Ricette Vegetariane e Vegane

Kantaro: Il rappresentante goloso

Il Noioso Preambolo

L’unico risvolto positivo del malessere che per settimane mi ha tenuto incollata al divano, come rare volte in vita mia è accaduto, è stato quello di poter fissare a oltranza il televisore acceso. Ma anche spento perché a volte lo fissavo come un lemure narcotizzato a occhi sbarrati. La tv l’accendo in poche occasioni e se mi segui sai che dalle ore 14:45 alle ore 15:30 non esisto. Non importa che ci siano riunioni, che io debba lavorare, che il tetto stia per crollare. Tre quarti d’ora li dedico alla mia Maria; e non a caso lo dico in questo momento perché l’amata De Filippi con il suo programma cult Uomini e Donne mi provoca effetti estasianti e rilassanti come una sostanza stupefacente. I neuroni in caduta libera fanno bene e nel mio piccolo consiglio caldamente questa teoria a tutti. Non importa seguire i veri accadimenti ma tutto quell’urlare, ballare, sbraitare, fraintendersi e venir meno -in un sol colpo eh- alle regole civili base dell’educazione e del confronto, a me -te lo dico onestamente- rilassa. Rimango così stordita che poi riparto alle 15:31 con una forza e un vigore che neanche saprei descrivere. Random in tv guardo Masterchef e mi concedo altro tempo di trash-terapia nel caso dell’Isola dei famosi o Grande Fratello. Mi piace però seguire dei pezzi e non assiduamente in modo che la mia confusione aumenti -nel non capire assolutamente nulla- tanto quanto il relax neuronale. Pur avendo Sky, Netflix e qualsiasi cosa perché va detto che sono un’abbonata seriale (gli amici più intimi mi chiamano “Miss aggiungi al carrello”) non amo particolarmente doparmi di ogni serie di visione. Se mi leggi da un po’ sai che, angolo trash e venerazione Maria a parte -The Queen-, sono una spettatrice esigente. Non mi entusiasmo così tanto per le serie tv e più se ne parla più perdo interesse nel vederle. Non sono una che “devo finirla perché l’ho cominciata” o “devo guardarla perché ne parlano bene”; quando si verifica quest’ultima ipotesi tendo a rimandare a quando il polverone è andato a scemare e per gli spoiler neanche mi preoccupo perché ho pochissimo tempo per leggere i social (è già tanto che li adoperi per pubblicare e il mio tempo lo dedico a rispondere, eventualmente) e l’account personale Facebook che devo avere per gestire la pagina del Blog non va mai in Home ma rimane fisso su Gikitchen. A meno che non mi citofonino e mi dicano: “Sai che x della serie Y muore alla terza puntata della quarta serie?” proprio non saprei. E anche in quel caso non è che mi importi minimamente. Del resto se mi dicessero che Renzo e Lucia alla fine si sposano non per questo non vorrei leggere il romanzo. Comunque non è vero, eh. Non si sposano. O forse sì. Questo non voleva essere uno spoiler.

Perché questa introduzione noiosissima? Perché sono logorroica è la risposta esatta, l’unica forse che dovrei dare, ma in realtà anche perché qualora non mi avessi mai letto prima riguardo visioni, film, serie etc è giusto darti un minimo di basi per capire che spettatrice sono. Non sono una dall’entusiasmo facile e non ho neanche comprato un gadget del Trono di Spade. Pensa che mi sono addormentata sistematicamente a ogni serie e mi faccio fare i riassunti random da amici e parenti. Quando mi dicono “ma vedilo dai!” so che devo andare su wikipedia e in quattro righe è fatta.  Allora quale serie mi ha fatto impazzire, dirai tu. Beh.

The Following l’ho trovata geniale e se si fossero fermati alla seconda ci saremmo risparmiati chiacchiere inutili. Una delle mie preferite indiscutibilmente. Stranger Things prima che scoppiasse la psicosi di massa. Dexter ma alla quarta serie gli ho detto ciao. American Horror Story ciao alla terza. Non sono una che ti ama sempre e a prescindere, diciamo. Sono una che va conquistata costantemente. E ora troviamo in questo esatto secondo l’aggancio con Kantaro Ametani e su quello che voglio raccontarti oggi. In più, come se non bastasse, il lunghissimo e noioso preambolo sulla caduta neuronale avrà un senso andando avanti. Stupefacente come sembri tutto calcolato, non è vero? Ma non lo è.

