Ti racconto io la storia con la mia voce.
L’elfo che arriva dal Polo Nord (sotto ti lascio il video che ho realizzato per IGTV).
Cos’è Elf on the shelf?
Perché potrebbe darsi che tu non lo sappia. Non c’è problema! Te lo spiego io e so già che tu lo farai a chiunque lo voglia sapere. Diffondere magie e condividere sogni è sempre cosa buona. Elf on the shelf è un libro corredato da un elfo in formato pupazzetto. Sai quei classici libri per bambini in rima con illustrazioni e giocattolino incluso? Ecco, quello. Scritto da Carol Aebersold e dalla figlia Chanda Bell e illustrato da Coe Steinwart. Esce in libreria come un gioco da fare in famiglia circa dieci anni fa ma grazie al potere dei social diventa una vera e propria mania. Per questo motivo da qualche anno anche instagram è diventato protagonista di migliaia e migliaia di scatti dell’Elfo più famoso del web e del mondo intero. Il libro racconta che Babbo Natale ha degli elfi fidati (appunto il nostro Elf on the shelf) e che li manda in avanscoperta per capire se i bambini sono buoni, come si comportano e cosa fanno. Gli elfi quindi controllano e riferiscono al loro capo cosa avviene. Il senso è quello dell’elfo mobile sulla mensola che spia letteralmente per riferire. Trascorso il giorno, infatti, in casa con noi e i bambini si prepara a partire per il Polo Nord quando tutti dormono. Passa attraverso una porta elfica magica per raggiungere velocemente Babbo Natale le azioni e poi al mattino ritorna in casa. Uno simpatico spione, insomma. C’è una regola però, che appare più come un’intimidazione: mai toccare l’elfo perché potrebbe perdere la magia e addio porta elfica, Babbo Natale e regali. Per questo motivo -come accade in tutto fortunatamente- si sono diramate varie correnti di pensiero. Il fatto di non toccarlo per alcuni genitori è troppo rigido e fanno ugualmente addormentare, abbracciare, spupazzare e interagire con l’elfo. Smorzare questo concetto di giudizio da parte dell’elfo è per alcuni una priorità (e se posso dire la mia, concordo in pieno). Far vivere più in leggerezza il gioco al bimbi una priorità (annuisco fortissimo anche io). La meravigliosa verità è che ognuno poi interpreta a modo proprio.
Su instagram iaiaguardo ho dedicato storie, scatti e molto al mio Elfo (e ai suoi amici), che ho chiamato OSLAV (anagramma di Salvo, ovvero il mio papà sì). Non ho mai incentrato la figura dell’elfo, come fanno generalmente le mamme su instagram, con avventure giornaliere e monellerie: anche perché non ho nessun bambino con cui giocare e Koi e Kiki lo detestano non troppo garbatamente. Ho incentrato il tutto da un punto di vista sognante, tutto qui. Come dicevo prima: ognuno può interpretare a modo proprio. In questi ultimi tre anni mi piace seguire le avventure di diversi bimbi, leggere le mamme e vedere la magia negli occhi dei più piccini; non solo in realtà perché è un modo anche per noi grandi di non smettere. Di sognare e stupirci. Ti lascio anche qualche micro racconto che ho scritto su Oslav.
My Christmas Tale
Non si era mai vista una confusione così nel dormitorio degli elfi. C’era un gran frastuono e gli armadi pieni di cappelli a punta rossi con una banda bianca si stavano svuotando velocemente. Migliaia di pantaloni rossi piegati e colletti con frange triangolari riposti sui bauli, dentro le valigie e sopra i comodini di ogni elfo. Nessuna regola era rispettata la sera prima della partenza. Molliche sul parquet di legno strisciato da racconti di giorni vissuti, mobili trascinati avanti e indietro, valigie e grandi bauli spostati. Alcuni mangiavano i cupcake più in voga al Polo Nord: sembravano delle tortine Red Velvet, rossi come il naso della renna Rudolph.
Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello, Donato e Cupido, le renne di Babbo Natale, erano giù poco distante nel giardino e si godevano delle zuppe di verdure con tanta avena, preparate dalle abili mani della Signora Claus, che da settimane non smetteva di correre avanti e indietro nella speranza di aiutare un po’ tutti. Mancavano quarantadue giorni a Natale e Santa Claus, l’uomo con cui aveva trascorso tutte le sue esistenze, stava per vivere il momento più frenetico e impegnativo dell’anno. Doveva consegnare i regali ai bambini -ai cagnolini, gattini, topini e amici umani adulti- di tutti i mondi e per farlo al meglio tutti gli elfi, suoi fidi amici e assistenti, stavano per partire. Avrebbero trascorso i ventiquattro giorni prima del Natale -l’Avvento- con loro per poi riferire i comportamenti, le usanze e i giorni.
Oslav stava immobile con il suo pigiama a righe. Osservava tutti gli elfi concitati e impazienti durante i preparativi. Non riusciva a muovere un passo per l’emozione. Era il suo primo incarico e anche se aveva aspettato tutta la vita questo momento ne aveva paura. Terrorizzato fissava la sua lettera che indicava la missione e la destinazione: casa di Iaia Guardo.
C’erano due cani, Kiki e Koi, la loro mamma e il loro papà. Ma anche la mamma di lei, tanti parenti e amici. Sembrava una casa movimentata e sempre piena. Il compito appariva arduo, soprattutto perché di bimbi non vi era l’ombra. Oslav aveva immaginato che il suo primo incarico lo avrebbe visto impegnato con un bambino dai capelli rossi e gli occhi verdi. Non sapeva neanche lui il perché ma era sempre stato così.
Oslav sorseggiava un tè nella speranza di calmarsi. Aveva indossato la sua tutina e il cappello, era corso velocemente giù e aveva salutato distrattamente la Signora Claus che non gli aveva chiesto alcunché. Impegnata com’era con quelle torte, valigie, foglietti e zuppe sul fuoco c’era proprio da immaginarsi che non avrebbe avuto tempo per lui.
Le renne di Babbo Natale si stavano allenando nella corsa veloce e nel salto in alto. Il Polo Nord era una perpetua sfumatura di azzurro, blu e bianco. La neve era soffice e perfetta per fare delle granite ghiacciate all’arancia. Pare che dove si trova la casa di Iaia con Koi e Kiki ci siano tante arance e anche mandarini, mandaranci e grandi cedri. Oslav aveva letto molto riguardo quel triangolino galleggiante sul mare chiamato Sicilia. I suoi amici più stretti, Epppe e Urala, sarebbero andati da due bambini a Tokyo e New York. Due grandissime città piene di luci colori e movimento. Si sentiva sempre più scoraggiato tanto da tirare calci sulla neve.
Cometa e Ballerina, due tra le renne più amiche, si avvicinarono e gli chiesero il perché di tanto sconforto. Oslav si lasciò andare a un pianto ininterrotto e mostrò tutte le sue paure: raccontò di come avesse paura dei due cani, Kiki e Koi, e della tristezza di non poter condividere con un bimbo o una bimba l’Avvento e l’arrivo del giorno più importante, il Natale.
Cometa e Ballerina allora gli versarono dell’altro tè e si sedettero su tronchi tagliati come sedie.
“Se ci pensi neanche noi siamo due bambine, Oslav”, disse serafica Cometa.
“Beh, direi proprio di no”, scoppiò a ridere Ballerina.
In quella notte dalle sfumature azzurre e blu al Polo Nord si udì una fragorosa risata.
Due renne e un elfo avevano appena superato una paura.
