Ricette Vegetariane e Vegane

Pane e Design 70 Ricette da infornare

Pane e Design – Le Ricette dei designer edito da Editrice Compositori, è un libro con 70 ricette da infornare al prezzo di 19.90 che fa parte di una collana che comprende:

  • Cavolo che design – 70 ricette con le verdure
  • Stuzzicati dal design – 70 antipasti e stuzzichini
  • Design al dente – 70 Ricette di pasta e primi piatti
  • Una spina nel Design – 70 secondi di pesce e crostacei

Campeggia la scritta Gaggenau perché il libro finisce con il capitolo Buono come il pane, a cura appunto di Gaggenau, dove tra tradizione della panificazione e consigli si tessono lodi per i forni della casa produttrice (e verrebbe da dire: come dar loro torto? Si parla effettivamente del meglio. E ricordo i gentili naviganti capitati in queste lande per puro e sfortunato caso che non è affatto un post sponsorizzato. Anzi tutt’altro).

Un libro interessante, atipico e non convenzionale. Non soltanto per la formula ma perché non è certamente il classico libro di cucina. Non vi è uno stile nelle foto ma ce ne è da vendere in altro: tra parole, disegni, schizzi e arte un po’ qui e un po’ lì. Ha una struttura simpatica nonostante il font poco friendly e piccolo. E se lo dice un falco con dieci decimi ci sarebbe da scommetterci. Designer e architetti sono chiamati a elaborare una ricetta al forno, perché di questo si tratta. Non è un libro rivolto al pane come si potrebbe pensare dal titolo, bensì a tutto quello che può essere cotto in forno; anche se di pane e lievitati chiaramente ce n’è a volontà.

Foto del Design/Architetto e mini biografia seguita da piccola introduzione sul perché e sul per come la ricerca sia ricaduta sulla determinata ricetta. Ingredienti e spiegazione e infine abbinamento del vino. A seguire a tutta pagina la foto della ricetta, che non è sempre una foto ma pure un disegno-schizzo-composizione grafica e qualche alternativa o consigli se capita.  La carta non è lucida ma rugosa e fibrosa e la fotografia generale dell’opera non ha colori accecanti e neanche molto enfatizzati, anzi l’opposto. Dal gusto un po’ aranciato, giallognolo e poco patinato. Anzi. Pochissimo. Perché ci si aspetterebbe per certi versi una cura diversa. Un’esposizione maggiore, sì. E invece il bello sta proprio nella naturalità e non nella sovraesposizione sia di arte che di pensiero che di fotografia stessa. Le ricette sono molto interessanti e ce ne sono alcune che pur essendo semplici rappresentano delle vere e proprie chicche. Certo non è il momento ideale per parlottare di un libro pieno zeppo di ricette da fare al forno, contando che ticchetto a inizio estate, ma può sempre tornar utile, no? Del resto fa così caldo che due spaghetti allo scoglio dentro il cartoccio sul parabrezza della macchina li possiamo pure trovare belli che pronti al ritorno dal lavoro, no? Mangiarli comodamente lì e ripartire più carichi

Tutto molto minimal ed essenziale. Ci sono le Ricette con titoli fantasiosi e non e pure un indice analitico dei Designer. Si parte con un timballo di Spaghetti con sauté di vongole altrimenti detto Timpano di Scammaro e si prosegue con una carrellata variopinta: Sole di scarola, Zucchine con formaggio al forno (Firinda Peynirli Kabak ovvero un piatto turco date le origine del Designer), Teoria di una torta verde, Cartoccio  mediterraneo, Archeo gallette, La cecina rivisitata e Il cocuzzolo dell’Etna. Pane ai sette cereali, Torta Umbra, Lasagne al ragù di pesce con gamberi, Bassotti bird temple, Sformato di broccoli fiolari, Timballo di riso con bisi e salsiccia e Funghi al cartoccio con Butter Shoyu. Ci sono pure un po’ di pagine adorabili con le righe per gli appunti personali, che sono sempre quel quid che mi entusiasma. Nessuno mi chieda perché. Basta mettere due pagine per scrivere gli appunti e sono felice. Che poi questi appunti non li prenda mai nel libro è un altro discorso.

Se devo essere onesta a me di questo libro ha colpito principalmente l’introduzione di Davide Longoni. Nel senso che sì d’accordo un bel libro. Belle ricettine facili. Bella l’idea. Bella il concept. Bello tutto ma di quel bello che rimane bello e non ti fa gridare BELLOOOOOO. Tutto maiuscolo con tante o. Ma Bello. Oggettivamente bello.

Quello che invece ti fa gridare BEEEELLLLOOO maiuscolo e con tante o e doppie consonanti è proprio l’introduzione. Fosse per me sarebbe bastata quella a convincermi di comprare il libro e così è stato. Sì è vero che dall’introduzione ti aspetti un crescendo di oooooo del bello ma comunque, ribadisco, deluso non rimani. Insomma cosa è che mi ha colpito? Trovo ingiusto trascrivere tutta l’introduzione di Davide Longoni perché è corretto leggerla sul libro. Trascriverla in toto proprio no. Non si fa. Ma la riflessione che ne deriva è potente e centra punti e spunti a dir poco interessanti.

Geniale in un’accecante semplicità.

Il pane è il barometro dei tempi storici e la percezione delle sue qualità è mutevole: se per secoli il piano bianco è stato il pane dei ricchi che potevano permettersi di far togliere il peso alla farina oggi viene rivalutato il pane prodotto con farine intere.

Solo a me questa frase ha cambiato la vita? (sì voglio esagerare, ok?)

E’ proprio vero, santamichetta! Omero chiamava gli uomini “mangiatori di pane”. Il pane esiste da sempre e per sempre. Prima cibo per i ricchi. Poi cibo per i poveri. Prima bianco e accecante come il futuro. Poi nero e integrale come il passato. Perché sono la prima a panificare farina di tumminia ed è ormai uso comune farlo in casa. Dopo l’industrializzazione del pane, che ci ha fatto sentire indipendenti e cosmopoliti, adesso tutti a far lievitare 48 ore sotto il canovaccio. Riprendendo il lievito madre e maledicendoci (io, sì) per non aver chiesto alla nonna come si faceva essattamente “u criscinti”. In Sicilia (a Catania perlomeno) si chiamava così. U criscinti. E mia nonna lo accudiva e sfornava del pane, delle pizze e delle scacciate che ne sento ancora l’odore e il sapore in bocca. Longoni ci informa che ci sono ben oltre 200 tipi di forme di pane e che spesso questo riflette il luogo d’origine. Forme da un chilo enormi e quindi da bracciante che ne mangia un chilo. Forme piccole e delicate per i consumatori raffinati.

E mi rimbomba in mente Il pane è barometro dei tempi. Poche volte mi capita di restare estasiata davanti a concetti talmente semplici quanto complicati. Rarissime volte poi ne rimango rapita a tal punto da fissare il muro e annuire generando una serie di riflessioni storiche culinarie introspettive sociologiche (sono un po’ esaurita. Chi non lo è del resto?).

E niente. Un contenitore di storie, tradizioni e spadellamenti che ha un posto speciale nella Libreria, tutto qui.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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