Otake, l’okasan, ben sapeva come la fama della bellezza di Yumiko aleggiasse in tutto l’arcipelago proprio come i petali di ciliegio portati dal vento. Il candore della sua pelle e quel profumo inebriante della sua arte erano violenti come schiaffi improvvisi sul volto. Si restava atterriti dal bagliore dei suoi occhi che scivolavano come seta lungo i movimenti terreni che sembravano non appartenerle. Yumiko spostava l’aria mentre i pesanti okobo sembravano sollevarsi da terra fluttuando. Il suo collo scoperto e chino mentre con leggiadria versava il the era preda di pensieri impuri e terreni.
Un nido corvino per capelli come a trattenere gru che non possono volare e un corpo coperto sino ai piedi con pregiatissimi tabi. Una corazza di beltà che ne racchiudeva, seppur solo impossibile pensarlo, altrettanta al suo interno. La modulazione del respiro non era mai stata esercizio. Avida raccoglieva aria a sè, come fossero attimi di esistenza e comprensione. Golosa della conoscenza e desiderosa di cultura fissava il vuoto oltre le pareti dove alcuni ukiyoe raffiguravano ciò che molte donne erano state prima di lei.
Otake ben sapeva che a Yumiko non importasse la fama della bellezza, ma avesse bensì solo fame di bellezza. Non le interessevano i gioielli ed i doni che ricchi e facoltosi uomini, talvolta con la loro impudicizia mentale, portavano tra le mani. Vogliosi di avere quel collo scoperto e chino solo per loro, promettevano case sontuose e scarpe occidentali. Trucchi lussuosi e ventagli di madreperla preziosi con i quali soffiare un presente che sarebbe diventato passato. Yumiko non sarebbe stata più una geisha. Al contrario di quell’angelo di bellezza, pensava fissando le stampe oltre la finestra, non capivano che il vento del tempo avrebbe portato via quell’effimero estetico. Yumiko non voleva essere amata e posseduta da chi vedeva in lei un albero di ciliegio in fiore durante l’Hanami.
Apprezzarne le radici e i pezzi rinsecchiti che sarebbero caduti devastando il ricordo della fioritura.
Taciturna quando non ammaliava con i suoi racconti, canti e danze ipnotizzanti, era solita dedicarsi all’arte dell’origami nella solitudine di quella stanza, smessi gli abiti tradizionali. Con leggiadria, perchè le apparteneva anche nella solitudine, versava del the verde dentro i soba che l’avrebbero scaldata. Alternava il rumore del risucchio del brodo ad un fruscio lento emesso dalla carta. Amava gli origami di animali. Era riuscita a farne di impossibili. Con la febbre altissima e del tempo di avanzo, persino un drago.
Un lunghissimo drago che ancora adesso la fissava dal tatami poco distante. Era la farfalla quella che le dava maggiori difficoltà nella lavorazione. Mai nessuna farfalla riusciva ad essere credibile ai suoi occhi e mentre cantava con voce capace di fermare il tempo, freneticamente rigirava quella carta monocolore che sperava assumesse all’improvviso colorazioni multiple come le tonalità tipiche delle ali di farfalla.
Otake irruppe nella stanza senza curarsi di avere fatto cadere il drago che la fissava dal tatami poco distante. Otake irruppe nella stanza senza curarsi di aver interrotto la nascita di un’ala monocolore con possibilità di multiple tonalità tipiche della farfalla. Proprio come aveva fatto con la vita di Yumiko irruppe senza curarsi di trattenere quel collo scoperto e chino al chiuso di un’esistenza.
Yumiko posò la ciotola dei soba e la fissò con occhi supplichevoli perchè qualora ci fosse stato un visitatore fuori orario lei proprio non era pronta a rinunciare al suo tempo. Dovette però ricomporsi e andare. Una modernità che una vera geisha che possedeva l’iki non poteva certamente tollerare. Quella maschera non avrebbe potuto trattenere la voglia di non essere lì.
Lasciando soba arrotolati come sogni e ali di farfalla incapaci di volare. Proprio come la sua esistenza e il suo futuro. Si diresse nella sala della vestizione incitata a movimenti celeri ma che tali non potevano essere.
Il tempo non era importante per quello che si dimostrò essere un visitatore giovanissimo e timido; di certo facoltoso e abbigliato con vestiti dal taglio occidentale. Le raccontò senza troppi preamboli come la sua vita fosse vuota e quanto l’effimero governasse ormai l’esistenza altrui. Divagò sulla maleducazione di essersi presentato in quel modo, servendosi del vile denaro come scudo. Approfondì come fosse la prima volta che abbisognava di una boccata d’arte con sembianze umane e di come l’amicizia con Otake fosse utile. Un incontro con Yumiko avvenuto abusando di tutto quello da cui voleva fuggire. In una contrapposizione di tonalità di volontà e intenti.
Parve strano a Yumiko non rimpiangere la fine della sua porzione di Soba mentre vicino al braciere cominciava a preparare il the. Il suo collo non aveva attrattiva alcuna per quel visitatore improvviso. Yusuke si chiamava.