E ogni volta che accadeva una magia così grande una stella brillava ancora più intensamente. Così fu. Alzarono la testa e la videro. Sembrava quasi che il cielo avesse disegnato i volti di Kiki e Koi come a voler rassicurare il piccolo Oslav. Così se ne convinse e salendo al dormitorio decise di preparare la valigia con il cuore svuotato dall’angoscia e riempito dall’amore. Oslav aveva preparato la valigia minuziosamente. Sarebbe tornato ogni sera attraverso la porta elfica per fare il suo piccolo rapporto ma doveva ugualmente munirsi di tutto il necessario. Infilò dentro le foto di Epppe e Urala per prima cosa e poi ancora una foto insieme a Cometa e Ballerina per ricordarsi sempre di non avere paura e che tra le sue missioni c’era sicuramente quella di far splendere sempre più stelle.
Suonò il telefono.
“Vengo subito. Certo!” disse affannato scapicollandosi giù per le scale.
La Signora Claus lo aveva avvertito con poche parole e spiegazioni: “Babbo Natale vuole vederti”. Arrivò davanti alla porta del Babbo e il cuore gli era appena esploso in gola. Si aspettava una ramanzina o ancor peggio il rinvio del suo primo mandato. Sicuramente Babbo Natale si era accorto della sua incompetenza e paura e avrebbe rimandato a chissà quando il suo primo lavoro da elfo.Oslav si ripeteva di essere un incapace quando udì quella voce bassa, calda e indiscutibilmente rassicurante; anche se di rassicurante in quel momento non c’era proprio niente. Babbo Natale era nella sua sedia a dondolo. Scriveva una lista con una piuma d’angelo e gli occhialini sembrava quasi che gli stessero per cadere tanto erano giù per il naso.
“A…e…io…è …non….” Oslav con tutto il -poco- coraggio in corpo cercò di cominciare un discorso ma il risultato fu divertente, sconclusionato e anche parecchio inadeguato. Babbo Natale non riuscì a trattenere una piccola risata che soffocò con un finto colpo di tosse.
“Oslav non devi avere paura”.
Sembrava che le gambe gli stessero per cedere. Si sentiva mancare e immaginava già di svenire. Lo avrebbero preso tutti in giro e. “Non sverrai”, disse Babbo Natale ricordando al piccolo elfo che poteva leggere nel cuore e nei pensieri.
“Ho paura Babbo anche se ieri con Cometa e Ballerina…”.
“Sì, anche se ieri sembrava che la paura fosse andata via. Oslav, sei pronto per il tuo viaggio e so già che farai un buonissimo lavoro. Conosco Koi, è un po’ monella e viziata. Non conosco Kiki perché è il suo primo Natale ma per quello che ho visto sembra più tranquilla”.
“Non era meglio cominciare con un bambino?”, disse Oslav sconsolato.
“Che differenza c’è?” disse Babbo Natale alzando gli occhi e guardandolo fisso. “Non è il genere. Non cadere in questi ridicoli schemi, Oslav. Sei un elfo di Babbo Natale. Sei un essere magico e speciale, portatore di sogni. Noi siamo qui per riaccendere lo spirito del Natale e mantenerlo vivo, per innescarlo e ricordarlo. Noi sappiamo che la famiglia è tale anche senza la presenza di piccoli umani. Che famiglia è amore. Non è più facile con un bambino. Lo è anche con due mamme, con due papà, con una sola mamma e un solo papà. Con un cagnolino o due, un topo o magari un canarino”. Oslav non trattenne le lacrime. Ricordò in quel momento cosa fosse la famiglia. “Non la deluderò Babbo”.
“Lo so” rispose dondolandosi sulla sedia con la voce orgogliosa che un padre speciale può avere.
“Ahhh, salutami Iaia, la mamma di Kiki e Koi! È una stramba eterna bambina che mi lascia sempre del buonissimo latte e dei biscotti deliziosi. Dille però di smetterla con il latte di soia! Preferisco quello di mandorle”. Oslav sorrise, chiuse la porta e andò via sereno.