Kantaro: il rappresentate goloso

Samurai Chef mi ha fatto innamorare sempre di più. Ogni puntata faceva crescere il mio sentimento sino a portarlo a un’elevazione tale che potrei scomodare anche quella spirituale di Petrarca e Dante. Delicato, poetico e profondo, Samurai Chef è stata una delle mie serie preferite se proprio vogliamo dire un titolo. In cuor mio spero ci sia una seconda serie solo per la fame di rivedere e rivivere ancora ma razionalmente spero che il tutto si fermi qui in modo da lasciare questo ricordo da coccolare. Quando ho visto che un’altra serie -dedicata al food- giapponese era disponibile su Netflix mi sono quasi commossa. Inconsciamente credo mi aspettassi una replica di Samurai Chef in chiave dolce tra riso, mochi e matcha. Quanto di più sbagliato perché già l’aspettativa -come in tutto- tende a darne un giudizio contaminato.

Kantaro è diametralmente opposto. Ha una sana dose di quello che un italiano potrebbe volgarmente definire trash ma in realtà trattasi di sconfinata e surreale fantasia estrema nipponica. È un fumetto vivente a tutti gli effetti, visto che questa serie è la trasposizione visiva di un manga. Kantaro il rappresentate goloso è uno scapolo affascinante che comincia a lavorare nel settore vendite di una casa editrice. All’attore che lo interpreta sono state tirate via le sopracciglia e rifatte di sana pianta come nel fumetto proprio per dare uno sguardo inflessibile e severo che si trasforma soltanto dopo una cucchiaiata di dolci. Appassionato di dolci a livello maniacale a causa di un passato complesso che verrà raccontato nelle ultime puntate, Kantaro è in realtà un blogger di fama nazionale. Nessuno sa che c’è lui dietro a uno dei blog più affermati che parla di dolci, consistenze e sensazioni. Anche se qualcuno, come accade nelle storie dei super eroi, mina alla sua riservatezza. Ci sono tutti gli ingredienti per essere davvero una storia interessante. Una vita segreta parallela all’altra perfetta e inattaccabile. La precisione e la perdita di controllo. Come in uno specchio Carrolliano dove tutto non è come sembra.

A metà serie non me ne sono innamorata e a tratti l’ho trovata anche ripetitiva e pesante ma se ho continuato è stato perché speravo ci fossero dei colpi di scena. Un senso che non avevo colto. Devo dire che in effetti poi, sul finale, mi sono ricreduta. È oggettivamente esagerata, surreale e delirante a dir poco, ma ci sono picchi di genialità che ti faranno sorridere e ti catapulteranno dentro quel manga che tanto ha avuto successo e che ha portato alla trasposizione in immagini della sua storia. C’è una fastidiosa forma allegorica sessuale, infine, che non ho gradito particolarmente ma fa parte della narrazione giapponese ed è per questo che non girerei tanto intorno all’argomento. Del resto Lamù in versione originale -e solo il cielo sa quanto io amassi Lamù-, come molte altre visioni della nostra infanzia, in originale era leggermente smaliziata, per così dire.

Kantaro non devi perderlo se ami il cibo e i dolci perché ce ne sono davvero tanti e inquadrati con sublime maestria. Ti ritroverai com me, credo proprio, ad aver voglia di un gelato, di un parfait, di una torta o di una spatolata di cioccolato fondente. Anche nelle esagerazioni più estreme di goduria massima in fondo penserai che quell’eccesso lo hai provato anche tu perché nella nostra vita -che fosse dolce o salato- un cibo consolatorio che ci ha fatto stare bene al primo morso di sicuro c’è stato. Che fosse una cucchiaiata di minestra, una forchettata di pasta o come nel mio caso -che sono amante dei dolci- un bel gelato grondante, appagante e riempitivo. Anche di dolori.

Se dai una chance a Kantaro e ai suoi estremi scoprirai una personalità in continuo cambiamento. Se ti va di ascoltare tutta la sua storia vedrai che dietro a quella voglia di dolce c’è stata una fortissima rigidità che nonostante tutto non l’ha completamente plasmato e travolto. E se dai una possibilità a Kantaro ti ritroverai a vedere scene un po’ alla Megaloman ma con gelatina di matcha e fagioli azuki che arrivano come asteroidi. Ci sono citazioni che secondo me ricalcano moltissimo Star Wars, ma questo è un mio personalissimo giudizio. Ci sono principesse da scoprire, eroi da salvare, bambini da redarguire a suon di dolcezze. Ci sono arredamenti occidentali mischiati all’antico Giappone. Ci sono curiosità per un paese che di certo non ha la tradizione dolciaria italiana e francese, che sono poi protagoniste. Si mischia tutto come in una ciambella sfornando un prodotto dal gusto molto particolare ma non per questo dal sapore spiacevole.

Anzi.

 

 

Le illustrazioni le ho pasticciate io e mi appartengono.

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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