E il piatto preferito di Yusuke erano i soba al the matcha. Yumiko lo scoprì proprio mentre versava il the e porgeva la tazza con entrambe le mani accorgendosi che il pettinino con le perle rosa era appena caduto a terra rompendosi. “E’ solo un pettinino”, disse Yusuke. Un altro visitatore si sarebbe certamente preoccupato di rassicurarla promettendole che se solo avesse voluto avrebbe potuto avere tutti i pettini che desiderava. Se solo avesse voluto, al sorgere del sole lui stesso avrebbe costruito milioni di pettinini. In cambio del suo collo per sempre. In cambio delle sue ali e dei suoi sogni arrotolati come soba chiusi in una stanza.
Ma per Yusuke un pettinino rotto per terra valeva quanto per Yumiko. Nulla. A Yusuke importava più raccontarle di come gli piacessero i soba al the matcha e di come sua nonna glieli preparasse semplicemente lasciando cuocere il grano saraceno in una pentola, che sembrò materializzarsi tra il legno di quella stanza tradizionale che non aveva più pareti ma ficus. Che non aveva più tetti ma nuvole e piccoli rami di Sakura sporgenti che quasi si impigliavano in quel nido di capelli corvini mal arrotolato dalla fretta. Del resto nessuno aveva potuto aiutarla.
Si congedò senza promettere futuri, pettinini e ritorni. Andò via dicendo di aver voglia di “Soba al the matcha”. Yumiko pensò che uscendo dalla porta avrebbe voluto seguirlo. Seguirlo per intraprendete un percorso che li avrebbe portati dentro un enorme ciotola di sogni arrotolati verdi; parlando di come il verde talvolta faccia paura. Inseguirli, afferrarli e realizzarli. Magari insieme.
Altrimenti pensò che avrebbero potuto rimanere lì e semplicemente tornare indietro. Afferrare la mano di Yusuke e portarlo lì. Nella stanza dove da sola cercava di costruire ali di farfalla e dove vi erano proprio dei Soba al The matcha. Avrebbe potuto offrirgliene giusto una porzione dimezzata perchè ci si può accontentare anche dei sogni a metà. Ci si può accontentare anche di quelli dell’altro senza i propri se solo le pareti cadono, il tetto scompare e il chiuso diventa aperto proprio come era accaduto non troppo tempo prima.
Yusuke ringraziò per quell’imprevista cerimonia del the e per i ricordi che ne erano scaturiti. A Yumiko parve addirittura solo frutto di una abitudine credere che fosse sempre perfetta e che in realtà Yusuke fosse indignato da tanta inaspettata inutilità. Accennò un sorriso prima dell’inchino. Nascosto da un rossetto troppo rosso che nascondeva un roseo invalicabile agli occhi altrui, Yumiko non lo seguì e non lo trattenne.
Mandò giù i soba freddi dopo averli fissati come fosse un acquario di sogni travestiti da pesce travestiti da soba. Muovendoli come a volerli stuzzicare per far compiere loro movimenti. Alla rinfusa talvolta come burattini altre ancora. Senza sapere bene cosa farne. Se inghiottirli, rigirarli ancora o fissarli. Si chiedeva se avrebbe potuto deglutire a causa di quell’intreccio dentro la gola che aveva formato un pesce-soba-sogno risalito in superficie. Sotterrato, abilmente nascosto e ripudiato in angoli di stomaco. Quello di avere una famiglia. Di abbandonarsi ad una vita che sapeva non le sarebbe appartenuta.
Avrebbe potuto chiedere ad Otake chi fosse Yusuke. Implorandola di. Ci sarebbero state urla, rimproveri, rimpianti o rassegnazioni, felicità e futuri diversi. Il rumore della carta accompagnava le note finali di questo canto della buonanotte che si concedeva per se stessa. Non venne fuori una farfalla ma nuovamente una gru. Una gru che non sapeva volare. Monocolore senza che il foglio riuscisse ad assumere tonalità diverse.
Ogni giorno a seguire diventò sosia del precedente ed ogni sera Yusuke non tornava, forse ancora in cerca di soba al the matcha. Ogni sera Yumiko non riusciva ad avere delle ali e lasciava mezza porzione nella speranza di condividerla con qualcuno. Nella speranza di rimanere affamata a metà nel caso lo avesse dovuto seguire.
Ma non accadde niente. Ogni giorno diventò copia del precedente. Ogni sera Yusuke non tornava. Ogni sera non si ripresentava, mentre la farfalla non riusciva ad avere delle ali e porzioni a metà di soba al the matcha restavano freddi perchè diventate porzioni troppo grandi. Come in un rituale.
Affamata avendo cibo. Sazia non avendone.
Non pubblico mai le mie storie perchè non sono studiate. Non sono volute. Appaiono nella mente mentre rotolo anche io soba o scatto foto. Mi rilassa moltissimo disegnare schifezze somiglianti agli ukiyo-e e mentre giro con la matita finta o vera che sia compaiono nomi, luoghi, storie con delle fini e senza mai inizi.
