone come poche cose al mondo e che amo tanto quanto la pasta reale siciliana)

Per  i Muffin al cioccolato ci sono da ricette da scegliere tra milioni di milioni ma mi sento di consigliare quella del grande e inimitabile Bob (sì sempre quello. E’ una perversione la mia)

Per 12 Muffin al Cioccolato occorrono:

  • 80 grammi di farina bianca o semi integrale
  • 1 1/2 cucchiaino di lievito per dolci
  • 1/2 cucchiaino di sale
  • 185 grammi di zucchero
  • 185 grammi di burro fuso lasciato raffreddare
  • 5 uova con tuorli e albumi separati
  • 30 ml di caffè espresso freddo
  • 150 grammi di cioccolato fuso lasciato raffreddare

Preriscalda il forno a 220. Setaccia la farina e mescola con il lievito e il sale. Mescola burro, caffè e zucchero fino a ottenere una pasta cremosa e poi aggiungi uno a uno i tuorli. Monta gli albumi a neve ferma. Mescola insieme la crema di burro, lo zucchero e i tuorli d’uovo con il cioccolato fuso e alla fine incorpora gli albumi a neve con movimenti dall’alto verso il basso. Non mescolare troppo. Velocemente, in maniera decisa e senza rendere il composto troppo omegeneo. Suddividi la pasta negli stampi per il muffin e poi fai cuocere per massimo 15 minuti ma dipende sempre dalla tua formina quindi presta ben attenzione. Quando saranno morbidi e gonfi infila uno stecchino di legno e controlla. Se è asciutto tira fuori dal forno e lascia raffreddare.

Puoi adoperare un’essenza di violetta (ahimè non ce l’avevo) e decorare poi con dolcetti alla violetta.

L’otto ottobre l’attesa finirà per far sì che un nuovo viaggio cominci. La quarta stagione di American Horror Show con un ambientazione simil Freaks da circo avrà inizio. Si susseguono trailer, flash visivi e molto altro (anche molte burle su youtube fatte ad hoc che catturano milioni di visualizzazioni). Adesso potrei perder tempo a ribadire per l’ennesima volta che il circo è una delle mie perversioni narrative e che il racconto che ho in testa da anni è proprio ambientato sotto il tendone (quello che non riesco mai a finire, sì) ma non lo farò; questo perché c’è davvero moltissimo da dire riguardo la connessione cibo – American Horror Story. Attraverso una varietà di piatti variopinta e per certi versi iridescente proprio perché assume tante di quelle sfumature che non si può non rimanerne affascinati. Questo tipo di connessione (proprio come in Dowton Abbey nonostante il genere diametralmente opposto) dà un valore aggiunto a tutta la trama narrativa. Me ne sono convinta sempre più. Una tavola apparecchiata e ben disposta, un piatto consumato e raccontato fungono non solo da connessioni affettive dei personaggi che sono raccontati e che raccontano ma dà un senso di familiarità allo spettatore (vediamo se riesco ad esprimermi. Ardua impresa). Ho riscontrato che in moltissime visioni dal sapore horror questo tipo di connessione con il cibo non c’è. Questo perché si dà moltissimo spazio ad altro; purtroppo non si ha molto tempo per familiarizzare con i personaggi in un contesto horror. Un esempio lampante è Dario Argento, oggetto di un mio studio ormai da due anni ma potrei fare diversi esempi se questo fosse il tempo e il luogo. American Horror Story è invece un horror che va dagli splatter fine anni settanta sino ad adesso, quasi un ritorno ai vecchi gusti. Gusti che identifico nel grande Hitchcock e Christie, che certamente non elemosinano “connessioni culinarie” ( ci sono riuscita? uhm. Forse no).

Mi piace proprio per questo motivo. Il piatto, la connessione culinaria come vogliamo chiamarla, è un’attenzione in più che si dà alla trama e ai personaggi. Credo che anche per questo incosciamente quasi ci si affezioni. Non sono soltanto vittime o carnefici ma hanno una vita, dei pranzi, delle storie, delle cene, fame e appetito. Non solo di sangue e per apportare alla storia un personaggio fine a se stesso. In American Horror Story il cibo mi è sempre sembrato molto pertinente e che raccontasse in pochi attimi dei momenti clou e importanti. Non so se sia solo un’impressione o se dietro questa regia narrativa ci sia qualche cultore di cibo ma non farei fatica a credere che sia davvero così. Lo scorso anno di fretta ho cominciato a delirare circa la Rubrica Cibo e Serie TV dedicando solo tre ricette alla terza stagione di American Horror Story:

Mi ero ripromessa di ripartire da capo però. Per capire se questa sensazione avesse delle fondamenta o se fosse l’ennessimo delirium tremens di una donna ultra trentenne prossima a un esaurimento nervoso serissimo (quello non troppo serissimo è già bello che in corso da venti anni circa forse più). Mi sono detta che per intraprendere un viaggio però bisogna prima far bene l’organizzazione di questo, le prenotazioni a tempo debito e il check in. Volevo rivedere American Horror Story dall’inizio ininterrottamente (quando parlavo con lei, che adoro, della prima stagione su twitter). Dalla prima stagione all’ultima prima di affrontare la quarta. Il tempo scarseggia sempre in queste lande e portare a compimento tale intenzione facile non è stato ma tra una nottata insonne e l’altra, qualche ora rubata a cose importanti, e minuti spezzati in auto-in ufficio-mentre pranzavo-cenavo-studiavo-lavoravo insomma. Ce l’ho fatta. Adesso sì che sono pronta per cominciare “seriamente”.