Essere convocato nello studio di Babbo Natale a poche ore della partenza. Erano pochi gli elfi che potevano raccontare una cosa simile. Epppe e Urala si catapultarono sul letto di Oslav in cerca di notizie. Volevano i dettagli e non smettevano di bombardarlo con gli interrogativi. Oslav però aveva solo un unico pensiero. Declinò l’invito a rispondere a quell’interrogatorio, afferrò gli stivaloni verdi e scusandosi volò via. Cometa e Ballerina gli avevano promesso di aiutarlo ad attaccarsi con le ventose. Gli elfi erano muniti di stivaloni verdi con ventose capaci di attaccarsi alle superfici più infide. Oslav durante gli allenamenti era andato benissimo al corso di “Appiccicamento” ma con tutte le paure e l’ansia del periodo non si sentiva ancora pronto e desiderava allenarsi. Epppe e Urala in altre circostanze avrebbero potuto aiutarlo ma in quel momento erano più presi dalla partenza e dal pettegolezzo, a quanto pare. Inforcò gli stivali ventosa e cominciò ad attaccarsi alle pareti della casa delle Renne. Sui vetri, sul legno e pure sul tetto. Cometa e Ballerina lo incitavano complimentandosi e Oslav con inaspettata fiducia fece delle performance di assoluto livello. Mentre si appiccicava arrivarono Epppe e Urala con un vassoio di dolcetti. “E non ci dici niente?” urlò fintamente arrabbiata Urala.
Scoppiarono in una fragorosa risata. Lo incitarono per ore e si divertirono insieme mangiando cupcake, zuccherini e candy cane. E tantissimi pancake. Oslav stava proprio bene. Aveva ritrovato i suoi migliori amici, Babbo Natale si fidava di lui e tutto non poteva andare meglio di così. La valigia era pronta, l’arte dell’appiccicamento non era stata totalmente dimenticata e questa Iaia, mamma di Kiki e Koi, tolto il latte di soia che Oslav detestava sembrava stramba sì, ma dotata di un fortissimo spirito natalizio. Non poteva che essere una buona notizia. O almeno lo sperava con tutte le sue forze. Era l’ultimo giorno al Polo Nord. Le valigie e i bauli erano chiusi e messi in fila nel grande atrio della casa di Babbo Natale. Gli elfi erano più eccitati che mai e nella sala della colazione si sentivano urla e risate tra abbracci, lacrime e promesse. Anche se gli elfi tornavano ogni sera a casa per riferire l’operato della giornata, non avevano di certo il tempo di vedersi e chiacchierare. Durante l’Avvento era praticamente impossibile e la missione non prevedeva nessun margine d’errore. Oslav si era svegliato molto presto, aveva indossato il suo impermeabile giallo ed era andato a fare una passeggiata tra i boschi. Aveva portato qualche carota a Cometa e Ballerina e incontrato Rudolph, la renna dal naso rosso lampeggiante messa come capofila, che l’aveva molto tranquillizzato.
“Vai da Iaia, ho saputo!” disse la renna più famosa.
“Adoro quella bambina cresciuta, sai? Salutamela! Ogni anno lascia sempre le carote per noi insieme al latte e ai biscotti. Dille però che il latte di soia non piace…”.
“A Babbo Natale” disse Oslav ridendo.
“Le notizie al Polo Nord girano” concluse sorridendo Rudolph. “Stai sereno Oslav, Koi è davvero un esserino divertente! Pensa che una sera mi ha pure visto! Stavo mangiando le carote nella cucina di Iaia quando all’improvviso è spuntata dal salone. Ci siamo guardate per un po’. Le ho offerto una carota e lei non ha né abbaiato né chiamato Iaia. È stata una serata piacevole. Non avrai problemi”.
“Iaia e Koi sono molto conosciute al Polo Nord, come mai?”.