Mi diverte avere una firma in Hiragana, rassegnandomi al fatto che un giapponese mi guarderebbero basito mentre cerco di spiegargli che. Insomma volevo intendere Iaia. Diminutivo. Ma è Yaya. Ma no. Insomma troppo complicato. Però mi piace immaginare che questo sia Iaia in Giapponese a tutti gli effetti e che Yumiko alla fine ci sia riuscita a dare almeno un’ala alla farfalla. Soprattutto che il drago non si sia rotto. Ecco a quello tengo particolarmente.
Questo per dire insomma che capiterà ci sia anche questa parte di me. Giusto per confrontarmi e avere meno paura. In concomitanza poi con la nascita della sezione Nihon-Ya che sta per “Bottega”. Mi sono resa conto infatti che la sezione light è comodissima soprattutto perchè sto trascrivendo le ricette basi così da non essere ogni volta costretta ad una trascrizione selvaggia di impasti che si ripetono. Accadrà quindi che nella sezione Nipponica, oltre a glossari, indicazioni utili su ingredienti, utensili e quant’altro ci siano anche le ricette basi, mise en place perchè no qualche nozione di galateo che non fa mica poi così tanto male. Magari si starnutisce socializzando con un giapponese e si comincia davvero malissimo, insomma.
I soba al the matcha rimangono un must irrinunciabile qui in casa. Sono alla base della dieta nippotorinese oltre ad essere poi uno dei suoi piatti preferiti. Non occorre trascrivere una ricetta in quanto sono semplicemente dei soba cotti nel the matcha e aromatizzati con un po’ di brodo Ichibandashi o altrimenti Nibandashi. Arrivati a questo punto sarebbe bastato solo un link che avrebbe rimandato alla ricetta base dei due brodi di primo e secondo utilizzo e il gioco sarebbestatofattotuttattaccato. E difatti *tadan-rullo-di-tamburi* Habemus Link:
Nella sezione Nihon-Ya (ho preso il dominio, sì) inoltre è mia intenzione fare anche delle vere e proprie schede nutrizionali ed esperimenti fusion. Insomma a pieno regime mi sono lanciata nella mia parte nipposiculatorinese. Dico solo che ho fatto la colomba Pasquale al the matcha. Raccapricciantementesaperatamente fusion. Giusto per capire a che punto di follia siamo arrivati.
Nella speranza di non avervi eccessivamente annoiato con i miei viaggi mentali vi auguro uno strepitosto week end all’insegna del relax assoluto. Mi forzerò giusto quel pochetto per trascorrerlo proprio così; abbandonando e gettandomi alle spalle i dolori di questa settimana. Affinchè rimangano tristi ricordi. Del resto il lavoro mi attende. E i sogni non voglio farli mica ghiacciare dentro una ciotola. E’ che essendo in fondo un’inguaribile romantica credo ancora che possa essere tutto per sempre. Nonostante abbia un curriculum che mi smentisca fortemente.
Questi sprazzi di umanità li trovo intollerabili. La mia versione algida, fredda e calcolatrice al contrario mi consente di essere produttiva.
Svestitami ordunque di quegli abiti romantici vi terrorizzo comunincandovi che da lunedì è finita la pacchia e si ricomincia a pieno regime. Concedetemi però ancora un attimo (*disse infilandosi la manica di nuovo*) di tenere questi abiti dal sapore cuccioloso per dirvi ancora una volta quel ripetitivo e instancabile ma davvero sentito (con qualsiasi abito, lo ammetto) : Grazie.
Grazie sempre per le immeritate dimostrazioni di amore che giornalmente ricevo.
Doveroso Inciso- Diapositive dalla Cucina: Il Nippotorinese oggi a pranzo dopo i Soba al The Matcha si è pappato anche la tenpurina (con la N santa pazienza ! Ma avremo modo di parlare anche di questo) leggerissima di pesce e va detto. Perchè aleggia questa leggenda metropolitana che mi vuole “tirchia di porzione”. Ammetto di avere una particolare ossessione per la composizione del piatto ma se dopo questo primo, secondo e panna cotta con lamponi freschi e biscottini al mandarino mi si vuole fare passare per una massaia che non riesce a dosare bene proporzioni carboidrati-proteine-zuccheri beh no. Non ci sto*sorrisetto beffardo.
Certo è che sarà difficile immaginarmi con una paletta mentre afferro un bel pezzo di lasagnata in una teglia tutta spappolata mentre l’olio e il ragù grondano dal piatto sporcando tovaglia e contorno piatto. Non perchè io non apprezzi questa orgia culinaria me ne guarderei bene. Ma non mi piace fotografarla, tutto qua. E il Nippotorinese è costretto a mangiare roba che fa fotografata. E’ una dittatura culinaria questa, mica pizza e fichi ( e se facessi pizza, fichi e the matcha?)
Io e Paola siamo insieme nelle Gru del 24 Marzo. Ovviamente in assenza di te amica mia ho abbracciato il monitor. E non trovo affatto la cosa imbarazzante. Piuttosto: bellissima. Grazie.
A chiunque andasse di mandarmi la propria Gru in Email (maghetta_streghett@yahoo.it) farebbe cosa gradita. Sarà mia premura raccoglierle e inserirle qui per ricordo. Mi piacerebbe davvero moltissimo.