Ricette Vegetariane e Vegane

Ketchup sulle patatine, alla stanza 237

Shining non vince l’oscar. Non è neanche nominato (incredibilmente, aggiungerei). Shining però è in assoluto -se dovessi sceglierne uno con tantissima fatica- il mio film. Ce ne sono altri di titoli che per certi versi mi hanno emozionato in modo diverso e che sento fortemente miei ma per una serie di ragioni -che spiegarle adesso così in poche righe è praticamente impossibile- questa pellicola ha cambiato il mio modo di vedere e percepire. Anzi, rettifico, prima il libro e poi la pellicola che è quasi sciocco ribadirlo sono due storie -per assurdo- completamente diverse. Kubrick è così forte, intenso, misterioso e crudo. È il genio e la follia. È la filosofia. Rigoroso sul set e leggendari i suoi incessanti ciak -pare che arrivassero fino a ottanta e novanta per la stessa scena- Kubrick è l’eccezione. Tutte le sue opere sono collegate da un filo rosso non tanto invisibile. Ogni colore, quadro appeso ai muri, oggetto posato sulla scena riconduce a qualcosa di politico. Di personale. Di filosofico. È sempre un messaggio-un’enigma che regala e lascia allo spettatore. Anche la moquette dove Danny corre su e giù con il triciclo ha un valore, un significato e una potenza. Una settimana di vent’anni fa mi sono chiusa nella stanzetta e ho cominciato a vedere tutte le opere di Kubrick in ordine cronologico ed è stata un’esperienza che definirei mistica. Da rifare, assolutamente. Con una consapevolezza e conoscenza diversa, tra l’altro. 

Chi crede che Kubrick abbia “semplicemente” stravolto il racconto di King di certo non ha indagato le ragioni e il collegamento con gli indiani d’America. King inizialmente non perdona a Kubrick moltissime cose, nonostante la stima per il regista. Una su tutte sicuramente il fatto di non aver seguito una linea temporale quantomeno simile. L’escalation della follia, mettiamola così. Con il tempo pare che il re dell’Horror ci abbia fatto un po’ pace pur rimanendo dell’idea -che alla fine dovrebbe essere così per tutti- che Jack Torrance diventa un mezzo per raccontare e rappresentare altro. Chi ha voglia di vedere una trasposizione tv  può sempre rivolgersi alla miniserie televisiva -tre puntate da 90 e più minuti – molto fedele al libro proprio perché adattata dallo stesso scrittore e diretto da Mick Garris. Con una bravissima Rebecca De Mornay e un Steven Weber senza infamia e senza lode (il paragone con Jack, volente o nolente si fa). Ci sono quindi diversi/molti modi di parlare di Shining. C’è chi ha letto il libro e non ha visto il film. Chi ha letto il libro e visto il film. E poi c’è chi ha voluto vederci chiaro analizzando, ricollegando e perché no come nel mio caso ossessionandosi leggendo interviste, speciali, documentari e qualsivoglia contenuto. Il cibo stesso, come l’amido KALUME nella latta rossa con raffigurato un indiano d’America, è protagonista indiscusso e Kubrick si prende gioco di noi per certi versi facendoci sentire dei cretini patentati quando poi capiamo e scopriamo il perché. Il perché è presto detto. Dei quadri degli indiani, dell’arredamento indiano e dei rimandi continui: Kubrick denuncia il genocidio dei indiani d’America e lo fa attraverso un cult letterario assoluto ricollegandolo a tutto il resto delle pellicole. Sempre in tema di cibo (ci vorrei scrivere un libro per quante cose ho scoperto, letto e collegato. Forse malamente ma collegato) basti pensare che Jack Nicholson fu inviato a mangiare per un mese dei toast al formaggio per accrescere la sua ira. Sì.

Il toast al formaggio

Jack Nicholson detestava i toast al formaggio. Era il cibo che più lo turbava in assoluto e per questo motivo in accordo con Kubrick decise di mangiare solo ed esclusivamente toast al formaggio per un mese. Il cibo si sa è un termometro dei nostri umori e ci influenza. Pensiamo di mangiare la stessa cosa che odiamo e che non vorremmo mai mangiare per un mese intero. Beh. Diciamo che oltre le infinite doti attorniati di Jack il panino al formaggio ha aiutato a farlo innervosire parecchio. Anni fa, esattamente nel 2011 sul blog in onore di shining ho fatto una torta con gli Oreo, perché sì. Anche gli Oreo sono onnipresenti. 

Ne potrei fare davvero moltissime di ricette ma oggi ho scelto le patatine con il tomato fatto in casa perché Danny le amava e lo amavo. E oggi, visto che parlo sempre e solo di Jack e la mia ossessione per lui, volevo proprio fosse lui il protagonista. Shining non è un film horror di un grande registra tratto da un romanzo di successo di un grande scrittore: Shining lascia indizi. Pure alla fine con la fotografia in bianco e nero. Se non si è visto 2001 Odissea nello spazio poi, non si ha alcuna ragione per apprezzare Shining. Proprio per i messaggi nascosti e proprio perché -ribadiamoo ancora una volta che non guasta mai- Shining di Kubrick rimane di Kubrick. Jack Torrance è una chiave per scardinare altro. Per mostrare cose che non abbiamo mai visto. Le colonne sonore, la fotografia, la regia di Kubrick (arancia meccanica compresa) è capace di cambiare oltre che di stordire. Non si è davanti a un film. Si è davanti a un’enigma e questo bisogna tenerlo sempre a mente. I sottotesti che si sono analizzati da importantissimi storici del nostro tempo rimandano anche all’olocausto. La marca della macchina da scrivere dove Jack ticchetta per noi italiani “la mattina ha l’oro in bocca” e per tutto il resto del mondo “all work and no play makes jack a  dull boy” è tedesca (come il numero 42 storicamente collegato all’olocausto. Adler che significa aquila che è la marca della macchina da scrivere è direttamente collegata agli incresciosi fatti avvenuti in Germania).