“Perché Iaia, e di conseguenza la sua piccola Koi e sono sicuro anche Kiki, sente tantissimo il Natale. Pensa che è nata dodici giorni prima della Vigilia, il giorno dodici del mese dodici alle dodici. Nonostante sua madre le abbia detto sin da piccola che Babbo Natale non esistesse lei ci ha sempre creduto fortissimo. E non ha mai smesso un secondo neanche adesso che è un po’ grandicella. Ha voluto un camino, anche se finto, solo per Babbo Natale, figurati!”.
Oslav era ancora più rassicurato e a dire il vero adesso non vedeva l’ora che la sua missione cominciasse.
n quella piccola isola a forma di triangolo galleggiante non c’era tanto freddo e temeva che la sua divisa fosse troppo pesante, ma che importanza aveva? Ci avrebbe pensato poi! Adesso doveva pensare solo a divertirsi e a conoscere Iaia, Koi e Kiki.
Avvolto nella sua copertina di tartan non aveva chiuso occhio. Neanche venti tazze di tè lo avrebbero risvegliato ma di sicuro qualche biscottino lo avrebbe aiutato. Aveva pensato che non vedeva l’ora di assaggiare questo latte di soia. Chissà perché tutti lo detestavano. Oslav non aveva mai provato il latte di soia e neanche quello di mandorle di cui aveva parlato Babbo Natale. A ben pensarci non aveva mai provato nessun latte che non fosse Pololat, il latte più famoso di tutto il Polo Nord.
Si alzò di fretta, anche se ancora tutti dormivano, si lavò i denti, si sistemò i capelli e stirò velocemente il suo cappello a punta. Si guardò allo specchio e si incoraggiò. Strinse fortissimo gli occhi ricapitolando tutti i pensieri positivi che aveva immagazzinato nei giorni precedenti e si diresse verso la biglietteria. Gli Elfi dovevano prendere il numero da un erogatore automatico nel salone grande per avere un ordine di partenza. Era sicuro che sarebbe stato il primo. C’era un silenzio surreale in quel momento. Neanche la Signora Claus era sveglia perché non si sentiva odore di caffè, tè e latte come ogni mattina. Si scapicollò giù per le scale. Arrivò all’erogatore dei numeri e staccò velocemente il biglietto con forza e coraggio. Dodici. Il biglietto numero dodici. Impossibile, si disse. Undici elfi prima di lui avevano già preso il numero. Era davvero incredibile. Si avvicinò quindi alla cucina dove servivano la colazione ed effettivamente c’erano proprio undici suoi colleghi che stavano silenziosamente spiluccando qualche resto dalla cena perché nulla era ancora pronto.
“Buongiorno” disse piano piano.
Tutti risposero ancora più piano e Oslav si accomodò con il biglietto tra le mani.
“Dodici”. “Sono il dodicesimo elfo a partire per andare da Iaia che è nata dodici giorni prima della vigilia il giorno dodici del dodicesimo mese alle dodici in punto”.
Oslav vide questo come un segno positivo e iniziò a pensare a quanto sarebbe stato speciale il giorno dodici del mese dodici in quella casa.
Oslav si rifocillò dopo la notte insonne con una montagna di pancake carichi di burro d’arachidi e sciroppo d’acero. Un carico di energie per affrontare al meglio quella giornata incredibile!
Doveva passare attraverso la porta elfica per la prima volta in vita sua, attraversare tutti i cieli, arrivare nell’isoletta, impacchettarsi e farsi trovare dietro la porta di Iaia.
Non stava più nella pelle.
Pare che aperta la porta elfica si venisse assaliti da un’onda colorata e vorticosa piena di caramelle, bastoncini di menta e liquirizia e tanti bon bon al cioccolato. Durante il viaggio, che durava giusto qualche minuto a seconda delle destinazioni, si potevano gustare tutti i dolcetti che si volevano. Babbo Natale consigliava però di non esagerare, soprattutto con i bon bon al rum, perché alcuni elfi tornavano al Polo Nord dopo un’estenuante giornata di giochi un po’ brilli e troppo sopra le righe.
