Ricette Vegetariane e Vegane

Come si fa il Pane di Emmanuel Hadjiandreou

Commovente è l’unico aggettivo per questo libro incredibile, edito da Guido Tommasi. L’autore è Emmanuel Hadjiandreou con le foto pazzesche di Steve Painter. Copertina rigida e prezzo di venticinque euro. Ricette passo passo per pane e dolci da forno. Come si fa il pane? A vedere queste fermatempo con mani che intrecciano, grembiuli sporchi di farina e gesti semplici quanto incredibili vien voglia solo di commuoversi. Mai visto un libro dedicato al Pane bello come questo. Suppongo che per spodestarlo dal gradino più alto del podio occorrerà un miracolo. Più di 170 pagine.

  • Introduzione
  • Le basi per fare il pane
  • Ricette di base e altro pane lievitato
  • Pane senza frumento e glutine
  • Pane con lievito madre
  • Dolci da forno
  • Negozi e Fornitori
  • Indici

Se Pane e Design di cui ho parlato qualche mesetto fa è imbattibile per il concept di idee, questo lo è indiscutibilmente da un punto di vista didattico. Sì perché è proprio il Simposio del pane. Figlio di un ristoratore, il cibo ha sempre avuto sull’autore una grande influenza. Il pane è quel momento in cui inizi a mescolare gli ingredienti, dice, fino a quando lo tiri fuori e dai un colpetto sul fondo per capire se è cotto. Magico. In effetti i lievitati, con il Re Pane, sono quelli che danno più soddisfazioni. C’è qualcosa di arcaico, importante e vitale nella preparazione e nella cottura del pane. Nonna Grazia ne preparava uno nel suo forno a pietra fuori nell’orto che non dimenticherò mai. Ne sento il profumo. Vedo ancora i suoi movimenti. Le sue mani e il sorriso di mio padre quando mamma diceva “C’è il Pane di Nonna Grazia, oggi”. Poi Nonna Grazia è andato a farlo tra le nuvole e restare orfana di quei gesti e premure è stata senza esagerare una vera e propria tragedia emotiva. L’autore ha viaggiato apprendendo nuove tecniche e ricette, soprattutto in Grecia e Germania. Arrivato nel Regno Unito dice che gli si è aperto un nuovo mondo dove ha conosciuto e lavorato con artigiani incredibili e appassionati di questa vera e propria cultura del pane. Ha gestito panifici e ha avuto l’enorme gioia di conoscere panificatori di successo. Quella che ci regala è una raccolta delle ricette che ha perfezionato durante la sua attività e quindi sono sperimentate a dir poco.

Non so chi sia il Food Stylist e se ci sia a dirla tutta o sia opera solo della meravigliosa pupilla del fotografo, ma si assiste inermi e commossi a qualcosa che va ben oltre il libro classico di cucina. C’è movimento nelle pagine dovuto sì al passo passo ma per me, che generalmente vengo disturbata da questa tecnica visiva, rimanere al contrario abbagliata ha dell’incredibile. Ho sempre preferito vedere il risultato finale. Faccio parte della fazione estremista degli esteti a cui piace tutto un po’ falsato, con le luci a posto e mai una mollica fuori luogo. Il massimo della perversione che mi concedo, dopo anni, è spostare un po’ il centrino e la tovaglietta. Non è difficile intuire cosa vedano i miei occhi. Basta del resto far caso alle foto. Perché dal modo in cui si fotografa tutto si capisce dell’occhio, cuore e testa. Il mio è un cuore e testa psicotico e frenetico indirizzato all’inesistente perfezione. Qui c’è farina ovunque e mani sporche. Ed è tutto terribilmente pulito e poetico. Questo libro è stato capace di convincermi che devo fare assolutamente il lievito madre. Io. Io il lievito madre. Mai avrei pensato di provare anche solo un minimo interesse. Ho troppe cose a cui badare e ci mancava pure un esserino di farina di cui dovermi prendere cura con lo strazio di doverci giocare pena esplosione. Eppure è bastato Emmanuel a convincermi che nella mia vita forse manca solo una cosa: il lievito madre (c’è un medico in sala?).

Ho letto il capitolo Indicazioni e trucchi come se mi stesse svelando la trama e il finale di Harry Potter o Star Wars (a proposito chi è che freme con me fino a dicembre?). Sono rimasta letteralmente estasiata, tanto da dovermi leggere pure le preparazioni. Di solito sfoglio sì ma non leggo TUTTE le ricette. Bene queste le ho lette praticamente tutte senza saltarne una. Ho accarezzato le pagine e ammirato le composizioni visive. Apprezzato gli accostamenti di colore, gli utensili e il sapiente contrasto con luce non accecante ma per bellezza sì. Non adopero mai questo termine -e chi mi conosce sa che non fa parte del mio gergo perché proprio non ne capisco a fondo il senso ma- Sexy. Terribilmente sensuali i movimenti di mano e preparazione. Basta arrivare al primo capitolo sul piane bianco semplice con due varianti per innamorarsi del panettiere che non viene neanche inquadrato in volto (ribadisco: c’è un medico in sala?).

Soda bread semplice, soda bread integrale all’uvetta, pane ai cereali con semi, impasto per la pizza, ciabatta, focaccia, pane con olive e erbe, pane alle noci e pane con noci pecan e uvetta. E fin qui mi si potrebbe dire embèndostannolenovità. Beh. Basta guardare soltanto le spiegazioni, le foto (anche quelle a tutta pagina lungo le due) per capire che sì le ricette d’accordo sono sempre le stesse per chi è avvezzo ai libri di cucina, ma qualcosa di completamente diverso e magico si cela in queste pagine. Baguette con la poolish, Tsoureki (l’ho fattooooooooo ma adesso devo fare questo), challah (con i semi di papavero che è nella mia to do list da anni e finalmente so che DEVO farlo), Bagel, Pita, pane piatto armeno, pane di segale scura, pane di segale con prugne e pepe, pane di segale con uvetta, pane di kamut e farro, pane al mais senza glutine e tantissimo altro tra canovacci, vassoi di legno e coltelli di rara bellezza. E quel cestino. Solo chi lo sfoglierà potrà apprezzare appieno la bellezza di quel cestino di vimini intrecciato in cui mette l’impasto per dare vita a una forma antica che rievoca ricordi incredibili.

Come se non bastasse si arriva al gran finale. Quando le pupille sono in overdose da beltà, tuppete: il colpo di Grazia! Dolci da forno. A quel punto viene solo voglia di buttare la faccia in mezzo alle pagine e cominciarle a mangiare senza neanche doverle appallottolare. Croissant, Pains au chocolat, Pains aux raisins, Copenaghen, Brioche, panini alla cannella, hot cross buns, stollen al marzapane e stollen ai semi di papavero.

Davvero sono tutte parole inutili le mie. Questo libro non è meraviglioso. Non è indimenticabile. Non è il piùbellodeibelli. Ma di più. MOLTO di più. Non esistono aggettivi e spiegazioni, insomma.

E se sei arrivato sino a qua sarà mia premura regalartene una copia. Esattamente al quarantesimo commento. Perché mi fa sempre felice condividere i sogni.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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