E non è un caso. Proprio perché come detto fino allo sfinimento ogni minimo dettaglio non è mai un caso per Kubrick. Se si ha voglia di approfondire sono sicura che rimarrai sconvolta/o dai sottotetti e dai collegamenti. Hai notato che la macchina da scrivere cambia colore durante il film? Insomma la smetto perché potrei andare avanti per chissà quanto tempo. Shining non è un film ma un documentario. E riesce a terrorizzarti con due dolcissime gemelline facendoti provare raccapriccio e paura, proprio come dovrebbe per i temi realmente trattati. Sai cosa vedi. Ma non vedi di cosa si parla. Ha sempre giocato su questo Kubrick e mai come in Shining riesce a farlo (hai notato gli angoli? I quadri? Niente è un caso. Niente. Anche quando ci prende in giro mettendo finestre dove prima non c’erano).  E chissà quante cose sono ancora nascoste avendo 190 come quoziente intellettivo (che fa già paura quando si arriva a 140. I centonovanta, non si è mai capito se sia leggenda o meno ma non si fa fatica a crederlo).

Sono così tante le curiosità dietro Shining. Sono stata pesantona negli altri due contenuti quindi cercherò di dirne qualcuna veloce e senza troppe elucubrazioni mentali. La Duvall e Nicholson ammisero che fu davvero difficile la vita nel set. Pare che la Duvall ebbe dei veri e propri esaurimenti nervosi con tanto di perdita di capelli. Kubrick non era proprio un biscottino e faceva ripetere le scene fino allo sfinimento vero e proprio. Si infuriava tantissimo se non otteneva il risultato che aveva in mente e questo rendeva il clima ancora più angosciante e disturbante. Kubrick aveva una vera e propria ossessione: quella di girare in ordine cronologico. Non lo fa praticamente nessuno ma lui ci teneva moltissimo a seguire una vera e propria linea temporale . Le riprese dovevano durare 18 settimane e invece si sfiorarono le 50. Tutta la troupe era snervata e stanchissima.  Ci sono scene girate 150 volte. Nonostante questo Kubrick cercò in tutti i modi di tutelare il bambino durante le riprese vista la tenera età. Il bambino infatti non era a conoscenza di tutta la trama del film. Pare che il sangue nella scena dell’ascensore sia vero (e animale) proprio perché Kubrick non amava escamotage cinematografici. Voleva che tutto fosse crudo e reale. 

Sono davvero tantissime le curiosità dietro questa pellicola/documentario che ha fatto storia e che nonostante il tempo continua a far parlare incessantemente di sé.

Per me Shining (cercando impossibilmente di sintetizzare) è

Non è solo un film ma una denuncia.
Non è solo una storia ma sono infinite.
Non è solo follia ma è solitudine.
Non è solo un albergo ma l’anima in cui ti incateni.
Non è solo luce ma buio.
Non è solo un labirinto ma depressione, angoscia, via libera.
Non è solo una famiglia ma frustrazione.
Non è solo un pazzo ma quello che siamo. E che siamo capaci.

 

Il Ketchup

Per fare il ketchup fatto in casa occorrono pochi ingredienti ma buoni. Il risultato sarà favoloso. 

  • Un chilo di pomodori pelati 
  • 2 cipolle
  • 4 cucchiai di olio extra vergine d’oliva 
  • 60 grammi di zucchero di canna 
  • 130 ml di aceto di vino rosso 
  • 1 cucchiaio bello colmo di concentrato di pomodoro 

Una generosa manciata di pepe nero in polvere, un pizzico di cannella e un pizzico di noce moscata. Con l’olio lasciamo andare la cipolla e i pelati. Cuociamo per bene e poi aggiungiamo tutti gli ingredienti. Dovrà stare almeno un’ora sul fuoco dolce. Frulla tutto quando è freddo e conserva in frigo (non so dirti per quanto perché come sai nelle conservazioni sono un po’ troppo fiscale. Ne preparo per quanto me ne serve e al massimo consumo entro la settimana non di più)

 

 

 

🎬 “A CENA CON OSCAR”

è un progetto nato nel 2010 su questo blog che tratta di correlazioni cibo-film e in occasione della Notte degli Oscar, che avverrà il 12 Marzo quest’anno, ho deciso di riprenderlo in mano proponendolo in una nuova veste -anche grafica- sul profilo instagram; la stragrande maggioranza di pellicole scelte ha vinto degli oscar ma può capitare che alcune non siano state premiate ma che amo particolarmente. I vecchi articoli con ricette e correlazioni potrebbero non comparire più proprio perché ho approfittato per svecchiare un po’ il tutto rifacendo completamente da capo: post e foto.

Rimarranno comunque in archivio perché all’epoca non c’era questo uso smodato dei social e conservo i tantissimi commenti come doni preziosi.

🍿Su Instagram troverai ogni giorno:tre i contenuti inerenti a questo film e puoi visualizzarli guardando il feed (clicca su @iaiaguardo ) 

📽️ Un’illustrazione, una ricetta e una citazione. 

 

Ricordi

Qui il primo post di Febbraio 2012 dove abbiamo cucinato insieme per la prima volta le patatine con il ketchup per Danny.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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