Oslav non beveva nulla che contenesse alcool quindi non si poneva neanche il problema. Non voleva esagerare però con le liquirizie, sua passione, perché troppe gli facevano venire il mal di pancia.
Urala si avvicinò a lui nella sala colazione e che pian piano si era riempita di elfi eccitati e contenti per la partenza.
“Promettimi che se avrai tempo ci vedremo anche qualche secondo o ci scriveremo” disse Urala intristita.
“Ma lo sai che durante la missione natalizia non possiamo” quasi urlò Oslav visibilmente agitato.
“Ma tu provaci, ok? Pensami!” ribattè Urala.
“Ma certo che ti penserò! Ci racconteremo tutti i dettagli e tutte le nostre avventure. Stai serena Urala!” la confortò Oslav.
Si abbracciarono fortissimo, ordinarono altri venti pancake per non esagerare e li mangiarono di gusto insieme.
La porta elfica era proprio davanti a lui. Bastava allungare la mano, impugnare la maniglia, girarla tre volte e sarebbe stato dentro il tunnel di caramelle e poi dritto dritto nell’isola galleggiante e soleggiata. Che emozione!
Oslav tremava dalla felicità e anche dall’agitazione.
Afferrò la maniglia fortissimo, chiuse gli occhi e via! Il tunnel era vorticoso e coloratissimo. Lo vide quando ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Centinaia di rotelle di liquirizia volteggiavano e si attorcigliavano tra marshmallow, bon bon coloratissimi e pezzi di cioccolato. C’era un odore talmente buono! Oslav pensò che non si sarebbe abituato a tutta questa meraviglia anche se doveva attraversarla per tutte le sere di Dicembre. Non voleva pensarci però e preferiva godersi quel momento che sembrava velocissimo ed eterno al tempo stesso. Non seppe mai quanto tempo passò esattamente. Si ritrovò in una stanza grandissima con tante porticine piccole e una grande socchiusa, con una targa e scritto 12. C’era una luce rossastra tenue e un tetto pieno di stelline e lucette. Accanto alla porta grande c’era il pacco dove si sarebbe dovuto infilare.
Alla Elf Christmas School gli era stato insegnato proprio così.
Avrebbe dovuto infilarsi nel pacco e chiudere la parte superiore. Avrebbe poi dovuto spingere un bottone che si trovava all’interno del pacchetto proprio sotto il fiocco e via.
Sarebbe giunto a destinazione.
Passarono pochi secondi secondo il suo conteggio e Oslav dopo un po’ di movimento si ritrovò fermo dentro il pacchetto.
Fuori si udivano voci incomprensibii. All’improvviso un abbaio fortissimo.
“Deve essere Koi” pensò Oslav.
“Ma potrebbe pure essere Kiki” proseguì continuando a trastullarsi tra ipotesi, paure ed eccitazioni.
“Ferma, Koi! Lascia stare il pacchetto!” sentì Oslav mentre veniva sballottato dentro il pacco velocemente. Koi a quanto pare aveva afferrato il fiocco e lo stava portando su e giù per il giardino. Per Oslav era stato meno movimentato il viaggio nel tunnel.
Di colpo il pacchetto si fermò e la voce di quella che doveva essere Iaia arrivò forte e chiara alle sue orecchie.
“Lo apriamo a casa, ragazze!” disse.
“Ragazze! Che cosa buffa chiamare così due cagnolini” pensò Oslav. Il pacchetto venne poggiato su qualche superficie e Oslav potè finalmente tirare un sospiro di sollievo. Sentiva Iaia parlare con Koi e Kiki della pappa e pure un gran frastuono. Le due ragazze si stavano di sicuro rincorrendo perché si sentivano zampate, abbai e lunghi affanni. La paura era completamente svanita e Oslav non temeva affatto Kiki e Koi e neanche Iaia. Da quando Babbo Natale l’aveva rassicurato si sentiva davvero tranquillo. Il pacco cominciò a muoversi fortissimo. Iaia stava per tirarlo fuori. Oslav si sistemò i capelli e si controllò i denti nel suo specchietto portatile. Non avrebbe mai voluto farsi vedere con tracce di liquirizia tra i denti! Si preparò a stare immobile e pregò in tutti i modi nella speranza di essere in grado. Iaia, Kiki e Koi non avrebbero mai dovuto vederlo muoversi. Era quello il compito più difficile. Rumore di carta. Qualche gridolino di felicità e poi gli abbai forti e teneri al tempo stesso. Iaia lo agguantò dalla pancia e lo tirò fuori con delicatezza.