Settimane fa ho visto sul web la notizia che la celebre casa degli orrori del set della prima stagione di American Horror Story è stata messa in vendita. Pare che non sia stato solo il set di questa ma addirittura di Dexter, Buffy, Twilight zone, Angel e Six feet under (devo indagare su quale scena di Dexter perché proprio non so a che puntata e stagione si riferisca). Sita a Los Angeles (lalala) questa incredibile dimora con lampadari Tiffany originali ha attirato l’attenzione di grandi interpreti della fotografia come Newton, Ritts, Arbus e Lachapelle. L’atmosfera incredibilmente sinistra cozza con la bellezza intrinseca dell’interno che oggettivamente (vedendo le foto reali e non da set) lascia senza fiato.  Chissà se la casa nella realtà vorrà essere venduta, al contrario di quello che accade nella “finzione” della serie e chissà se l’agente immobiliare si ritroverà con un cagnolino orfano tra qualche mese.

Lo scorso anno abbinando piatti a ricette deliravo circa i cliché degli Horror in genere. Ricordo di aver cominciato proprio con le Case Maledette (e cos’altro sennò? Se ti fa piacere puoi leggere qui insieme a un bel piatto di pasta alla Norma con tanto di Norman Bates). L’anima delle case è onnipresente. Tra i muri rimangono avvinghiate le storie e soprattutto i tormenti di chi vi ha abitato. Scendendo le scale ci sono gli insuccessi e le cadute e al contrario salendole i segreti, le vittorie e i lampadari che hanno spesso illuminato percorsi. Percorsi che sono vite. Vite che hanno influenzato o che al contrario hanno subito. Non vi è un angolo o stanza dove non rimanga intrappolato il mistero. La casa di American Horror Story, protagonista indiscussa della prima stagione, credo fermamente che sia diventata una sorta di Amityville Horror tanto quanto la famigerata Casa stessa di Raimi. Per le generazioni attuali di certo sì. Come lo è stata la casa sopra il Bates Motel. Come lo è stata per certi versi ma in circostanze visive diverse quella degli Addams. E molti altri esempi potrebbero esser fatti. Anche qui una connotazione pressoché omologata che rimanda al mio delirio precedente (uhm vediamo se riesco adesso a spiegarlo). Proprio come il cibo protagonista negli “horror” di una volta, American Horror Story riesce a esprimere la stessa identica tipologia di casa ( da cliché ) non stancando. Non sembrando una semplice scopiazzatura. Facendo insomma carattere a sé. E’ questa la forza di questa serie; che pur essendo ricca di contenuti stravisti riesce a raccontarli in una chiave per nulla noiosa. Diventa quasi un omaggio ai racconti passati per troppo tempo violentati da un genere diventato ahimé ridicolo in molte circostanze.

La prima puntata di American Horror Story non ha una ricetta, escludendo una “voglia di indiano” preludio di una nascita su cui si incentrerà la trama. La seconda puntata invece, ambientata nel 1968 all’inizio vede come protagoniste cinque ragazze pronte ad andare al concerto dei Doors; due delle quali non arriveranno mai perché vittime di uno psicopatico. La camera cambia e ci porta poi al 2011 quando Vivien ha conferma della sua gravidanza e Tate comincia a nutrire un interesse nei confronti di Violet.

Constance prepara con Adelaide dei cupcake al cioccolato con la violetta per Violet. L’intento è quella di farla soffrire “con questo i dolcetti sono più dolci. Ha il potere questo sciroppo di provocare terribili mal di stomaco e emorragie interne. Sputaci dentro!” (il fatto che la figlia Adelaide ci sputasse dentro era proprio una simpatica tradizione in quella cucina). Questi cupcake al cioccolato, mangiati poi da Vivien nonostante le insistenze a non farlo da parte di Constance e dall’intrusa psicopatica emulatrice dell’assassinio avvenuto nel 1968 nella casa, diventano i veri e propri protagonisti e fanno da entrée a moltissime preparazioni al cioccolato di Costance. La passione culinaria di Costance in fatto di dolci sarà infatti uno scandire continuo durante la stagione.

E qui si faranno: tutte.

E allora: siamo pronti per un Ottobre assolutamente da brivido? (già vedo la mia povera amica Luci urlare “noooooooooooooooo”. Resisti amica mia, Natale è vicino)

(se i Fantasmi non ci catturano, intendo *disse ridendo esaurita avvolta nel suo mantello nero)

Key Lime Pie – American Horror Story terza stagione

Chicken Pot Pie – American Horror Story terza stagione

Peach Cobbler – American Horror Story terza stagione

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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