“Ciao Elfetto! Come sei carino!” gridò Iaia tutta contenta. Non era affatto una bambina. Era una donna con lunghi capelli scuri e occhi color noce. Aveva un naso dritto, le labbra carnose ed era pallida come un cencio. Aveva i denti dritti e bianchi e un sorriso grandissimo con le guanciotte un pochino rosse dall’emozione. Oslav da lì a poco avrebbe saputo il suo nuovo nome. Era infatti usanza che la famiglia desse un nome al proprio Elfo. Chissà come lo avrebbero chiamato Iaia, kiki e Koi. Koi e Kiki saltellavano e volevano acchiappare Oslav. Lui stava fermissimo mentre Iaia tutta contenta spiegava la storia alle sue due ragazze. A Oslav piaceva davvero tantissimo chiamarle così. Ragazze! Stava fermo e immobile ma a fatica riusciva a trattenere qualche risata. Kiki era molto più piccola di Koi e molto buffa. Cadeva a ogni saltello e cercava di arrampicarsi sulle gambe di Iaia che Oslav non aveva immaginato così alta. “Dobbiamo dare un nome al nostro Elfetto adorabile!” disse dirigendosi verso la poltrona.
La casa era molto bianca e luminosa, piena di oggetti moderni e tanti quadri che aveva disegnato Iaia. Sul tavolo c’erano tantissimi pasticcini e due torte sulle alzate. Si sentiva profumo di zucca e delle candele erano accese proprio vicino alla finestra.
“Allora come ti chiamiamo?” disse Iaia guardando negli occhi l’elfo.
“Mi piacerebbe un anagramma del nome del mio papà”, continuò con gli occhi lucidi mentre Koi e Kiki si erano accovacciate accanto a lei fissando insistentemente l’elfo.
“Mio papà si chiamava Salvo ma io lo chiamavo sempre Turi” gli confidò Iaia.
“Potremmo fare…uhm…Urti no. Irtu no. Tiru uhm. Alsvo mo. Volsa no. OSLAV!!!!!! Mi piace! Che dite ragazze?”. “Ti chiameremo Oslav!” tra gli abbai festanti di Kiki e Koi completamente d’accordo con la loro mamma.
Oslav era senza parole. Alla Elf Christmas School non era mai successo che qualcuno desse lo stesso nome dell’Elfo. Impossibile! Non era neanche contemplato nei testi antichi.
Oslav non credeva alle sue orecchie. Aveva ricevuto come nome il suo nome stesso. Se non fosse rimasto concentrato come minimo gli occhi gli sarebbero usciti proprio fuori dalle orbite.
Iaia, Kiki e Koi gli piacevano e pure tanto.
Pensò che fossero delle maghette, altrimenti non si spiegava tutto quello che era già successo.
Iaia aveva comprato diversi oggetti per il suo Elfo. Lo mise sulla cappa, proprio sopra l’isola della cucina. “Per adesso ti mettiamo qui, Oslav, ma di giorno verrai con noi. In ufficio, nello studio e pure nel salone vittoriano!”.
Oslav non credeva alle sue orecchie. Un’adulta che gli parlava come fosse una bambina era qualcosa di davvero bizzarro ma molto divertente. Kiki e Koi lo fissavano e Oslav sapeva il perché: avrebbero voluto acchiapparlo e ridurlo in brandelli in pochi secondi.
Non aveva una visione ottimistica nei confronti delle due “ragazze” ma non le temeva del tutto.
C’era una copertina, una slitta, una sciarpa e una poltrona verde gonfiabile. Oslav pensò che fosse davvero comoda quella poltrona e sperò che Iaia gliela gonfiasse. Una volta solo ne avrebbe approfittato per qualche sonnellino.
Iaia tutta entusiasta continuò a parlare velocemente con Kiki e Koi. Prese Oslav e gli provò un pigiamino e un vestito da Gingerbread.
“Su Amazon ci sono tantissimi accessori per te, Oslav! Li ho presi tutti! Sei contento? Vorrei tanto ti trovassi bene con noi”. Oslav quasi pianse alla vista del vestito da Gingerbread. Una volta un suo amico Elfo gli aveva raccontato quanto fosse stata gentile la sua famiglia facendogli dei maglioni a maglia, ma addirittura un vestito! Un vestito da Gingerbread!
“Fantastico!” quasi gli scappò dalla bocca. Non vedeva l’ora di raccontarlo a Urala e Epppe ma anche a Cometa e Ballerina! Rudolph e Babbo Natale avevano proprio ragione. Sarebbe stato un bell’Avvento. Il suo primo Avvento. E se Iaia, Koi e Kiki si fossero affezionate a lui avrebbe passato tutti i Natale della sua vita con loro. Oslav era proprio felice e tutta quella felicità la meritava. Perché Oslav era davvero un elfo speciale, generoso e incredibile. Il primo giorno non si potè muovere tanto perché Iaia restò in cucina tutto il giorno a sfornare biscotti, torte e manicaretti vari. Faceva una cosa strana. Cucinava, fotografava e poi metteva in degli scatoloni ripetendo “questi li diamo ai ragazzi dell’ufficio”. Preparava per tante persone molte leccornie e solo il profumo aveva saziato Oslav.
Iaia parlava al telefono ininterrottamente, scattava foto, parlava di scone e torte e poi subito dopo di illuminazione, cose tecniche e architettoniche. Era molto divertente assistere a questo teatrino surreale movimentato. Koi e Kiki saltellavano, giocavano e si rincorrevano per poi crollare in lunghi pisolini sulle poltrone. Riuscivano a procacciare qualche delizia, soprattutto carote e zucchine bollite ma pure qualche premietto che odorava di cernia e pesce vario.
Iaia parlava di Natale, girava dei video e instacabilmente giocava con le sue due piccole. Oslav era felice di vederle serene e molto affettuose. Viveva in casa anche un Signore con gli occhi verdi e senza capelli, molto magro e spigoloso.
Non aveva lo spirito natalizio, neanche un po’, pensò Oslav.
Quando Iaia tutta felice gli mostrò Oslav il signore spigoloso non lo degnò neanche di uno sguardo- Disse soltanto “è arrivato”.
Iaia però non aveva perso l’entusiasmo e lo manteneva vivo sempre più. Continuò a raccontargli del vestito gingerbread, della porta elfica e che in realtà Oslav stava immobile per contratto. Che di notte sarebbe tornato al polo Nord e avrebbe raccontato tutto a Babbo Natale di come si era svolta la giornata insieme a lei, kiki e koi.
“Ancora con questa storia?” disse Pi. Si chiamava così il signore spigoloso, o almeno iaia lo chiamava così.
“Non è una stupidaggine Pi! E non offenderlo perché ci sente! Non metterlo in imbarazzo e non farlo sentire un estraneo, per piacere”.
Iaia conosceva proprio bene la storia degli Elfi. Era preparatissima su tutto quello che riguardava il Natale. C’era già l’albero acceso e tanti addobbi e non faceva che ripetere di essere felice perché stava arrivando la notte più magica dell’anno.
Oslav se avesse potuto avrebbe tanto voluto abbracciarla.
Il Video su IGTV